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Biomarkers e immunoterapia: dubbi e conferme per TMB e PD-1, mentre aumenta l’attenzione al microbioma. Il punto all’Esmo

di Sabina Mastrangelo

Con la diffusione degli inibitori di checkpoint, gli oncologi si focalizzano sull'importanza dei biomarkers nella scelta del trattamento più adatto al singolo paziente, mentre nuove evidenze sottolineano l'importanza del ruolo del microbioma nella risposta. E oggi all'ESMO si è parlato anche di SCLC

28 SET - Sembra essere ormai chiaro che un'ampia diversità a livello di microbioma sia associata a una migliore risposta all'immunoterapia, così come la presenza o assenza di determinati ceppi batterici sia associata con la risposta o meno a questi farmaci. Inoltre, l'uso di antibiotici prima di avviare l'immunoterapia influenzerebbe negativamente il microbioma e la risposta a questo trattamento. A fare il punto su come il microbioma influisca sull'immunoterapia è stata Solange Peters, dell'Università di Losanna, in Svizzera, che è intervenuta ieri all'ESMO2019, in corso a Barcellona, nell'ambito del simposio speciale “Optimal delivery of immuno-oncology in advanced NSCLC”.
 
L'esperta si è però soffermata soprattutto su quelli che attualmente sono i principali biomarker che aiutano a determinare le scelte terapeutiche degli oncologi: PD-1 e TMB. Sebbene il primo sia un metodo validato e consenta ormai di indirizzare lo specialista verso l'immunoterapia o la chemio già in prima linea, restano dubbi sull'utilità del secondo come biomarker predittivo dell'immunoterapia nel tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC), come evidenziato anche in due studi presentati al congresso.
 
Si trattava di due analisi post-hoc su pembrolizumab in confronto a chemioterapia, come monoterapia o in associazione. La prima analisi, presentata da Roy Herbst, dello Yale Cancer Center di New Haven (USA), ha riportato un'associazione positiva tra alti livelli di TMB e un miglioramento a livello di sopravvivenza complessiva (OS), sopravvivenza libera da malattia (PFS) e tasso di risposta oggettiva in pazienti precedentemente trattati o non trattati che ricevevano pembrolizumab in monoterapia per NSCLC o chemioterapia.
 
Una seconda analisi, invece, presentata da Luis Paz-Ares, dell'Hospital Universitario 12 de Octubre di Madrid, non avrebbe evidenziato alcuna relazione tra pembrolizumab in associazione a chemioterapia e TMB in pazienti con NSCLC non trattato in fase avanzata. “I nuovi aspetti di questi dati non riguardano la relazione tra pembrolizumab e TMB, che è coerente con studi precedenti, ma la mancanza di una relazione tra pembrolizumab e chemio insieme, e TMB”, ha sottolineato Kevin Litchfield del Francis Crick Institute di Londra.
 
All'ESMO è stato dato spazio, ieri, anche al tumore del polmone a piccole cellule (SCLC). Per questa tipologia di carcinoma, sono stati presentati da Martin Reck, della Lung Clinic di Grosshansdorf, in Germania, i risultati della sperimentazione IMpower133 che valutava l'aggiunta di atezolizumab a carboplatino ed etoposide nel trattamento di prima linea di SCLC in fase avanzata. L'immunoterapia sarebbe riuscita a migliorare la sopravvivenza complessiva e quella libera da malattia, quando aggiunta a carboplatino ed etopodside.
 
Il trial clinico di fase I/III ha preso in considerazione 201 pazienti trattati con atezolizumab in combinazione con carboplatino ed etoposide e 202 trattati con questi ultimi due più placebo. Dai risultati è emerso che la sopravvivenza media era di 12,3 mesi per il gruppo atezolizumab, contro 10,3 per il placebo. Inoltre, il 13% in più dei pazienti del gruppo trattato con atezolizumab sarebbe rimasto in vita a 18 mesi, rispetto al gruppo placebo.
 
“Anche se il beneficio sembra minimo, si tratta comunque di un progresso importante, considerando che parliamo di un tumore che è caratterizzato da estrema aggressività, che viene solitamente diagnosticato in fase avanzata e per il quale, in 40 anni di ricerca, non si è riusciti a sviluppare trattamenti migliori della chemioterapia”, ha spiegato Andrea Ardizzoni, del Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell'Università di Bologna. E a proposito delle prospettive future, l'oncologo ha sottolineato che la speranza è che “trattando il tumore nelle fasi precoci o associando l'immunoterapia ad altri trattamenti, come gli anti-angiogenici, si riescano ad avere risultati migliori”.
 
Sempre per quel che riguarda il SCLC, Ying Cheng ha presentato i risultati della sperimentazione ALTER 1202 sull'inibitore della tirosin-chinasi anlotinib, che avrebbe determinato un miglioramento della sopravvivenza da 2,6 mesi a 6,3 nei pazienti con metastasi al cervello. E mentre si pensa a eventuali trial in combinazione, Sanjay Popat, del The Royal Marsden NHS Foundation Trust, di Londra, commentando lo studio cinese, ha sottolineato che “è importante capire bene come incorporare eventualmente questa terapia nell'attuale approccio terapeutico, soprattutto alla luce dei risultati incoraggianti sull'immunoterapia e onde evitare che la tossicità superi i benefici”.  
 
Sabina Mastrangelo 

28 settembre 2019
© Riproduzione riservata

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