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Sla. Le cause, i trial clinici e le cellule staminali. Tre ore di confronto tra ricercatori e pubblico

di Viola Rita

Al Summit mondiale a Milano, nella sessione ‘Ask the experts’, Leonard van den Berg, Nazem Atassi e Paolo Bianco hanno illustrato questi tre temi e risposto a domande dei presenti. Una malattia complessa per le cause e per il trattamento.

05 DIC - Leonard van den Berg, Nazem Atassi e Paolo Bianco sono tra i massimi esperti di Sla. Olandese il primo, americano il secondo e italiano il terzo, si sono confrontati per tre ore ieri pomeriggio nella sessione ‘Ask the experts’ del Summit Internazionale e del 24° Simposio Internazionale sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica (Sla).
 
Un'iniziativa ospitata fino all’8 dicembre da Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica) e organizzato dalla Mnda (Motor neurone desease association) in collaborazione con l'International Alliance of Als/Mnd Associations, la federazione che unisce le principali associazioni di malati di Sla in tutto il mondo. Durante la sessione, aperta al pubblico, i tre ricercatori, hanno presentato alcuni importanti tematiche collegate alla malattia, dalla patogenesi alle terapie attuali, dai trial in atto fino alla questione dell’uso di cellule staminali, rispondendo poi alle domande dei presenti.

Le cause
A illustrare la conoscenza attuale della patogenesi è Leonard van den Berg, professore di neurologia e direttore del Netherlands ALS Center, University Medical Center Utrecht, che ha esordito così: “Per capire quali sono le cause di questa malattia, dobbiamo collaborare più strettamente coi pazienti. La loro partecipazione, infatti, è importante ad accelerare il raggiungimento di cure più efficaci”. E non sono mancate le azioni per sensibilizzare l’opinione pubblica, come la maratona di nuoto lungo la rete dei canali di Amsterdam.
La Sla è una malattia degenerativa e progressiva del sistema nervoso che assume caratteristiche molto variabili. “La varietà dei fenotipi cambia parecchio e i tassi di perdita dei motoneuroni sono molto differenti. Tra le cause, si parla spesso dell’eccitotossicità del glutammato. Questa sostanza è un neurotrasmettitore attraverso il quale comunicano i motoneuroni. Secondo un’ipotesi, la presenza eccessiva di questo neurotrasmettitore causa un danno ai neuroni”, ha affermato Van den Berg. “Un altro fattore è lo stress sedativo delle molecole che sono reattive alla trasmissione delle informazioni; i motoneuroni, inoltre, sono molto lunghi, dato che vanno dalla colonna vertebrale ai piedi: se c’è un difetto nel metabolismo energetico, essi sono i primi ad essere colpiti. Un meccanismo sotto studio è poi quello genetico: le proteine sono legate al Dna specifico di ogni persona e alcune di esse giocano un ruolo fondamentale nel ‘processing’ dell’Rna; in questo processo, può avvenire che una proteina causi la comparsa di una patologia, tra cui danni ai motoneuroni”. In generale, ci sono due tipologie di Sla: quella familiare (legata ad un ‘errore’ del Dna) e quella di tipo ‘sporadico’, che colpisce la maggioranza dei pazienti, non è presente  nella famiglia, come sottolinea il professore. “Oltre alle variazioni del Dna, che rendono alcune persone più soggette alla comparsa della malattia, ci sono poi fattori ambientali e legati allo stile di vita, tra cui ad esempio l’esposizione a pesticidi. Insomma si tratta di una patologia che definiamo complessa, che può essere anche causata da una comparsa concomitante di più fattori che portano alla malattia”.
Un altro tema sono le tecniche di ingadine e gli studi effettuati. "Nei Paesi Bassi, in uno studio sulla popolazione abbiamo identificato tutti i pazienti. L’incidenza della comparsa della patologia mostra un picco oltre i 50 anni, mentre dopo i 70-75 anni scende: anche in Italia sono stati riscontrati questi dati. In base allo studio, il fumo è un fattore di rischio che influenza lo sviluppo della patologia; il consumo di alcol, indipendentemente dalla tipologia, risulta essere un fattore protettivo. Riguardo alle abitudini alimentari, calcolando esattamente l’apporto dei nutrienti, abbiamo scoperto che, prima della comparsa della patologia, i pazienti pesavano di meno ed erano più sani rispetto ad altri individui, però assumevano una quantità più elevata di calorie: questo ipermetabolismo può avere un ruolo nella Sla”, ha aggiunto van der Berg.

