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Farmaci e Paesi poveri. Se le multinazionali diventano "buone". Ecco le 20 più attente


In vetta la GSK, poi Johnson & Johnson e al terzo posto la Sanofi. Lo rileva l'Access to Medicine Index che misura cosa fa ogni azienda per rendere accessibili i propri prodotti nei paesi in via di sviluppo. Ma per Hans V. Hogerzeil, ex OMS e curatore dell'indice, c'è ancora molto da fare affinché le Big Pharma si liberino della cattiva fama. LA CLASSIFICA.

13 SET - Nonostante i progressi dell'ultimo decennio, ancora circa un terzo della popolazione mondiale non ha accesso regolare ai farmaci essenziali. Molti di questi vivono nell'Africa Subsahariana, ma circa un miliardo di queste persone vive in paesi in via di sviluppo e in economie emergenti nelle quali il divario tra le classi più abbienti e quelle più povere, che vivono con meno di un dollaro al giorno, continua ad ingrandirsi”.
 
Con queste parole Hans V. Hogerzeil, a lungo direttore del programma dell'Oms per i farmaci essenziali e le politiche farmaceutiche ha iniziato il suo commento sul New England Journal of Medicine dei dati pubblicati dal 2008 sull’Indice “Access to Medicine” (vedi rapporto completo). L'indice verifica, basandosi su un cruscotto di 101 indicatori, le modalità messe in atto dalle aziende farmaceutiche per portare farmaci, vaccini, test diagnostici e altre tecnologie mediche in 93 paesi a basso e basso-medio reddito.

Queste persone – continua Hogerzeil – devono far fronte a diversi tipi di 'barriere', nell'accesso ai servizi sanitari. Da una parte la mancanza di centri di ricerca che si occupano di condizioni presenti in zone specifiche, che fa sì, ad esempio, che non esistono farmaci veramente a prova di temperature tropicali, da somministrare nei paesi più caldi. Oppure i medicinali esistono ma sono troppo costosi, o magari non disponibili in un dato paese, o ancora con tempi di attesa troppo lunghi. Infine, potrebbero esserci prodotti che non hanno un profilo di sicurezza, di qualità e di efficacia ben definito”. Tutti problemi che dipendono da molti “attori” in gioco, spiega l'esperto, comprese le case farmaceutiche.

Proprio per studiare quanto queste ultime si spendano per rendere i propri farmaci disponibili (anche a livello economico) nei paesi in via di sviluppo, nel 2008 è nata un'iniziativa chiamata Access to Medicine Index, che ogni due anni stila la classifica delle 20 grandi compagnie farmaceutiche che più si occupano dell'accessibilità. Lo scopo, oltre alla semplice informazione, è quello di spronare le aziende a fare di più in questo ambito.
Un tentativo che sembra aver funzionato: se negli ultimi cinque anni al primo posto della classifica è rimasta Glaxo Smith Kline, il podio ha visto nell'ultima versione della classifica importanti cambiamenti, con Johnson & Johnson che è balzata dal nono al secondo posto (grazie, tra le altre cose, al rinnovato portfolio per i paesi in via di sviluppo e al livellamento dei prezzi per i prodotti più importanti) e Sanofi che è passata dal quinto al terzo (dopo aver migliorato le proprie strategie per l'accesso ai farmaci e per aver sostenuto ricerca e sviluppo nei paesi considerati). “È così – ha spiegato ancora Hogerzeil – che si è creato un gruppo di sette case farmaceutiche più virtuose che si distingue dalle altre, e di cui fanno parte anche MSD, Gilead Sciences, Novo Nordisk e Novartis”. Ma anche le altre aziende considerate dall'Indice hanno fatto passi in avanti, visto che dal 2010 al 2012 sono state ben 17 su 20 le case farmaceutiche che hanno migliorato il loro “punteggio” in termini assoluti, nonostante gli standard di valutazione siano diventati ancor più rigidi.

Tuttavia, “diverse aree di azione necessitano ancora di lavoro”, ha precisato l'ex esperto dell'Oms. Ad esempio “bisognerebbe aumentare la trasparenza nelle attività di lobbying, migliorare il metodo con cui vengono condotti i trial, espandere gli schemi di livellamento dei prezzi, adattare il packaging alle necessità locali, differenziare la pratica della donazione dei farmaci in base a cosa serve in ogni regione, rendere più facile per i paesi in via di sviluppo accedere ai dati dei trial clinici, in modo da velocizzare l'approvazione dei farmaci generici”, ha elencato.
Solo in questo modo si potrà migliorare l'accesso ai servizi sanitari in tutto il mondo, ha concluso. Aggiungendo poi: “E solo in questo modo le case farmaceutiche potranno liberarsi dell'etichetta negativa che si sono guadagnate negli ultimi anni”.

Laura Berardi

13 settembre 2013
© Riproduzione riservata

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