Trapianto di rene. Bioingegneria organi, laparoscopia 3D e ruolo degli infermieri al PTV di Roma. A colloquio con Orlando, Anselmo, Iaria e Pietrogiacomi
di Viola Rita
La ricerca finalizzata a produrre grandi organi artificialmente. E poi, la laparoscopia 3D per il trapianto del rene. Infine, il coordinamento infermieristico spesso non riconosciuto in maniera ufficiale. A colloquio con Giuseppe Orlando, Alessandro Anselmo, Giuseppe Iaria e Paola Pietrogiacomi, tra i protagonisti del Congresso odierno sul trapianto di rene al Policlinico Tor Vergata
07 MAR - Dalla medicina rigenerativa volta alla produzione di organi artificiali ai nuovi approcci chirurgici per il trapianto, fino al ruolo degli infermieri nel coordinamento delle attività legate al trapianto del rene. Di questo ed altro abbiamo discusso direttamente con gli esperti
Giuseppe Orlando,
Alessandro Anselmo e
Paola Pietrogiacomi, tra i protagonisti del
Congresso di oggi “Breaking news in kidney transplantation”, organizzato dalla U.O.C. Chirurgia dei Trapianti del Policlinico Tor Vergata (PTV) - reparto diretto dal Professor
Giuseppe Tisone, che è il Presidente del Congresso insieme al Professor
Nicola Di Daniele, Direttore della U.O.C. Ipertensione e Nefrologia. La Segreteria Scientifica è curata dal Dottor
Alessandro Anselmo e dal Dottor
Giuseppe Iaria.
Giuseppe Orlando ci illustra le prospettive della medicina rigenerativa, tra cui quella di provare a ripopolare entro cinque anni organi di grandi dimensioni, anche umani; Alessandro Anselmo ci spiega una delle innovative frontiere chirurgiche, la laparoscopia 3D per il trapianto del rene; Paola Pietrogiacomi racconta il ruolo del coordinamento infermieristico, in alcune realtà ospedaliere assente e in altre non riconosciuto in maniera ufficiale.
La lettura centrale del Congresso è il
Focus on: regenerative and bioartificial organs, di cui ha parlato in particolare il Dottor
Giuseppe Orlando della Wake Forest Baptist Health. Il suo team contribuisce “allo sviluppo di praticamente tutti gli organi e tessuti “bioingegnerizzabili”, fra cui il rene, il pancreas, l’intestino ed il polmone. Siamo coinvolti nel programma di rene e pancreas artificiale, nonché nella ricostruzione del tubo digerente prossimale e del tenue”, ha spiegato Orlando al nostro giornale. “Riguardo ad organi grandi, la
previsione è che entro cinque anni saremo in grado di ripopolare in toto scaffold di tali organi, umani e porcini, e la speranza è che questi ‘organoidi’ siano in grado di esercitare una funzione almeno parzialmente specifica in vitro”.
Medicina rigenerativa: i trapianti già effettuati
I risultati già ottenuti e applicati con successo nei pazienti riguardano organi semplici, come illustra Orlando. Intanto, “l’Italia ‘domina’, con diversi nomi importanti, tra cui Paolo Macchiarini, il settore della Medicina rigenerativa, il cui campo d’azione spesso coincide con quello dell’ingegneria tissutale. Ad oggi le ricerche di questa branca hanno permesso di impiantare in pazienti più di 200 parti di organi semplici – non complessi (quali sono il fegato, rene pancreas, cuore, polmone e intestino) - tra cui ad esempio segmenti di vasi artificiali, utilizzati nei pazienti in dialisi per i quali non è possibile ricreare chirurgicamente la fistola artero-venosa. Questi vasi presentano risultati a distanza di più di 10 anni e mostrano lo stesso tasso di successo e lo stesso livello di complicazioni di una fistola artero-venosa tradizionale. Oltre ai vasi, ci sono segmenti di vie aeree superiori, parti artificiali di osso e della cornea”.
Medicina rigenerativa del rene e altri organi: il primo approccio. Da un lato, il primo approccio consiste nell’utilizzo di cellule, non solo staminali, per ripopolare matrici extracellulari, di cui si occupa anche il gruppo del Dottor Orlando. “L’obiettivo è seminare sullo ‘scheletro di organi senza cellule’, le cellule del paziente stesso. Infatti, uno dei dogmi della medicina rigenerativa è che la matrice extracellulare, cioè ciò che resta di un organo dopo che se ne sia rimossa la componente cellulare, contiene tutte le informazioni di cui le cellule hanno bisogno per vivere e funzionare, dunque per produrre un tessuto”, ha spiegato Giuseppe Orlando. “Il nostro lavoro consiste nella produzione di ‘scaffold’ di organi animali e umani, decellularizzandoli e cercando di ripopolarli sia con cellule adulte che con cellule staminali di vario tipo. In seguito, dopo la ripopolazione, la fase di maturazione, prima dell’impianto, può essere effettuata in un bioreattore. Ancora non siamo vicini alla produzione di organi complessi, ma se e quando questo diventerà realtà, i vantaggi saranno immensi. In primis, gli organi potranno essere
prodotti al bisogno ed il paziente potrà riceverli quando opportuno e nelle migliori condizioni. Poi,
non ci sarà bisogno di immunosoppressione che, pur essendo lo strumento che ha permesso ai trapianti di diventare uno straordinario mezzo terapeutico ed una delle più grandi conquiste delle storia della medicina, rappresenta il principale determinante della mortalità e morbidità del trapianto, a causa degli effetti collaterali”.
