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Indice Rt come strumento di governo e non di controllo

di Stefania Salmaso e Claudio Maria Maffei

15 MAR - Gentile Direttore,
l’indice Rt continua ad essere centrale nelle attività di monitoraggio condotte settimanalmente nel nostro paese dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dal Ministero della Salute, come emerge dall’ultimo report e relativo commento pubblicati qui su QS. Se così si valuta opportuno centralmente, conviene allora fare chiarezza sulla affidabilità dei criteri di calcolo attualmente adottati che, pur nella limitatezza delle informazioni rese pubbliche dai vari sistemi di monitoraggio, sembrano quantomeno degni di una riflessione aperta.
 
Partiamo per ricostruire i criteri di calcolo di quell’indice da quanto si legge in una FAQ dell’Istituto Superiore di Sanità.
Qui si spiega perché l’ISS calcola l’indice Rt sui soli casi sintomatici: “Il metodo statistico di calcolo di Rt è robusto se viene calcolato su un numero di infezioni individuate secondo criteri sufficientemente stabili nel tempo. Regione per regione, i criteri con cui vengono individuati i casi sintomatici o i criteri con cui vengono ospedalizzati i casi più gravi sono costanti, e il numero di questo tipo di pazienti è quindi strettamente legato alla trasmissibilità del virus. Al contrario, l’individuazione delle infezioni asintomatiche dipende molto dalla capacità di effettuare screening da parte dei dipartimenti di prevenzione e questa può variare molto nel tempo. Ad esempio, la capacità di fare screening può aumentare significativamente quando diminuisce l’incidenza totale della malattia e quindi il carico di lavoro sul sistema sanitario. Il risultato è che un maggiore o minore aumento dei casi asintomatici trovati non dipende dalla trasmissibilità del virus ma dal numero di analisi effettuate.
 
Questo assunto secondo cui i casi sintomatici e casi gravi sono in qualche modo proporzionali a tutti gli infetti e che di conseguenza “i criteri con cui vengono individuati i casi sintomatici o i criteri con cui vengono ospedalizzati i casi più gravi sono costanti”, è però tutto da verificare.
 
I possibili vizi del calcolo dell’indice Rt sono emersi anche agli onori della cronaca nel gennaio 2021 quando la Regione Lombardia ha contestato  il suo Rt troppo alto  ed ha aperto al riguardo  un contraddittorio con l’Istituto Superiore di Sanità. E’ così emerso come la Lombardia si sia  ritrovata  un indice Rt  più alto perché non aveva gestito correttamente il campo di “data inizio sintomi”.
 
Tralasciamo la descrizione dei vari passaggi, arriviamo alla modalità con cui in  Lombardia l’esito del calcolo di Rt si è abbassato  in accordo con  l’ISS:
- eliminando la segnalazione di una data inizio sintomi in 4.875 casi segnalati;
- diminuendo di 17.654 casi quelli classificati in precedenza come sintomatici;
- aumentando di 12.779 casi quelli classificati come asintomatici.
 
Quindi, al contrario, se per qualunque motivo in una Regione “diminuisce” il numero di casi sintomatici si abbassa il suo indice  Rt. Che questo rischio ci sia ce lo dicono alcune Tabelle degli Instant Report di Altems (Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari) che dal n.21 del 24 settembre 2020 al n.31 del 3 dicembre hanno riportato dati utili allo scopo.
 
In due tabelle riportate nella Sezione Indicatori clinico-organizzativi di questi report ci sono per ciascuna Regione la percentuale di casi da sospetto clinico e da screening e la percentuale di nuovi casi da sospetto clinico e da screening. I dati utilizzati per la realizzazione dell’analisi sono stati estrapolati dal Sito Ufficiale della Protezione Civile e quindi dovrebbero essere coerenti con quelli usati dall’ISS per il calcolo dell’indice Rt.
 
Se diamo un'occhiata ai dati di questi report ed in particolare a quelli della Tabella con l’indicatore 3.6 del report 21, vediamo come ci sia una grande differenza tra le diverse Regioni quanto a percentuale di nuovi casi sintomatici ovvero generati da un sospetto clinico. Dal 100% delle Marche al 16% della Puglia saltando lo 0% della Calabria.
 
Saltiamo adesso al report 28 del 12 novembre in cui il valore dello stesso indicatore per alcune Regioni ha un “crollo” mentre altre, come le Marche, si tengono  stretto il loro 100%.  Queste differenze tra Regioni e questi cambiamenti nel tempo della percentuale di positivi per sospetto clinico non sono spiegabili dalle differenze e dalle evoluzioni dell’indicatore frequenza del numero di tamponi effettuati sulla popolazione. Allo stesso tempo verosimilmente influenzano il calcolo dell’indice Rt.
 
Soprattutto quando il numero di casi aumenta rapidamente, può essere difficile per gli operatori regionali effettuare in modo tempestivo le interviste ad ogni singolo paziente e ricostruire così la presenza di sintomi e la data della loro manifestazione.
 
A fianco dell’indicatore R(t) come calcolato dall’ISS, che ha bisogno di tempo per basarsi su dati consolidati e affidabili, sembra utile adottare anche un sistema di calcolo basato sulla serie temporale del numero dei nuovi casi registrati quotidianamente e valutare il loro andamento a prescindere dalla presenza di sintomi o meno. Lo stesso tipo di calcolo può essere fatto con i dati quotidiani dei ricoveri.
 
Questo approccio è utilizzato nel sistema MADE (www.epidemiologia.it) che viene aggiornato quotidianamente anche con una elaborazione a livello regionale.
 
In sintesi, qualunque indicatore ed in particolare l’indice Rt acquista molto più senso se da indicatore puntuale di controllo da parte del livello centrale diventa parte di un sistema integrato di indicatori di cui centralmente si verifica la coerenza d’intesa con le Regioni, tenute ad una rilevazione attenta dei dati perché vissuti come strumento di governo e non subiti come strumenti di controllo.
 
Stefania Salmaso
Associazione Italiana di Epidemiologia
 
Claudio Maria Maffei
Coordinatore scientifico Chronic-On

 

15 marzo 2021
© Riproduzione riservata

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