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L’errore in medicina: ruolo dell’intelligenza artificiale e del contesto organizzativo

di Roberto Polillo

L'IA può avere un ruolo di semplificazione del lavoro clinico ma sarebbe illusorio ritenere che possa rappresentare la soluzione a problemi che nascono dalla relazione del medico con l'insieme dell'organizzazione in cui opera, dalla carenza di discussione clinica collettiva sui casi complessi e dalla deriva di una relazione con il paziente diventata con il tempo più conflittuale e meno empatica.

01 AGO -

Il tema dell'intelligenza artificiale (IA) applicata alla medicina sta diventando centrale nel dibattito pubblico e nella stampa specialistica del settore, specie americana

Due i principali campi di applicazione dell'IA in ambito clinico:

- l'ausilio nella redazione di cartelle cliniche, report e certificati vari: attività che rappresentano un impegno sempre più gravoso specie per i medici americani alle prese con la compilazione quotidiana di rendicontazioni per le assicurazioni gli ospedali in cui lavorano e gli stessi pazienti

- l'aiuto e supporto nella formulazione della diagnosi clinica al fine di evitare errori e ritardi diagnostici,

Nel primo campo i sistemi di scrittura automatica come chat- GPT hanno dato già prova di grandi capacità; questo è emerso da studi comparativi tra la qualità delle risposte date a una corposa serie di quesiti medici standard da parte di esperti in carne e ossa e sistemi automatici come chat- GPT.

Valutatori esterni infatti hanno evidenziato come i secondi abbiano dato risposte più affidabili sia in termini di appropriatezza dei contenuti e sia in termini di maggiore empatia comunicativa rispetto ai primi.

Il secondo campo di aiuto alla diagnosi è stato oggetto di diversi articoli su Jama e di un editoriale di Prathit A. Kulkarni e Hardeep Singh sul numero del 25 luglio 2023 dal titolo " Intelligenza artificiale nella diagnosi medica: opportunità, sfide e esagerazioni (hype)"

In questo ultimo contributo, gli autori sostengono che il "Supporto dall'intelligenza artificiale quando integrato efficacemente nel flusso di lavoro clinico può potenzialmente migliorare la qualità di cura" poiché la maggior parte dei danni causati da errori diagnostici coinvolge condizioni mediche comuni.

In tale contesto l'uso di chatbot AI potrebbe garantire che i medici prendano in considerazione tutte le condizioni comuni in grado di spiegare le manifestazioni cliniche del paziente" senza dovere fare affidamento nel processo di valutazione diagnostica solo sulla loro memoria; un approccio quest’ultimo inevitabilmente esposto al rischio di fallibilità. A questo va aggiunto poi, come ulteriore elemento a favore di AI, il dato che poiché anche i risultati delle indagini di laboratorio o radiografiche potrebbero non essere interpretati correttamente dai clinici, le piattaforme di chat AI consultabili, anche in tempo reale, potrebbero garantire che non siano state trascurate le diverse possibilità diagnostiche.

L'intelligenza artificiale infine ha anche il vantaggio di poter scansionare i file delle cartelle cliniche del paziente più velocemente di quanto possa fare un operatore ponendo in correlazione tra loro decine di appunti, trend di laboratorio, indagini radiologiche, referti patologici e dati diagnostici aggiuntivi.

Con le piattaforme di visualizzazione associate, l'IA potrebbe presentare questi dati in modo più intuitivo e suggerire un'interpretazione cumulativa dei dati storici.

Le cause dell'errore medico

Questi indubbi vantaggi nell'uso di IA si accompagnano tuttavia ad altrettanti e ben evidenti limiti.

Nella loro forma attuale, infatti i sistemi di lA non sono altrettanto efficaci nel tenere conto di alcuni aspetti di come si svolge il processo diagnostico nella vita reale.

Questi aspetti includono il possesso da parte del medico di specifiche competenze, indispensabili per una corretta diagnosi clinica e acquisibili solo con l'esperienza: la capacità di raccogliere correttamente l'anamnesi e di eseguire un accurato esame fisico del paziente; l'accuratezza dei dati elettronici riportati, il diverso grado di accuratezza della diagnosi definitiva e, non da ultimo, la capacità di empatia e comunicazione nel rapporto con il paziente.

In cosa e perché si sbaglia

Due articoli ci consentono di entrare nei dettagli della problematica.

Il primo è una "original investigation" del titolo "Errore diagnostico in medicina, Analisi di 583 errori segnalati dal medico" pubblicata nel 2009 (Arch Intern Med. 2009;16) da Gordon D. Schiff et al.

