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Ictus. Con nuovi anticoagulanti orali 11mila morti in meno l’anno


Ai quali si aggiungono 35mila nuovi casi di ictus cadioembolico in meno l’anno. Il punto su questa nuova terapia farmacologica è stato fatto al XVIII Congresso nazionale della Fadoi. Gli internisti: "Con nuovi farmaci a dosaggio fisso riduciamo gli effetti collaterali e scomodi esami del sangue".

12 MAG - Una stima di 11mila morti e 35mila nuovi casi di ictus cardioembolico in meno l’anno. Riduzione degli effetti collaterali e delle interazioni con altri farmaci e con i cibi. E non è tutto: taglio drastico alle analisi cliniche e aumento della compliance dei pazienti al trattamento farmacologico. Sono questi i benefici che gli esperti sanno di poter ottenere grazie ai nuovi farmaci anticoagulanti orali per la prevenzione dell’ictus nei pazienti con fibrillazione atriale: 800mila malati, 400mila dei quali attualmente non ricevono terapie o le assumono in modo non corretto. Benefici che, a lungo termine, determinerebbero anche una rilevante diminuzione dell’invalidità, circa 18mila nuovi gravi casi evitabili ogni anno, con un conseguente calo delle spese assistenziali. I medici internisti della Fadoi, in occasione del XVIII Congresso nazionale della società scientifica a Giardini Naxos (Me) dall’11 al 14 maggio, puntano i riflettori sulla patologia e sulle nuove opportunità terapeutiche (è atteso a breve il via libera dell’Aifa anche per la loro rimborsabilità nell’indicazione prevenzione dell’ictus in pazienti con fibrillazione atriale). E sciolgono le riserve.

“Una vera e propria rivoluzione terapeutica che consentirebbe ai pazienti di ricevere terapie più sicure, efficaci e personalizzate rispetto ai vecchi farmaci utilizzati per prevenire l’ictus”. Ecco spiegato dagli esperti il valore dei nuovi farmaci anticoagulanti orali, forti di controindicazioni ridotte all’osso: il rischio emorragico correlato all’assunzione degli attuali medicinali utilizzati si ridurrebbe infatti dal 50 al 70%, a seconda dei casi. Un grande beneficio se si considera che proprio a causa del rischio di effetti collaterali i pazienti sono costretti a sottoporsi a regolari analisi del sangue. Un monitoraggio frequente, scomodo, perché richiede una collaborazione attiva dei pazienti e un supporto sociale che non sempre risulta ottimale, soprattutto per i più anziani.

I numeri dell’ictus. In Italia l’ictus cerebrale è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e i tumori. La prima causa d’invalidità e la seconda causa di demenza con perdita dell’autosufficienza. Ogni anno si verificano circa 200mila nuovi casi di ictus: nel 75% dei casi dopo i 65 anni, e la metà di questi superano i 75 anni. Il 25% dei pazienti muore entro 30 giorni, e la mortalità sale al 30% entro i primi 12 mesi. Solo il 25% dei pazienti guarisce completamente, mentre la metà circa non riesce nemmeno a tornare alle proprie famiglie e ha bisogno quindi di un’assistenza continua. La maggior parte degli ictus sono di natura ischemica: 160 mila casi ogni anno. Di questi circa 40mila nuovi casi sono di genesi cardioembolica, correlati alla presenza di fibrillazione atriale: l’aritmia più comune nella popolazione che conferisce un rischio di stroke (ictus) 5 volte superiore rispetto alla popolazione non affetta, e uno stroke su quattro/cinque è attribuibile a questa aritmia.
Oggi circa 800mila persone in Italia ne sono affette. Non solo: secondo le stime previsionali la prevalenza della malattia raddoppierà nei prossimi 50 anni e interesserà inoltre circa il 50% dei pazienti ultraottantenni. Uno scenario quindi allarmante.

Senza trattamento preventivo. Si stima che senza trattamento preventivo, ogni anno, circa 1 paziente su 20 (5%) con fibrillazione atriale verrà colpito da un ictus. Ma se si considerano i TIA e gli ictus clinicamente “silenti”, il tasso di ischemie cerebrali associate a FA non valvolare supera il 7% annuo. Inoltre, della quasi totalità (il 96%) dei pazienti con fibrillazione atriale che dovrebbero essere sottoposti a terapia con farmaci anticoagulanti, solo la metà riceve un trattamento adeguato e tra questi il 40% non è nel corretto range terapeutico. In cifre, 400mila che non ricevono la terapia efficace. La previsione? Infelice. Avranno un’incidenza annua di circa 35mila stroke/anno, con 11mila morti sempre l’anno e 18mila invalidità gravi/anno.