Il secondo e il terzo approccio. “Il ‘developmental biology approach’, poi, è un approccio che segue la biologia dello sviluppo in vitro: in pratica si cerca di riprodurre diverse fasi cui l’organo va incontro durante la vita intrauterina. Ancora non ci sono risultati, ma i dati preliminari sono interessanti. Noi sappiamo che il rene si sviluppa in tre mesi: così la ricerca, partendo da cellule embrionali, intende ricreare quelle condizioni che dovrebbero portare alla produzione di organi. Molti centri di ricerca lavorano su questo ambito, sia riguardo al rene che al fegato”, prosegue Orlando. “Il terzo approccio, infine, sfrutta esclusivamente la capacità di cellule staminali di dar vita ad altre cellule, tessuti ed organi. In realtà la classificazione nei tre approcci mostra alcuni 'aspetti scolastici', dato che poi spesso i tre approcci vengono integrati tra loro. La tecnologia più promettente dal punto di vista clinico è attualmente la prima”.
I costi. “Riguardo alla produzione di organi semplici, il costo delle produzione di un vaso artificiale in America è dell’ordine di cinque mila dollari, dunque una cifra non eccessivamente alta. In generale, il costo della ricerca è elevato, ma bisogna tenere conto del risparmio rispetto al ritorno a lungo termine, nel rapporto costi/benefici”.
Approcci chirurgici: la laparoscopia 3D. A colloquio col Dott. Alessandro Anselmo (PTV)
A parlare al nostro giornale di questa tecnica è il Dottor
Alessandro Anselmo, che ha curato la Segreteria scientifica del Congresso odierno al PTV "Breaking news in kidney transplantation", insieme al Dottor
Giuseppe Iaria. Anselmo illustra il vantaggio nel poter passare, nell’ambito chirurgico della laparoscopia, da una visione in due dimensioni ad una visione tridimensionale, una tecnologia di cui il suo gruppo si sta occupando. “La tecnologia 3D, da noi già applicata per nefrectomia su pazienti affetti da tumore al rene, ci offre un’eccellente profondità del campo operatorio, abbinata ad un ottimo sincronismo tra l’occhio e gli strumenti operatori”, ha spiegato Anselmo. “La laparoscopia 3D fonde le caratteristiche d’eccellenza della tecnica tradizionale (nitidezza della visione, alta resa cromatica, risoluzione) a quella dell’elaborazione digitale dell’immagine, permettendo una visione tridimensionale con profondità di campo vicina alla chirurgia open. Tutto ciò è possibile con l’uso di caschetti (tecnologia di derivazione aeronautica) oppure di occhiali con lenti polarizzate che vengono indossati dai chirurghi e che forniscono agli stessi una visione 3D, cosa impossibile nella laparoscopia tradizionale. I vantaggi principali riguardano dunque i seguenti aspetti:
ottima qualità dell’immagine, visione stereoscopica e maggior confort del chirurgo”.
In una tavola rotonda interattiva e un video-forum, durante il Congresso, è stata effettuata una dimostrazione in 3D sulle tecniche di donazione del rene in laparoscopia nei casi di donatore vivente. E poi, “la nefrectomia robotica, con il robot Da Vinci, è stata illustrata con bellissime immagini e video dal Dottor
Andrea Collini, dell’Azienda Opedaliera Universitaria di Siena. Un’altra innovazione, presentata durante il Congresso da Nizam Mamode e Roberto Cacciola, entrambi chirurghi provenienti da prestigiosi ospedali londinesi, riguarda la tecninca laparoscopica ‘hand-assisted’, che ha grandi vantaggi perché il chirurgo può inserire direttamente la mano attraverso una piccola incisione. La possibilità di eseguire delicate trazioni sui tessuti e di apprezzarne la consistenza, di percepire le pulsazioni arteriose e di eseguire l'emostasi per compressione sono i vantaggi principali della tecnica 'hand assisted'", conclude Anselmo.
