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Tubercolosi. Alcuni farmaci antireumatici possono "riattivarla"


Il pericolo evidenziato da una ricerca italiana che conferma altri studi minternazionali. Prima di iniziare terapie anti TNF per malattie reumatiche è bene fare uno screening per verificare che non vi siano tracce latenti di Tbc. Ma non tutti i farmaci presentano questo rischio. Ecco le indicazioni della ricerca.

23 LUG - Ogni anno in Italia sono notificati al Ministero della Salute circa 4.500 nuovi casi di tubercolosi, ma si tratta di un dato sottostimato, perché non tutti i malati ricevono una diagnosi. Con un’incidenza che non raggiunge i dieci casi per 100mila residenti, la tubercolosi resta in Italia una malattia piuttosto rara, che però desta preoccupazione, soprattutto in presenza di patologie reumatiche: i farmaci biologici usati per curarle, infatti, causano la riattivazione di un processo tubercolare latente e dunque scateni la patologia vera e propria. A conferma di questa preoccupazione una indagine condotta in Italia dall’Università la Sapienza di Roma nei primi mesi del 2012, presentata preliminarmente nel corso del Convegno ‘Patient first’ che si è recentemente svolto a Roma.
                          
La survey nazionale è stata realizzata su un campione di circa 400 reumatologi per conoscere l’approccio dei reumatologi italiani all’individuazione della tubercolosi latente e della riattivazione della tubercolosi nei pazienti trattati con farmaci anti-TNF. Il questionario indagava diversi aspetti della pratica clinica, tra cui l’uso delle raccomandazioni, la disponibilità dei test, il numero di pazienti attualmente trattati con anti-TNF e – per l’appunto – anche i casi di TBC attiva registrati negli ultimi 10 anni in pazienti in terapia con tre specifici farmaci anti-TNF. Tra gennaio 2002 e il 31 marzo 2012 39.353 pazienti hanno ricevuto almeno un farmaco anti-TNF e in 317 pazienti (0,8%) si è verificata la riattivazione della TBC. Di questi 211 erano trattati con infliximab, 89 con adalimumab e 28 etanercept: a conferma di numerosi precedenti studi internazionali, l’indagine italiana dimostra dunque che l’impiego di quest’ultimo farmaco rispetto agli anticorpi monoclonali riduce significativamente il rischio di riattivazione della TBC latente.
“Il problema si è riaperto in tempi recenti, negli ultimi 10-15 anni con l’impiego dei farmaci biologici, certamente molto efficaci nel dominare le manifestazioni delle tre patologie reumatiche infiammatorie più importanti, l’artrite psoriasica, la spondilite anchilosante e l’artrite reumatoide”, ha affermato Fabrizio Cantini, Direttore dell’ U.O.C. di Reumatologia presso l’Ospedale Misericordia e Dolce di Prato, Centro di riferimento regionale per le Malattie Reumatiche Rare, che ha presentato i risultati. “Tuttavia questi farmaci hanno un effetto favorente la riattivazione di un processo tubercolare latente e la tubercolosi, che pensavamo fosse un problema ormai risolto, è tornata ad essere un  argomento di stretta attualità anche per i reumatologi”.
 
Ma qual è il ‘percorso’ che segue l’infezione? “Il primo processo infettivo del bacillo di Koch, ovvero del bacillo della tubercolosi, si verifica tendenzialmente nell’infanzia o adolescenza ma non sotto forma di malattia conclamata, bensì rimane all’interno dell’organismo come se fosse ‘murato vivo’ nel sistema linfatico”, ha spiegato Cantini. “I farmaci biologici hanno un’azione favorente la riattivazione di questo bacillo, bloccato ma vivo, e quindi favoriscono la riattivazione di una vera malattia tubercolare.”
Eppure, per risolvere e prevenire la riattivazione di una tubercolosi latente abbiamo degli strumenti. “Esistono delle linee guida ben standardizzate in tutto il mondo che raccomandano di mettere in opera determinate procedure di screening per la tubercolosi latente. Il problema deve essere sempre tenuto in conto da parte del reumatologo che prima di trattare il paziente con farmaci biologici, gli anti-TNF in particolar modo, deve procedere con test di verifica e in caso di positività interverrà con ulteriori raccomandazioni per prevenire il rischio di tubercolosi attiva”, ha continuato.
 
Prima di somministrare un farmaco anti-TNF tutti i pazienti devono quindi essere sottoposti a dei test in grado di evidenziare il contatto con il bacillo tubercolare, come il test cutaneo con tubercolina (TST) e il test di rilascio di interferone-gamma (IGRA).
“Ma come abbiamo visto non tutti i farmaci anti-TNF per la terapia dell’artrite reumatoide e di altre patologie infiammatorie reumatiche comportano lo stesso rischio di riattivazione della TBC”, ha concluso Cantini. “I dati di vari studi dei registri nazionali ed internazionali – tra cui quello appena presentato – mostrano infatti che gli anti-TNF monoclonali, come infliximab e adalimumab, incrementano maggiormente e significativamente il rischio di riattivazione tubercolare rispetto a etanercept, proteina di fusione.”

23 luglio 2012
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