I trial clinici
A parlarne è Nazem Atassi, neurologo presso il Massachusetts General Hospital di Boston.“Dalla fase preclinica, che consiste nei test sugli animali, si arriva alla fase clinica sull’uomo, con i trial clinici. In molti casi, la prima fase viene condotta su volontari sani o anche su alcuni pazienti affetti da Sla. In essa è importante capire la concentrazione e la sicurezza del farmaco stesso. La seconda fase del trial è volta ad individuare il dosaggio migliore da poter somministrare al paziente: in questo caso di solito riusciamo anche a provare l’efficacia del farmaco. L’ultima fase è la terza, in cui ci chiediamo se il farmaco funziona effettivamente o meno”.
Riguardo ai trattamenti per la Sla, la gestione è multidisciplinare. “L’unico farmaco approvato per questa malattia è il riluzolo: attraverso trial multipli si è osservato che rallenta la progressione della malattia e dunque che ha effetti positivi. Tra i trattamenti sintomatici, ci sono quelli alimentari, quelli per la respirazione e alcuni trattamenti pseudobulbari. Per la difficoltà nel controllare le emozioni, un farmaco approvato in tutte le fasi dalla Fda (Food and Drug Amministration) è il Nuedexta. In generale, i trial completati sono molti e più di 60 negli ultimi 10 anni”, ha proseguito. Nel dibattito, Atassi ha illustrato numerosi esempi di farmaci già testati nei trial, quali dexpramipexole, ceftriaxane, tamoxifene e creatina. “Inoltre sono ottimista rispetto alla terapia genica, perché conosciamo qual è il problema: se individuiamo il gene che è la causa principale, possiamo riuscire a silenziarlo se impediamo che venga prodotta quella tipologia proteica. Così in teoria si potrebbe riuscire a interrompere la patologia o a prevenirne l’insorgenza. Credo che attualmente si sia indagato il 50-60% dei geni causa dello sviluppo della patologia nella sua variante familiare”.
E poi ecco alcuni tra i trial in corso: “Nel presente stiamo testando su tessuti umani il Fingolimold, che può essere testato anche per malattie simili. Ozanezumab è un anticorpo che deve aiutare per la ricrescita dei neuroni: lo studio in doppio cieco randomizzato verrà completato a brevissimo. Entusiasmante è poi lo studio Benefit, non specifico per la Sla, che potrebbe avere effetti positivi per ogni malattia che coinvolge l’attività dei muscoli: questo tipo di farmaco ha visto un miglioramento nella forza muscolare”, ha affermato il neurologo. “Per riassumere alcuni punti, bisogna dire che c’è una grande eterogeneità della malattia, c’è poi il problema relativo alla diagnosi ritardata e alla scelta della terapia giusta, insieme al problema del dosaggio e della somministrazione e alla mancanza di biomarcatori. In questa malattia l’interazione tra il paziente e il medico è centrale per una cura migliore”.

Le cellule staminali 
La spiegazione delle loro caratteristiche e la storia del loro utilizzo e delle applicazioni attuali viene effettuata, durante l’incontro, da Paolo Bianco, professore di Anatomia Patologica presso Sapienza Università di Roma e direttore del Laboratorio di cellule staminali presso la stessa università.
“Dovremmo essere particolarmente attenti quando sentiamo dire che le staminali possono curare tutte le malattie. Intanto, non esiste una cellula staminale unica, applicabile ad ogni tipo di patologia: noi infatti chiamiamo staminali sia le cellule pluripotenti che esistono soltanto negli embrioni - e che invece non esistono in tessuti postnatali, negli esseri umani e in generale nei mammiferi - , sia una varietà di cellule che esistono nella fase postnatale, che hanno fatto la storia dei successi clinici delle cellule staminali”, ha spiegato Bianco. “È importante che i pazienti capiscano che affermare di poter ricostruire il cervello con cellule derivate dalla placenta, dal midollo spinale o dalle ossa non corrisponde a verità. Abbiamo avuto un incredibile successo nella ricostituzione del sangue, della cute e della cornea utilizzando le cellule staminali specifiche per ogni sistema. Questi tessuti, infatti, sono molto semplici: il sangue è un fluido e non ha nemmeno una ‘forma’, la cute ha sì una forma, ma è una superficie molto sottile, non vascolarizzata e senza fibre nervose all’interno: dunque non ha la complessità di quegli organi, come il cuore, il cervello, il midollo spinale e i muscoli, che allo stato dell’arte non possiamo rigenerare con efficacia. Siamo molto lontani dal trovare delle cure efficaci, riusciremo a farlo soltanto quando riusciremo a capire come risolvere queste problematicità degli organi più complessi”.
Un terzo aspetto importante riguarda le modalità del processo: “Avendo una cellula staminale per rigenerare il tessuto è necessario cercare di capire come ricostituirlo: nel caso della cute, ad esempio, le staminali formano una sorta di ‘fazzoletto di pelle’ che viene trapiantato nel corpo del paziente; mentre col sangue si devono immettere le cellule nel sistema circolatorio”.
 
Viola Rita

05 dicembre 2013
© Riproduzione riservata

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