Donatori viventi: come gestirli e le priorità in questo caso. A colloquio col Dottor Giuseppe Iaria (PTV)
“Il donatore vivente è un individuo sano che si sottopone ad un intervento chirurgico: può essere un consanguineo (familiare) del ricevente oppure un non consaguineo (il coniuge oppure un “donatore samaritano”). Il numero dei trapianti da donatore vivente è ancora basso: nel Lazio lo scorso anno ne sono stati eseguiti 25, contro i circa 140 da donatore cadavere. Nella regione ci sono ancora 850 pazienti in lista d’attesa per un rene”, ha spiegato il Dottor
Giuseppe Iaria della U.O.C. Chirurgia dei Trapianti del Policlinico Tor Vergata, che durante il Congresso ha moderato l'intervento
How to manage and increase the living donor pool. “Senz’altro, la laparoscopia permette un trauma minore per il donatore, con una più rapida ripresa dall'intervento chirurgico. Le ultimissime tecniche prevedono inoltre l'uso del ‘Robot’ Da Vinci, con un operatore alla consolle, e non più in sala operatoria, come ha illustrato il Dott.
Andrea Collini. Ma al di là della tecnica chirurgica utilizzata, il primo punto a cui prestiamo attenzione è la sicurezza per chi si sottopone all'intervento. In tal senso i rischi per il donatore vivente sono bassissimi, dato che la procedura della nefrectomia è sempre condotta seguendo i più opportuni momento, chirurgo, modalità e tecnica”.
Quali sono i vantaggi di una donazione da individuo vivente? “Oltre al fatto che questi è sano mentre il ‘donatore cadavere’ è stato sottoposto ad una serie di manovre rianimatorie che comportano l'uso di farmaci a volte tossici per il rene, un aspetto importante riguarda la riduzione i tempi di ischemia fredda dell’organo da trapiantare, per la ripresa immediata della funzionalità. Spesso il prelievo da 'donatore cadavere' viene eseguito in un’altra regione oppure l'organo ci viene inviato in aereo. Per quanto rapidi possano essere i trasporti, la media di ischemia fredda è di 10 ore. Nel caso del trapianto da donatore vivente, la procedura donazione/trapianto viene eseguita in 2 sale operatorie contigue, con tempi di ischemia fredda di pochi minuti. I reports della letteratura internazionale forniscono dati a dimostrazione di questo aspetto”. Ad illustrare le principali strategie per aumentare il ‘bacino’ di donatori viventi sono stati il Dott.
Roberto Cacciola (Barts and London Hospital) di Londra, il Dott.
Nicola Torlone del Centro Regionale Trapianti Lazio, la Dott.ssa
Lucrezia Furian (Università degli Studi di Padova) e il Dott.
Nizam Mamode (Guy’s and St. Thomas’ Hospital) di Londra.
Coordinamento infermieristico nel trapianto del rene. A colloquio con Paola Pietrogiacomi (Policlinico Gemelli)
Paola Pietrogiacomi, Coordinatrice del Centro Trapianti del Policlinico Agostino Gemelli Università Cattolica del Sacro Cuore, spiega al nostro giornale in cosa consiste l’attività di coordinamento trapianti da lei svolta presso il Policlinico: “Questa figura professionale e l’Ufficio di Coordinamento del Centro Trapianti sono presenti all’interno del Policlinico Gemelli, rappresentando
uno dei pochi casi di ospedale, nel Lazio, fornito di questa figura, che però non è riconosciuta a livello ufficiale. Sono infatti poche le realtà singole, nelle varie regioni italiane, in cui questo coordinamento è riconosciuto ufficialmente”, ha spiegato Pietrogiacomi, che in qualità di Coordinatrice svolge diverse mansioni. In generale, dei coordinatori locali parla l’articolo 12 della legge 91/1999, che cita anche “collaboratori scelti”, di cui i coordinatori locali “possono avvalersi”. “Oltre all’infermiere adibito alla donazione, presente in tutti gli ospedali, nel nostro caso il coordinamento riguarda la gestione del paziente durante tutto il percorso legato al trapianto, dalla chiamata relativa alla donazione fino alla gestione, insieme al medico che è il punto di riferimento, del follow-up dei controlli dopo il trapianto. La nostra reperibilità, fino al momento del trapianto, è valida 24 ore su 24. Le varie attività vanno dal contattare il medico responsabile rispetto all’allocazione dell’organo, contattare tutti i pazienti coinvolti, gestire le comunicazioni tra medici, infermieri e pazienti (attivazione sala operatoria ecc) fino momento del trapianto. Poi, ci occupiamo anche della gestione del post intervento, ad esempio riguardo all’organizzazione e alla comunicazione dei controlli dopo l’intervento”. Insomma, quello che emerge è che “un migliore impiego del ruolo dell’infermiere anche in ambito trapiantologico rappresenterebbe senz’altro un valore aggiunto, coadiuvando e supportando il medico esclusivamente nelle mansioni relative alla gestione infermieristica”, conclude Pietrogiacomi.
Viola Rita
07 marzo 2014
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