Nel lavoro vengono analizzati dei questionari anonimi redatti da medici che segnalano errori propri o di altri colleghi, di cui erano a conoscenza, in ambito ospedaliero. Tali errori di diversa gravità clinica vengono stratificati in ordine di frequenza.

L' Embolia polmonare e le reazioni ai farmaci (inclusi sovradosaggio e avvelenamento) sono le 2 diagnosi più frequentemente mancate (4,5% ciascuno), seguite da vicino dal cancro ai polmoni (3,9%) e dal cancro del colon-retto (3,3%).

I Tumori primitivi del polmone del colon o della mammella rappresentano il 10,3% degli errori diagnostici. La sindrome coronarica acuta (incluso l'infarto miocardico acuto) e l'ictus (inclusa l'emorragia intracranica) rappresentavano insieme il 5,7% dei casi. Le emergenze chirurgiche tra cui fratture ossee, ascesso, aneurisma o dissezione aortica, appendicite acuta e compressione del midollo spinale rappresentavano l'8,2% dei casi. Tutti i tipi di cancro insieme costituivano la più grande categoria di malattie, con 118 casi segnalati (20,2%).

Ancora più interessante l'analisi su quale sia stata la fase o le fasi del processo diagnostico in cui si è generato l'errore.

Al primo posto l'erronea valutazione di test di laboratorio e radiologici (scelta dei test, performance dei test e elaborazione clinica) (44%), seguita dall'erronea valutazione clinica (32%) (ipotesi diagnostica, la ponderazione o l'assegnazione di priorità) la omessa o ritardata prescrizione di test necessari e infine da lettura errata dei test di laboratorio o radiologici (11% ciascuno)

L’errore clinico in abito di cure primarie

Il secondo studio di Hardeep Singh et al. comparso nel 2013 su Jama Medicine ha invece analizzato gli errori diagnostici in ambito di cure primarie.

La maggior parte delle diagnosi mancate sono condizioni comuni: polmonite (6,7%), insufficienza cardiaca congestizia scompensata (5,7%), insufficienza renale acuta (5,3%), cancro (primario) (5,3%) e infezione del tratto urinario o pielonefrite (4,8%).

Le fasi del processo potenzialmente all'origine dell'errore avevano potevano riguardare: la fase dell'incontro clinico tra paziente e medico (78,9%); eventuali rinvii e ritardi (19,5%); fattori correlati al paziente (16,3%); il follow-up e monitoraggio delle informazioni diagnostiche (14,7%); l'esecuzione e interpretazione dei test diagnostici (13,7%). Complessivamente nel 43,7% dei casi risultavano coinvolti più di uno di questi processi.

L'errore come concatenazioni di eventi negativi.

Entrambi gli studi hanno posto l'accento sulla multifattorialità nella genesi dell'errore a partire da un’insufficiente valutazione anamnestica-clinica del paziente.

Un ulteriore aspetto che deve però essere evidenziato è il ruolo giocato dal contesto organizzativo.

L' errore infatti difficilmente è responsabilità del singolo medico, ma è molto più spesso generato da una serie di eventi negativi strettamente legati dal contesto organizzativo. L' errore in altri termini nella maggioranza dei casi nasce da un malfunzionamento di un processo assistenziale in cui sono coinvolti più di un professionista e non soltanto chi ha in carico il paziente

E questo è ancora più vero oggi in cui alla riduzione degli organici si accompagna una condizione di logoramento dei medici e di burnout per le pessime condizioni in cui ci si trova a lavorare; con la conseguenza che i tempi di riflessione e di analisi di ogni caso clinico vengono compressi o totalmente annullati.

Tecnologia e condizioni di lavoro

Non è dunque la tecnologia che può risolvere problematiche che, specie in ambito ospedaliero, nascono da un contesto progressivamente più ostile e conflittuale e meno propenso allo studio collegiale del caso clinico. Un'attività quella del meeting di reparto che era un vanto di molti ospedali italiani e che rappresentava un insostituibile momento di crescita professionale per l'intera equipe e di trasmissione di saperi alle nuove generazioni

Oggi in realtà non esiste più neanche l'equipe e l'assistenza è diventata quasi un atto privato del medico di turno, spesso solo, e il paziente

Alla luce di tutto questo si può dunque affermare che l'IA può avere un ruolo di semplificazione del lavoro clinico ma sarebbe illusorio ritenere che possa rappresentare la soluzione a problemi che nascono dalla relazione del medico con l'insieme dell'organizzazione in cui opera, dalla carenza di discussione clinica collettiva sui casi complessi e dalla deriva di una relazione con il paziente diventata con il tempo più conflittuale e meno empatica.

Roberto Polillo



01 agosto 2023
© Riproduzione riservata


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