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SLA. Ecco quali sono i fattori che ne influenzano il decorso


Uno studio italiano del Mario Negri, in collaborazione con l’Università di Sheffield in Inghilterra, ha svelato alcuni dei meccanismi coi quali la malattia progredisce, attaccando i motoneuroni e portando ai terribili sintomi e all’esito letale. Una ricerca che potrebbe aprire opzioni diagnostiche e forse aiutare ad arrivare alla cura.

03 OTT - Poco si sa ancora dei meccanismi della Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) e soprattutto ancora non si sa come curarla. Oggi qualche passo in avanti in entrambi gli ambiti potrebbe essere stato fatto dai ricercatori dell'IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’ di Milano e quelli dell'Università di Sheffield in Inghilterra. Uno studio pubblicato su Brain identificherebbe infatti i fattori che possono influenzare il decorso più o meno rapido della patologia. Ciò è stato possibile grazie all’osservazione di due modelli di topi portatori dello stesso gene mutato responsabile della SLA, che sviluppavano la malattia con una progressione molto diversa tra loro.
La SLA è una malattia che colpisce i motoneuroni, cioè le cellule nervose che comandano i muscoli per il movimento e la respirazione fino a portare alla paralisi totale e alla morte. In Italia sono circa 5 mila le persone colpite da questa malattia. Si tratta di una malattia piuttosto eterogenea dal punto di vista clinico con una elevata variabilità nella sua progressione e durata che può andare dai 2 ad oltre i 10 anni dopo la diagnosi. Questo fenomeno, dovuto alla complessità dei meccanismi che causano la morte dei motoneuroni, rende difficile l'applicazione di potenziali terapie.

In particolare, gli scienziati italiani hanno analizzato proprio i motoneuroni, cioè le cellule nervose che comandano i muscoli per il movimento e la respirazione, dei due modelli di topi con SLA a diversi stadi della malattia, avvalendosi della collaborazione di Pamela Shaw, Direttrice dello "Sheffield Institute for Translational Neuroscience (SITraN)" all'università di Sheffield, che coordina un gruppo leader nell'analisi dell'espressione di geni in cellule isolate dal tessuto nervoso.

“Lo studio ha messo in evidenza, che all'esordio dei sintomi, cioè prima ancora che ci sia debolezza muscolare, tra i due modelli di topo con rapida e lenta progressione si osservano differenze importanti nei motoneuroni”, ha spiegato Giovanni Nardo, ricercatore dell’IRCCS Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’ e co-autore dello studio. “In particolare si sono osservate differenze nel modo in cui queste cellule reagiscono attivando più o meno intensamente dei meccanismi di danno, come ad esempio la disfunzione dei mitocondri e del trasporto assonale (fondamentale per la sopravvivenza delle cellule grazie al trasporto intracellulare di proteine e organelli) e l'alterata degradazione proteica a scapito di quelli protettivi, come l'attivazione di una risposta di difesa immunitaria. Aver identificato alcuni di questi meccanismi ci aiuta a poter indirizzare in modo più efficace gli interventi farmacologici per rallentare, in fase molto precoce, questa devastante malattia. Da questo studio è possibile anche identificare dei biomarcatori prognostici, cioè delle molecole in grado di prevedere la progressione della malattia e di monitorare l'efficacia di trattamenti sperimentali”.

“La numerosità di informazioni dettagliate ottenute da questo studio favorisce lo sviluppo di nuove ipotesi sui meccanismi patogenici della malattia”, ha commentato Caterina Bendotti, a capo Laboratorio di Neurobiologia Molecolare dell’Istituto ‘Mario Negri. “Questo sarà argomento di indagini future che aprirà nuove collaborazioni nell'ambito della comunità scientifica che si occupa di SLA per raggiungere più velocemente possibile l'obiettivo della cura”.

Lo studio è stato finanziato per la maggior parte dall'MND Association inglese, con un contributo della Comunità Europea e della Regione Lombardia

03 ottobre 2013
© Riproduzione riservata


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