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Cop28, le motivazioni della “salute” e il diritto alla “sanità”

di Giorgio Banchieri e Andrea Vannucci

Siamo in un contesto quasi al limite per aiutare l’ecosistema “Pianeta Terra” a trovare un equilibrio con la presenza umana e le sue modalità di riproduzione come specie. Non ci saranno rinvii ai processi in atto se le persone non escono dall’”io” e non riscoprono il “noi” ovvero l’essere una comunità inclusiva, coesa e solidale. Sanità e salute non vivono in astratto. Hanno bisogno di fatti concreti e di partecipazione per continuare ad essere “bene comune e individuale”

12 DIC -

Come noto viviamo in un mercato globalizzato. Il mercato induce i bisogni che non sempre sono primari. Di solito sono indotti, ovvero, servono per sostenere consumi che a loro volta mantengono il giro “produzione-distribuzione- consumi” che sostiene tutto il nostro sistema economico sociale.

Il mercato genera “stili di vita” che si sostanziano in “stili di consumo”. Questo vuol dire che spinge inevitabilmente i “consumatori”, ovvero noi, a cercare la nostra identità consumando quanto viene offerto. Il tutto spinge quindi verso identità “culturali effimere” e “continuamente cangianti” legate alla prevalenza nel mercato di oggetti, beni, servizi, e consumi anche “culturali”. Più “salutismo” e meno “salute”. La spinta all’individualismo e all’egocentrismo ha dietro come “motore” proprio queste dinamiche. Il tutto sia a livello globale che di singoli individui.

Ovviamente questa omologazione antropologica ha cambiato i rapporti interpersonali e la nascita del web ha supportato questo processo amplificandolo. Non voglio assolutamente dire che queste dinamiche non siano anche progressive, ma non sempre necessariamente, Dipende molto come si usano.

La globalizzazione comporta anche processi mai visti di polarizzazione economico finanziaria e quindi sociale. OXFAM ha dimostrato dati alla mano, che ormai siamo arrivati ad una concentrazione della ricchezza che vede l’1% della popolazione mondiale detenere circa il 99% delle risorse economico finanziarie e il restante 99% specularmente solo 1% …

Questo ha contribuito e contribuisce, soprattutto nei Paesi dell’Europa Occidentale a determinare uno “sfarinamento” verso il basso dei ceti sociali intermedi che progressivamente hanno perso le loro identità e le loro rappresentanze.

Anche durante il Covid la polarizzazione nel nostro Paese è andata avanti. A livello dei redditi ci hanno perso 2/3 degli italiani. Due miliardi si sono spostati. Ovviamente donne e giovani pagano il prezzo più alto.

È andata affermandosi nei Paesi sviluppati e anche in Italia progressivamente la cosiddetta “società liquida “, terrorizzata per primo dal collega Zygmunt Bauman [si veda il suo ultimo libello “Un mondo fuori asse” di Laterza].

La società liquida tendenzialmente non ha bisogno di “corpi intermedi”, si riducono gli spazi di rappresentanza, le appartenenze e la fondamentale partecipazione attiva delle persone alla vita delle comunità a tutti i livelli.

Questo è molto visibile nelle generazioni più giovani, travolte da social media, web, consumerismo ed edonismo formale. Hanno perso la percezione di essere portatori di diritti sociali e di doveri verso le loro comunità. C’è insieme anche molta angoscia causata dalla paura di un futuro globale pieno di incognite (clima, ambiente, salute, progettualità personale, guerre, etc.) di non avere strumenti adeguati di lettura dei contesti così come di “capacità critica”, spesso, anche nei rapporti interpersonali.

Infatti tutta la scuola, compresi gli studi universitari stanno subendo una “pauperizzazione culturale” – ovvero – una crescente difficoltà a svolgere nei tempi previsti i loro programmi come da piani di studio ai vari livelli e quindi tendono a dover “semplificare al ribasso” i contenuti da trasferire determinando così un inevitabile impoverimento delle competenze degli studenti.

Viviamo quello che gli economisti chiamano un “loop negativo” che si riflette sulla società intera e in tutte le sue articolazioni. Non c’è consapevolezza vera a livello istituzionale che per la “denatalità crescente” abbiamo ormai classi di diciottenni che si affacciano sul mercato del lavoro che in 10 anni si sono ridotte da quasi 900,000 unità annue a circa 450.000.

Per altro, come già scritto, di questi 450.00, un terzo sono classificabili come “NEET”, ovvero giovani che non lavorano né studiano. Dove sono, come vivono, come sopravvivono in prospettiva?

