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Coronavirus. Fnomceo: “Bergamo è la ‘Caporetto’ della Professione, mettere subito in sicurezza gli operatori sanitari”


Ma per il presidente della Federazione Anelli è dramamtica la situazione in tutta la Lombardia e “i medici sono ancora messi nelle condizioni di lavorare con protezioni insufficienti, secondo le notizie che ci arrivano dagli Ordini”.

13 MAR - "Bergamo è una Caporetto per la nostra professione", l’allusione che usa Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici (Fnomceo). Ma, conferma lui stesso, è “espressione di una realtà che non si può né si deve  nascondere”. 
 
“La situazione in Lombardia è drammatica, i medici sono ancora messi nelle condizioni di lavorare con protezioni insufficienti, secondo le notizie che ci arrivano dagli Ordini. Ordini per lo più vuoti, costretti a chiudere perché anche gli impiegati, dopo i medici, sono ammalati o in quarantena per contatti con casi acclarati – racconta -. Erano 71 ieri i medici di medicina generale che, a Bergamo, erano ammalati o comunque in quarantena, 20 in più del giorno precedente. Per 10 di loro non si è riusciti a trovare un sostituto. Su 15 tamponi effettuati dei quali si è avuto il risultato, 12 erano positivi. Oggi i medici in quarantena sono 77, 11 senza sostituti. Per due di loro non si è potuta neppure attivare, in sostituzione, la Guardia Medica”. 
 
“Non va meglio nelle altre province – mette in guardia -. Oltre al nostro Roberto Stella, presidente dell’Ordine di Varese, abbiamo notizia di altri medici morti con quadri clinici compatibili con Covid-19: un medico di medicina generale nel lodigiano, uno pneumologo nel comasco. È ancora vivo, per fortuna, anche se in gravi condizioni, il medico del bergamasco del quale la sua Ats aveva erroneamente diffuso la notizia del decesso. Molti dei nostri colleghi e amici sono ammalati. E abbiamo dati certi solo per i medici di medicina generale, che ci arrivano dalle Ats, le Agenzie di tutela della salute, mentre non riusciamo a conoscere la situazione esatta degli ospedalieri, che sappiamo però essere drammatica. Turni massacranti, carenze di organico, mentre sembra allentarsi il confine temporale, per gli anestesisti rianimatori, della necessità di scelte impensabili, di dilemmi etici propri di scenari di guerra. E, anche in ospedale, mancano i Dispositivi individuali di sicurezza, maschere FFP3 e FFP2, visiere, guanti, sovracamici monouso. E cominciano a scarseggiare anche i tamponi. Nella nostra sede a Roma le bandiere sono a mezz’asta, il Portale Fnomceo è listato a lutto, e così rimarranno sino alla fine dell’emergenza, in memoria di Roberto Stella e degli altri medici caduti sul campo”.
 
“Come si è arrivati a questo? – si chiede Anelli -. Può esserci stata, all’inizio, una sottovalutazione del rischio, perché non si credeva che il virus fosse già in quelle zone. Ma è anche vero che i medici sono stati mandati - e sono tuttora costretti - ad affrontare l’emergenza a mani nude. E questo  per le falle, ancora non sanate, nel sistema di distribuzione, su base regionale, dei dispositivi individuali di protezione”.
 
“L’emergenza si sta ora estendendo a tutta l’Italia: gli operatori sanitari contagiati sono stati, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità diffusi ieri, 1116, su 13882 rilevati dalle Regioni. Poco meno del dieci per cento – constata Anelli -. Eppure, la letteratura internazionale invita, in caso di epidemia, a mettere in sicurezza il personale sanitario, perché è la risorsa più preziosa”. 
 
“Un articolo pubblicato il 13 febbraio scorso su The Lancet così ammoniva: è imperativo proteggere il personale sanitario non solo per salvaguardare la continuità delle cure, ma per assicurarsi che i professionisti non diventino veicolo d’infezione –  aggiunge ancora -. Oggi è il 13 marzo: cosa è stato fatto? Abbiamo notizia di colleghi  morti, almeno 1116 si sono ammalati, e in molte Regioni i dispositivi di protezione risultano insufficienti per assicurare a tutti gli operatori sanitari una tutela adeguata”.
 
“Come agire allora? – si domanda Anelli -. La parola chiave per uscire da questa drammatica impasse è, a nostro avviso, una sola: solidarietà. La stessa solidarietà che è uno dei principi cardine del nostro Servizio Sanitario Nazionale”.
 
“Occorre, come richiamato dal Ministro Francesco Boccia, solidarietà tra le Regioni, perché ritornino a ragionare come un corpo unico, come un Servizio sanitario nazionale, appunto, che coordina e gestisce i sistemi regionali -spiega -. Occorre solidarietà tra i cittadini, che stanno sacrificando le piccole libertà personali per un bene più grande, quello della salute. Solo limitando le occasioni di incontro e aggregazione limiteremo infatti le occasioni di contagio. Occorre solidarietà verso i medici, che non possono essere chiamati a sacrificare la loro vita e a mettere a rischio quella degli stessi pazienti per l’inadeguatezza delle loro condizioni di lavoro, perché costretti ad assistere i pazienti senza le dovute protezioni. Ci chiediamo se sia eticamente possibile metterli di fronte al dilemma di dover sacrificare la loro vita come unica – e sbagliata - soluzione per non smettere di portare soccorso”. 
 
“Ci appelliamo ora al Governo – conclude – perché metta in atto tutti gli strumenti per distribuire subito i dispositivi adeguati, contando anche sulla collaborazione degli Ordini delle Professioni sanitarie come parte della rete di distribuzione. Gli chiediamo che assicuri un ristoro almeno economico ai medici ospedalieri, per le loro condizioni massacranti di lavoro. Come sempre ripete il Ministro della Salute Roberto Speranza, insieme ne usciremo”. 

13 marzo 2020
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