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Consapevolezza: la nuova frontiera per la cura delle dipendenze. Il nuovo libro di Judson Brewer

di Paola Porciello

Nel libro il giovane direttore del settore Ricerca del Center for Mindfulness dell’Università del Massachusetts spiega il suo metodo per sconfiggere quella che chiama “The craving mind”. La mente “che brama” è la mente del paziente afflitto da una dipendenza. Il paziente è invitato a entrare in stretto contatto con le sue abitudini, prestando loro attenzione. E, in particolare, ci si sofferma sul fattore della "ricompensa"

07 MAR - “The craving mind”, la mente “che brama”, è il titolo del nuovo libro di Judson Brewer, disponibile su Amazon dal 6 marzo scorso. Il dottor Brewer è il giovane direttore del settore Ricerca del Center for Mindfulness dell’Università del Massachusetts. Formatosi in Psichiatria, si è poi specializzato nello studio di come la Mindfulness – nella sua accezione di “Consapevolezza” - possa aiutare gli individui alle prese con una dipendenza. Unendo le sue conoscenze di meditatore di lunga data con la ricerca neuroscientifica e psichiatrica, ha sviluppato un metodo rivoluzionario (che lui definisce “rivoluzionariamente antico”) per sconfiggere la sindrome che dà il titolo al suo libro, e per l'appunto “The craving mind”.

La mente “che brama” è la mente del paziente afflitto da una dipendenza, sia questa legata a una sostanza, quale il tabacco, l’alcol, la cocaina, o ad abitudini malsane come controllare continuamente i social network, mangiarsi le unghie, o finire in relazioni sentimentali poco soddisfacenti.
“Alla base della mente tossicodipendente - spiega Brewer - c’è il potente meccanismo di apprendimento basato su ricompense e punizioni”, mediante il quale abitudini apparentemente innocue possono trasformarsi in pericolosi circoli viziosi, e quindi in pattern di dipendenza più o meno gravi.

Le tecniche terapeutiche attualmente più utilizzate in questo settore sono quelle di stampo cognitivo-comportamentale, come il classico metodo dei 12 passi degli Alcolisti Anonimi. “Si lavora sulle abitudini dannose, cercando di modificare il comportamento tramite lo sviluppo di nuovi modelli cognitivi mentali, più adattivi. Gli elementi fondamentali sono l’evitamento della sostanza o del comportamento nocivo e la sua sostituzione con altre sostanze meno dannose e con un pensiero più funzionale”.

Questo processo di trasformazione dei pensieri si ricollega a un’area del cervello denominata corteccia prefrontale, “una delle più deboli dal punto di vista dell’apprendimento – sostiene Brewer. In momenti di stress, questi circuiti vanno in black-out, dando modo al circolo vizioso sottostante di prendere le redini. Motivo per cui chi ha smesso, può avere una ricaduta.”

Il metodo sviluppato dall’autore si muove esattamente nella direzione opposta, a cominciare dal fatto che il paziente è invitato a entrare in stretto contatto con le sue abitudini, prestando loro attenzione. “Con i miei pazienti, indaghiamo i tre fattori del circolo vizioso:
1) Cosa scatena la ricerca della sostanza (trigger)
2) Cosa fa l’individuo per soddisfare il “craving” (comportamento)
3) Qual è la ricompensa che si ottiene dal processo messo in atto.”

Quello della ricompensa è il passaggio critico. “Osservandola per la prima volta, i pazienti si rendono conto che la ricompensa che cercano è solo temporanea e illusoria, se non addirittura dannosa o controproducente – spiega l’autore”.

I pazienti vengono istruiti a portare consapevolezza alle sensazioni fisiche e ai pensieri che accompagnano il trigger e la ricompensa. La scoperta che spesso fanno è che fino a quel momento stavano funzionando come “topi da laboratorio”: spingendo la leva per ottenere la ricompensa (illusoria), in maniera automatica.

“La capacità terapeutica della consapevolezza agisce a un livello diverso da quello del pensiero – aggiunge Brewer. Essendo una capacità intrinseca dell’essere umano, tutti la possediamo già. Dobbiamo solo imparare a usarla. Se poggiamo la mano su una superficie incandescente, quanto sforzo impieghiamo per tirarla via? Non si tratta di un processo di pensiero ma di una conoscenza incarnata, una forma di saggezza del nostro corpo, che può modificare i comportamenti dannosi in maniera più fluida e persistente”.

Con un’introduzione di Jon Kabat-Zinn, fondatore del Center for Mindfulness e ideatore dell’MBSR (il programma di riduzione dello stress basato sulla Mindfulness), il libro di Judson Brewer offre una chiara descrizione dei meccanismi alla base delle dipendenze e di come questi possano essere superati mediante un programma di apprendimento basato sulla consapevolezza. Un metodo apparentemente controintuitivo che può dare grandi risultati.
“The craving mind” Non è l’ennesimo libro sui benefici della Mindfulness. Qui si scende temporaneamente dal cuscino di meditazione per andare a guardare con occhi nuovi i propri pattern di comportamento, con particolare attenzione al momento della ricompensa.

“Per qualche ragione – conclude Brewer – finora nessuno si è concentrato sulla fase della ricompensa, nonostante sia stata descritta con precisione 2500 anni fa. L’evitamento e la sostituzione di una sostanza o di un’abitudine dannosa continueranno solo a perpetrare il processo disadattivo.”
 
Paola Porciello

07 marzo 2017
© Riproduzione riservata

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