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Chi dorme male è a rischio di fibrillazione atriale

di Maria Rita Montebelli

Uno studio appena pubblicato su Heath Rhythm dimostra che una cattiva qualità del sonno e una scarsa durata del sonno REM (più che la durata complessiva delle ore di sonno), rappresentano un importante fattore di rischio per fibrillazione atriale, al netto di qualunque altro fattore di rischio. Una scoperta che apre la strada a nuove ricerche e forse a nuove strategie di prevenzione di questa comune quanto pericolosa aritmia.

28 GIU - Dormire poco o male è un vero fattore di rischio per la salute cardio-metabolica. E un nuovo studio appena pubblicato su Heart Rhythm aggiunge evidenze a questo capitolo, rivelando che una scarsa qualità del sonno è un importante fattore di rischio anche per la fibrillazione atriale, aritmia a sua volta associata ad un aumentato rischio di ictus, demenza, infarto, nefropatia e mortalità.
 
Che la sindrome della apnee notturne fosse correlata ad aumentato rischio di  fibrillazione atriale era un fatto noto da tempo, anche se l’esatto meccanismo alla base di questa relazione non è noto. Quello che mette in luce questo nuovo studio però è l’aumentato rischio di fibrillazione, correlato ad una qualità del sonno, indipendentemente dalla presenza di apnee ostruttive.
 
Gregory Marcuse colleghi della University of California - San Francisco e colleghi hanno esaminato i risultati di quattro diversi studi per valutare se una scarsa qualità del sonno potesse essere di per sé un fattore di rischio per fibrillazione (FA). Analizzando i dati dello studio eHeart hanno evidenziato che i soggetti con un maggior numero di risvegli notturni, risultavano affetti da FA più degli altri. Quindi, sono andati a validare questi risultati analizzando i dati del Cardiovascular Health Study, uno studio di coorte prospettico finanziato dai National Institutes of Health; anche in questo caso, i soggetti che riferivano un maggior numero di risvegli notturni, sono risultati quelli a maggiori rischio di sviluppare fibrillazione atriale.
Nel sottogruppo di pazienti sottoposti a studi del sonno approfonditi, i ricercatori americani hanno riscontrato che il maggior predittore di fibrillazione atriale è una riduzione del sonno REM.
 
Infine, per valutare se questi riscontri fossero direttamente traslabili alla pratica clinica, gli autori dello studio sono andati ad analizzare una serie di cartelle cliniche elettroniche del California Healthcare Cost and Utilization Project (HCUP), relative a persone residenti in California, dai 21 anni in su, trattati presso un day-surgery, un dipartimento di emergenza o un ospedale dal gennaio 2005 al dicembre 2009. Questa enorme mole di dati (qualche milione di cartelle) ha confermato che una diagnosi di insonnia è predittiva di fibrillazione atriale, al netto di qualunque fattore di confusione.
 
La qualità del sonno (e non la sua durata) insomma è determinante per la salute cardio-vascolare e, nello specifico di questa ricerca, per proteggere dall’insorgenza di fibrillazione atriale. Un sonno disturbato insomma è un fattore di rischio importante per questa aritmia, ma non si sa attraverso quale meccanismo. A questa domanda dovranno dare risposta altri studi. Questo appena pubblicato è intanto il primo studio ad aver dimostrato questa relazione.
 
“Abbiamo diversi trattamenti disponibili per la fibrillazione atriale – ricorda Marcus -  ma la cosa ideale sarebbe riuscire a prevenire l’insorgenza di questa aritmia. La buona notizia è che la qualità del sonno è un parametro modificabile e che entro certi limiti è sotto il controllo di un individuo. È possibile che migliorando l’igiene del sonno, ad esempio facendo un costante esercizio fisico, andando a letto ad orari ragionevoli e regolari, evitando di guardaretablet o televisione prima di andare a letto e di bere caffè nella seconda metà del giorno, si riesca a tenere a bada di rischio di fibrillazione atriale”.
 
Maria Rita Montebelli

28 giugno 2018
© Riproduzione riservata

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