Le terapie. Per ridurre il pericolo di ictus nei pazienti con fibrillazione atriale si possono utilizzare gli anticoagulanti orali, che mantengono il sangue fluido riducendo la probabilità di trombi.
“I farmaci fino ad oggi disponibili, i cosiddetti antivitamina K – ha spiegato Andrea Fontanella, direttore del Dipartimento di medicina interna dell’Ospedale Buonconsiglio-Fatebenefratelli di Napoli – nonostante siano efficaci hanno diversi limiti che ne rendono difficile l’utilizzazione nella pratica. La risposta al farmaco non è sempre prevedibile e c’è una stretta finestra terapeutica tra efficacia anticoagulante e rischio emorragico. Hanno inoltre un lento inizio dell’azione anticoagulante ed una altrettanto lenta cessazione dell’effetto. Tutto questo comporta la necessità di esami di laboratorio continui per monitorarne l’effetto e costanti aggiustamenti terapeutici. Per non parlare – ha aggiunto –  delle numerose interazioni con alcuni cibi (verze e prezzemolo, broccoli, cavoletti, cavolo cappuccio, spinaci, radicchio, cime di rapa, ma anche germogli, lattuga, asparagi, piselli, lenticchie, semi di soia, altra insalata verde, pomodoro, finocchi, avocado, senape, tuorlo d'uovo, maionese, fegato, cereali integrali, l'alcool, la caffeina, il ginger, il tè verde ed il succo di mirtillo, ecc.) e con numerosi farmaci”. E le criticità crescono se si considera che nei reparti di medicina interna – come emerso dallo studio ATA-AF (AntiThrombotic Agents Atrial Fibrillation) realizzato con i cardiologi dell’Anmco su oltre 7mila pazienti – i pazienti sono “trattati” poco e male proprio a causa della difficoltà nella loro gestione.
“I farmaci – ha affermato Giancarlo Agnelli, Professore Ordinario di Medicina Interna all’Università degli Studi di Perugia – vengono prescritti solo al 50% dei malati provenienti da reparti di medicina interna in quanto, a causa dell’estrema variabilità di azione individuale e non essendoci un dosaggio fisso che possa essere dato ad personam, non sono facili da somministrare. Inoltre nei nostri reparti arrivano pazienti anziani, spesso con più patologie associate che espongono ad un elevato rischio di emorragie e con una scarsa collaborazione nella gestione di terapie per deficit cognitivi”.

I vantaggi. Ma gli scenari potrebbero cambiare proprio grazie ai farmaci di nuova generazione già approvati dall’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, per la prevenzione di Ictus ed embolia sistemica nei pazienti con fibrillazione atriale e disponibili a breve anche nel nostro Paese per il trattamento di questa specifica patologia. Efficaci e soprattutto più sicuri rispetto ai vecchi farmaci: il rischio di emorragie cerebrali è ridotto fino al 70%, i dosaggi sono fissi e le interazioni con altri farmaci e con i cibi sono scarsamente rilevabili.

“I nuovi anticoagulanti orali hanno non solo un profilo di sicurezza migliore – ha detto Carlo Nozzoli, presidente nazionale Fadoi – ma anche un atout in più: posso essere assunti con un dosaggio fisso. Questo rende superflui i controlli ravvicinati “liberando” il paziente da uno stress, con il vantaggio di riuscire ad adattarsi alla terapia con maggiore facilità”.

Non solo, i farmaci di nuova generazione costituiscono un cambiamento straordinario oltre che per i pazienti con fibrillazione atriale (che costituiscono il 75-80% dei malati a rischio di ictus), anche per quel 20-25% di pazienti con patologie differenti. I nuovi farmaci anticoagulanti somministrati principalmente per la prevenzione della trombosi venosa profonda post chirurgia ortopedica, sono indicati anche nei casi di embolia polmonare da trombosi venosa profonda. E ci sono inoltre studi più recenti che prevedono un’indicazione per la prevenzione a lungo termine delle recidive degli infarti.
 

12 maggio 2013
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