Profilassi antibiotica pre chirurgica non porterebbe a sviluppo di infezioni resistenti. Ma i pareri tra i ricercatori sono discordi
di Marilynn Larkin
Usare un antibiotico prima di un intervento chirurgico per evitare infezioni non sarebbe associato allo sviluppo di infezioni resistenti ai farmaci, almeno secondo uno studio sul Journal of the American College of Surgeon, ma la ricerca potrebbe presentare delle lacune.
23 OTT -
(Reuters Health) - La profilassi antibiotica prima di un intervento chirurgico non sarebbe associata allo sviluppo di infezioni resistenti. È quanto avrebbe evidenziato una ricerca coordinata da
Daniel Freedberg, del Columbia University Medical Center di New York. I risultati dello studio sono stati pubblicati sul
Journal of the American College of Surgeon.
Lo studio
Dal momento che non tutte le società riconoscono le linee guida per la profilassi delle infezioni prima di un intervento chirurgico, i ricercatori americani hanno voluto valutare gli effetti di questa pratica su interventi in cui il medico non segue delle indicazioni, e a sua discrezione decide se somministrare o meno antibiotici. Così, Freedberg e colleghi hanno esaminato i dati raccolti dal 2008 al 2016 su 22.138 adulti che hanno subito interventi per i quali non esistevano linee guida specifiche. Tra questi, le procedure chirurgiche più comuni sarebbero state urologiche, ortopediche e ginecologiche. La profilassi include l'uso di antibiotici di qualsiasi classe e dosaggio, somministrati da un'ora prima dell'incisione fino alla fine dell'operazione. Le infezioni post-operatorie entro 30 giorni sono state rilevate mediante coltura batterica da qualsiasi sito o fluido. Veniva classificate come infezioni resistenti agli antibiotici, quelle infezioni, sempre post-operatorie, il cui virus posto in coltura, mostrava suscettibilità intermedia o non mostrava alcuna suscettibilità a uno o più antibiotici.
I risultati
E’ stato osservato che 689 pazienti, pari al 3,1%, avrebbero sviluppato un'infezione post-operatoria dopo massimo 30 giorni dall'intervento, di cui il 49% era antibiotico-resistente. In totale, l'80% delle persone che si erano sottoposte a intervento aveva assunto una terapia profilattica, principalmente con cefalosporine, piperacillina-tazobactam o gentamicina. Circa la metà delle infezione avrebbe colpito gli uomini e circa la metà di ciascun gruppo sarebbe stata antibiotico-resistente. Dunque, l'uso della profilassi non sarebbe associato allo sviluppo di infezioni post-operatorie antibiotico-resistenti, anche quando sono stati considerati i farmaci dati quattro ore prima dell'incisione e con un follow-up di 14 giorni. Infine, secondo gli autori, precedenti infezioni resistenti sarebbero state associate in modo significativo all'aumento di rischio di infezioni post-operatorie, sempre antibiotico-resistenti.
I commenti
“Se si ha un'infezione dopo una profilassi, non è più probabile che sia resistente agli antibiotici”, ha riassunto Freedberg sottolineando che si tratta di “un risultato sorprendente, dal momento che una delle convinzioni più diffuse è che gli antibiotici in fase profilattica suscitano resistenza”. Secondo Prashant Sinha, chirurgo al NYU Langone Hospital di Brooklyn, a New York, ci sarebbero diverse limitazioni allo studio. “Prima di tutto è una revisione retrospettiva, il che potrebbe portare a un errore dovuto alla selezione. Inoltre – ha sottolineato l'esperto – il numero di procedure incluse rispetto a quelle totali eseguite nell'arco di tempo considerato è piccolo”.
Mentre
Trish Perl, direttore di malattie infettive alla UT Southwestern di Dallas, sottolinea il fatto che la definizione di infezione usata non è quella standard. Secondo l'esperta, gli autori avrebbero utilizzato “una definizione 'microbiologica' che potrebbe rappresentare la colonizzazione, non l'infezione”, ha sottolineato. Inoltre, lo studio non avrebbe preso in considerazione tutto l'arco di tempo usato per la profilassi, che arriva fino a 24 ore dopo la chirurgia. Uno studio precedente avrebbe infatti mostrato che la profilassi a più di 48 ore dall'intervento sarebbe associata all'acquisizione di resistenza e “senza queste informazioni i dati sono difficili da interpretare”, ha concluso la ricercatrice americana.
Fonte: Journal of the American College of Surgeon
Marilynn Larkin
(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)
23 ottobre 2017
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