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Speciale ADA. Stress da diabete: da non scambiare per depressione. E lo psichiatra non serve

di Maria Rita Montebelli

La maggior parte delle persone con diabete presenta dei sintomi da attribuire allo stress negativo causato da questa condizione cronica. E visto che non si tratta di una patologia psichiatrica, ma di una sorta di burn out , andrebbe gestito dal team diabetologico e non dallo psichiatra. E non va mai sottovalutato.

17 GIU - La relazione tra diabete e depressione è nota da tempo; un nuovo studio presentato al congresso dell’American Diabetes Association (ADA) dimostra che i sintomi depressivi nelle persone con diabete possono essere efficacemente ridotti da interventi mirati al trattamento dello ‘stress da diabete’ e che quello che comunemente viene etichettato come ‘depressione’, in realtà non sarebbe una patologia psichiatrica vera e propria ma una sorta di burn out da diabete, che è una patologia cronica, complessa, difficile da gestire e appunto stressante.
 
“La depressione in clinica – spiega Lawrence Fisher, Professore di Medicina di famiglia e di comunità presso la University of California di San Francisco si misura con delle scale basate su sintomi e non sulle cause; molto spesso la presenza di sintomi depressivi nelle persone con diabete riflette una condizione di stress e di burn out cronico, più che una patologia psichiatrica vera e propria.” Per tale motivo i ricercatori californiani hanno sviluppato uno strumento per misurare il ‘distress da diabete’ che individua se una persona ha presentato preoccupazione relativamente a questioni correlate al diabete, come ad esempio l’ipoglicemia. Ai pazienti è stato anche somministrato il Patient Health Questionnaire per la valutazione dei sintomi depressivi. i pazienti che presentavano elevati livelli di sintomi depressivi e di distress sono stati assegnati a tre diversi interventi, tutti mirati a ridurre il distress associato alla gestione le diabete, più che i sintomi di depressione. Un gruppo ha preso parte ad un programma di auto-gestione del diabete online, un altro, oltre a partecipare al programma online, ha ricevuto anche un assistenza individuale per la risoluzione dei problemi correlati al distress da diabete. Il terzo gruppo ha ricevuto un’assistenza personalizzata e materiale educativo sul diabete, per posta. Tutti i gruppi venivano inoltre contattati al telefono nel corso dello studio.
 
Tutti e tre gli interventi si sono dimostrati efficaci nel ridurre i sintomi depressivi e il distress da diabete nel corso dei 12 mesi di durata del progetto; in particolare, l’84% di quelli che presentavano una depressione di entità moderata all’ingresso, sono riusciti a ridurre sensibilmente i suoi livelli. “Questo dimostra – sottolinea Fisher – che quello che normalmente viene etichettato come psicopatologia, in realtà è stress da diabete e deve dunque essere affrontato e gestito dal team diabetologico.”
 
Un ulteriore studio, condotto sui pazienti con diabete di tipo 1, sottolinea l’importanza di trattare i sintomi depressivi perché maggiori sono, maggiore il rischio di mortalità dei pazienti. Lo studio, di grande importanza visto che le conseguenze della depressione nel diabete di tipo 1 sono un’area di ricerca poco esplorata,  ha analizzato dati provenienti da una coorte di pazienti con diabete di tipo 1 nell’area di Pittsburgh (Pittsburgh Epidemiology of Diabetes Complications study, EDC), dimostrando che i soggetti con diabete con i più elevati livelli di depressione sono quelli più a rischio di mortalità prematura. I ricercatori hanno utilizzato la scala Beck Depression Inventory per individuare i sintomi di depressione (umore basso, perdita di interesse nelle cose, perdita di appetito, senso di inutilità e tendenze suicidarie); i partecipanti allo studio, avevano ricevuto una diagnosi di diabete di tipo 1 da bambini tra gli anni ’50 e ’80 e sono stati studiati per la prima volta nel 1986; attualmente sono dunque al venticinquesimo anno di follow up. “Per ogni punto di aumento nella scala Beck Depression Inventory – fa sapere la dottoressa Cassie Fickley, primo autore dello studio – abbiamo rilevato una aumento del 4% del rischio di mortalità. Questi dati sono in linea con precedenti risultati dell’EDC, che dimostravano un aumentato rischio di patologie cardiovascolari in questa coorte di pazienti”.
 
Maria Rita Montebelli

17 giugno 2014
© Riproduzione riservata

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