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Aids. Sul New England l'ultima bocciatura del vaccino. Fallito l'ennesimo trial


“Ci serve un vaccino, ci stiamo lavorando, ma la strada sarà ricca di delusioni come questa”: il disappunto si legge già nelle parole dei ricercatori che hanno fermato la sperimentazione del vaccino DNA/rAd5, testato dalla Columbia University e da altri atenei con l'appoggio dei NIH statunitensi, dopo che ne è stata dimostrata l'inefficacia. LO STUDIO SU NEJM.

10 OTT - Sembra che la strada verso un vaccino efficace per l'Hiv/Aids sia ancora lunga e ricca di imprevisti: un altro farmaco testato con questo scopo ha infatti dimostrato di non proteggere contro il virus. A dirlo uno studio della Columbia University di New York e di altri atenei statunitensi, presentato alla conferenza AIDS Vaccine 2013 e contemporaneamente pubblicato su New England Journal of Medicine. Il vaccino, siglato DNA/rAd5, era composto da una combinazione di segmenti di Dna derivanti da un virus dell'Hiv, il cui scopo era preparare il sistema immunitario, seguito da un vettore virale (adenovirus) utilizzato per introdurre nell'organismo alcune proteine dell'Hiv, che servivano invece a innescare la vera e propria risposta immunitaria: un meccanismo che non funziona, hanno spiegato gli esperti, ma che per fortuna non causa neanche danni.

I medici, a un certo punto della sperimentazione, avevano infatti avuto addirittura paura che il vaccino potesse fare più male che bene. Lo studio aveva arruolato 2504 uomini o donne transgender che avevano rapporti con uomini, categorie considerate ad alto rischio di contrarre l'Hiv; l'endpoint primario era il numero di infezioni nel periodo successivo alla serie completa di iniezioni per l'immunizzazione, fino a 24 mesi dopo il trattamento. Il trial, che era supportato anche dai National Institutes of Health statunitensi, è andato avanti finché il safety committee, gruppo di scienziati che deve valutare la sicurezza della sperimentazione, non si è accorto che nel gruppo vaccinato c'erano stati 27 contagi, contro i 21 nel gruppo di controllo: si tratta di una differenza che non è significativa, rispetto al numero di partecipanti allo studio, ma che comunque ha fatto pensare agli scienziati che il vaccino non avrebbe avuto speranza di funzionare.
Per quanto riguarda l'endpoint secondario, ovvero la carica virale misurata tra chi aveva contratto il virus, indicatore che funziona da predittore rispetto a quanto si svilupperebbe il virus in assenza di trattamento e dunque all'aggressività dell'infezione: questo risultava quasi identico tra i due gruppi (4,46log10 copie/ml contro 4,47log10 copie/ml).

In ogni caso, spiegano gli scienziati che hanno condotto il trial, il vaccino attivava una risposta immunitaria a livello cellulare, ma questo non aveva alcun effetto sulla probabilità di contagio, che rimaneva sostanzialmente uguale tra i due gruppi.
“Siamo contenti che almeno non abbia causato danni”, ha commentato Carlos del Rio, ricercatore alla Emory University di Atlanta, uno degli autori dello studio. Anche perché, spiega, almeno un altro farmaco (chiamato MrkAd5) testato all'interno del piano di sperimentazioni che riguardano i vaccini per l'Hiv aveva dimostrato in realtà di aumentare il rischio di contagio. Mentre altri si erano dimostrati inutili, proprio come questo. “Abbiamo ancora urgenza di trovare un metodo di immunizzazione che funzioni”, ha continuato. E ad oggi sono veramente poche le sperimentazioni che danno qualche segnale positivo.
 
Sebbene il risultato sia stato “definitivo, sebbene deludente”, come ha detto Scott Hammer della Columbia, primo ricercatore nel trial, gli scienziati hanno tuttavia ammesso di avere imparato molto. Anche i trial falliti, spiegano, hanno permesso di comprendere come il virus dell'immunodeficienza e l'organismo interagiscano. “Se non facessimo queste prove non sapremmo molto”, ha commentato anche Michael Saag, dell'Università dell'Alabama di Birmingham, anche lui autore del trial.
Ad oggi sono infatti diversi i campi di sperimentazione, per quanto riguarda i vaccini per l'Hiv. “Sono diversi i vettori che vengono testati, diverse le combinazioni di proteine e geni che vengono utilizzati”, hanno commentato. “E la ricerca di base si sta sforzando di comprendere come funzionano le regioni più variabili del genoma del virus, per trovare degli anticorpi che siano capaci di neutralizzare il patogeno”. Insomma, come concludono questi scienziati: “la morale è che ci serve un vaccino e stiamo lavorando per ottenerlo, ma la strada per arrivare a ottenerlo sarà ricca di delusioni come questa”.

10 ottobre 2013
© Riproduzione riservata

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