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Tra dipendenza e convenzione, una “terza via” per i Mmg

di Ornella Mancin

02 DIC - Gentile Direttore,
vorrei commentare l’intervento del segretario della Fimmg  Silvestro Scotti in audizione in Commissione Igiene e Sanità al Senato e riportato  su questo giornale. In quanto detto non ho colto alcuna spinta innovativa ma solo cose già ampiamente dette  in passato con il  solito tentativo di far passare per grandi innovazioni  dei piccoli correttivi, senza riuscire ancora una volta a cogliere il grido di aiuto che sale dal territorio.
Nell’audizione Scotti,  ha parlato di: modelli organizzativi delle cure primarie e di rapporti di lavoro per i medici di medicina generale
 
Il modello organizzativo proposto è il microteam  rappresentato da MMG, collaboratore di studio e infermiere. Questo modello per alcuni aspetti è condivisibile perché perlomeno garantirebbe a  tutti  i medici di medicina generale  personale di studio e infermieri.
 
Ma a fronte di ciò  appare ancora meno  chiaro come sia  stato possibile rendere obbligatoria per tutti, pena la decadenza della convenzione, una attività “tamponatoria” senza prima fornire il personale necessario.Se il segretario della Fimmg avesse voluto fare un gesto politico a favore della professione anziché chiedere i 18 euro a tampone avrebbe preteso l’attivazione del  “suo modello”  appunto i microteam.
 
Nell’intervento al Senato poi Scotti  mette molta enfasi sulla necessità che i medici di famiglia “qualunque sia l’organizzazione scelta”,  siano forniti di una “irrinunciabile  dotazione tecnologica (spirometri, ecografi, elettrocardiografi, etc.)indispensabile a suo dire  per il potenziamento della diagnostica e per una maggior presa in carico dei pazienti cronici .
 
Ma siamo sicuri  che lamaggior parte dei medici di famiglia oggi  in attività sia sufficientemente e adeguatamente  formata per usare queste tecnologie e  che questa sia realmente la priorità?
Per quanto riguardail rapporto di lavoro,la  Fimmg continua  a proporre il rapporto convenzionato forse non rendendosi conto che   la proposta di farci diventare pubblici dipendenti  non sia solo una ipotesi ma qualcosa di molto più plausibile dato che è diventata  la bandiera di una importante  forza di governo come il PD.
 
Su questo punto la posizione della Fimmg appare francamente  molto debole. Non si puòcontinuare a  balbettare  il solito refrain sulla libera scelta del cittadino e  liquidare   semplicisticamente il rapporto di dipendenza dal SSNcome un problema di  non sostenibilità  economica (“lo Stato si troverà a doversi far carico della gestione e dei costi degli ambulatori e di tutti i fattori di produzione compreso il personale”)  o peggio cavarsela con la storia  del cittadino  “costretto “ a  “fare molti più chilometri per trovare un medico, che non ha scelto”.
 
Credo che le ragioni a  favore  del  rapporto in convenzione siano ben altre e molto più profonde. Perché per esempio non parlare del rischio che la dipendenza limiti  la nostra autonomia professionale? Forse perché questa ormai è andata persa da tempo  grazie ad accordi sindacali che ci hanno reso sempre più “amministrati”?
 
Oggi la prima preoccupazione nel nostro lavoro è diventata  quella di rispondere a criteri di appropriatezza, seguire i protocolli e le linee guida, adempiere  a tutte le prassi burocratiche e amministrative previste.  
 
Allora, che differenza c’è in termini di autonomia professionale tra un convenzionato e un dipendente? Almeno, dicono alcuni colleghi  a favore della dipendenza, i dipendenti hanno un orario di lavoro fissato da contratto, ferie e malattia retribuite… ai convenzionati manca pure la tutela infortunistica nel caso si ammalino di Covid nell’esercizio della professione.
 
Pare evidente che il rapporto di lavoro inconvenzione sta presentando molte criticità  a fronte delle quali un ormai folto gruppo di colleghi  propendono per la dipendenza.
 
A mio avviso se si vuole riformare la medicina del territorio in maniera vera eprofonda bisognerebbe esplorare ed identificare una possibile terza via di uscita   che ci permetta di riappropriarci della nostra autonomia professionale,  sempre più mortificata da vincoli di bilancio e da scelte sindacali ottuse.
 
Ne scriveva tempo fa su questo giornale il prof. Cavicchi ricordando che “l’autonomia del medico è la prima garanzia per il malato di essere curato secondo necessità”.
 
Questa autonomia è pressoché assente nel rapporto di dipendenza dove si lavora in maniera subordinata secondo modelli organizzativi delineati  dallo Stato e dalleRegioni, ed è parimenti minata anchenell’attuale rapporto in convenzione che  ha trasformato  il medico in un “funzionario dello Stato .
 
“A noi serve una soluzione che, per rendere  compossibile l’autonomia della professione con la  natura pubblica del sistema,  riformi l’idea di dipendenza. Oggi  la professione, se non vuole essere  amministrata,  a parte protestare deve  rivendicare  uno status giuridico che le permetta  di autogovernarsi  cioè di andare oltre  le forme dell’assoggettamento e quindi oltre  le forme della dipendenza”. (Cavicchi Qs 24 maggio 2016
 
Come ? La terza via proposta dal prof Cavicchi è:
“· ripensare l'obbligazione,  cioè il genere di vincolo giuridico della professione nei confronti  dello Stato
· superare "l’assoggettamento" cioè il lavoro  dipendente  rispetto al  quale lo Stato  decide “cosa deve fare”   mentre il medico   “come deve fare” 
· ridefinire le modalità dell'oggetto dell'obbligazione  quindi   le prestazioni da garantire  ma delegandole all’autonomia della professione”.
 
L’idea di fondo del prof. Cavicchi è che allo Stato spetti definire gli obiettivi da raggiungere e che i medici, convenzionati o dipendenti,  la  facoltà di decidere come raggiungerli: “Per me tanto i medici  convenzionati  che i medici dipendenti dovrebbero essere contrattualmente  considerati  “autori” quindi  contrattare lo scambio tra autonomia e responsabilità misurando la loro retribuzione principalmente  con  i risultati”.
 
L’idea mi pare molto interessante  e merita di essere discussa fra  quanti   abbiano a cuore la medicina del territorio  e abbiano il desiderio di riprendere in mano la professione e  la voglia di   ridarle la dignità perduta.
 
Ornella Mancin
Medico di famiglia

02 dicembre 2020
© Riproduzione riservata

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