Per altro, quindi, con i restanti 301.500 giovani dovremmo “ricambiare” tutto il sistema Paese e i numeri ci dicono che non è possibile a meno che non ci accontentiamo di un graduale processo di un impoverimento complessivo del Paese, sempre più di servizi che non di settori produttivi o primari

Secondo i più recenti dati ISTAT abbiamo, infatti, circa 1,7 milioni di giovani, quasi un quinto di chi ha tra 15 e 29 anni, che non studia, non lavora e non è inserito in percorsi di formazione (i cosiddetti Neet). La quota di Neet cala fino a tornare a un livello prossimo al minimo del 2007, ma resta sopra la media Ue di oltre 7 punti e più bassa solo a quello della Romania.

Il fenomeno dei Neet interessa in misura maggiore le ragazze (20,5%) e, soprattutto, i residenti nelle regioni del Mezzogiorno (27,9%) e gli stranieri (28,8%). In Sicilia i sono quasi un terzo dei giovani tra i 15 e i 29 anni, mentre la quota raggiunge il valore minimo, 9,9%, nella Provincia autonoma di Bolzano. L'incidenza dei Neet diminuisce al crescere del titolo di studio: è di circa il 20% tra i giovani diplomati o con al più la licenza media, mentre si ferma al 14% tra i laureati.

Quando qualche opinionista, ricercatore e/o divulgatore scientifico paventa la trasformazione del nostro Paese – se lasciato andare a queste dinamiche -come possibile “Florida” della UE, rischia di prenderci, salvo dinamiche diverse e innovative, che però, sinceramente – non si vedono all’orizzonte.

“One Health” e salute ora
“One Health” all’inizio – come noto - non era concepita nella sua accezione attuale ed era più incentrata sulla salute umana, sulla salute degli animali domestici e sui sistemi alimentari senza tenere conto dei contesti ecologici, socioeconomici, culturali e politici all'interno dei quali la proposta “One Health” oggi viene inquadrata.

Allora non esistevano obiettivi o standard formalmente riconosciuti per l'implementazione di “One Health”, né metriche convalidate per valutare le prestazioni o il valore aggiunto e gli effetti positivi o negativi.

Con l'inclusione formale del “Programma Ambientale” delle Nazioni Unite (UNEP) nella condivisione con WHO, FAO e WOHA nel 2022, e con il successivo lancio del “Global One Health Joint Plan of Action” (2022-26), si è creata finalmente un'opportunità per affrontare in un modo nuovo l’approccio “One Helth”.

Un primo passo importante è stata la pubblicazione di una definizione di “One Health” approvata e condivisa tra le quattro organizzazioni internazionali con l’indicazione dei suoi principi di base: “One Health è un approccio integrato e unificante che mira ad equilibrare e ottimizzare in modo sostenibile la salute di persone, animali ed ecosistemi. Riconosce che la salute dell’uomo, degli animali domestici e selvatici, delle piante e dell’ambiente in generale (ecosistemi inclusi) sono strettamente collegati e interdipendenti. L’approccio One Health spinge molteplici settori, discipline e comunità a vari livelli della società a lavorare insieme per promuovere il benessere e affrontare le minacce per la salute e gli ecosistemi, affrontando al tempo stesso la necessità comune di acqua pulita, energia e aria, alimenti sicuri e nutrienti, contrastando il cambiamento climatico e contribuendo allo sviluppo sostenibile” [One Health High-Level Expert Panel (OHHLEP). Annual Report 2021]

In precedenti articoli sul tema su Quotidiano Sanità, affermavamo che le crisi di salute pubblica sono tutte dovute ad eventi biologici, sociali, economici e politici. Queste sfide non possono essere affrontate solo dalla medicina umana o dalla sanità pubblica ed un’ampia letteratura ha ormai riconosciuto quanto sia necessario un approccio inter e transdisciplinare.

Nella più recente pubblicazione del rapporto annuale del “Global Carbon Project” i dati che ne emergono non sono confortanti. L’Europa è la regione per ora più virtuosa, seguita dagli Stati Uniti. Aumentano invece le emissioni di Cina e India. Impegni, promesse, finanziamenti si susseguono ma l’anidride carbonica continua ad aumentare. Nel 2023 siamo saliti di un altro scalino: più 1,1% rispetto al 2022. Sembra una percentuale piccola, ma equivale a 36,8 miliardi di tonnellate riversati nell’aria a causa dei combustibili fossili. Nel 2022, rispetto al 2021, si era registrato un aumento dello 0,9%.

Nelle dinamiche della “globalizzazione” ci sono enormi contraddizioni tra Paesi emergenti e Paesi già “sviluppati”. I Paesi in crescita non vogliono subire il ricatto delle economie sviluppate e accettare tassi di sviluppo più bassi, anche perché non dispongono di tecnologie “green” adeguate e utili e, dal loro punto di interesse, non vogliono ridurre i propri tassi di sviluppo. Chi possiede tecnologie “green” ce le ha e le vuole “vendere” e “condizionare” i mercati … Questo comporta che nelle grandi megalopoli industriali dei Paesi emergenti si manifestano situazioni di altissimo rischio (percolati e altri inquinamenti, promiscuità, sociale, etc.). Un nome per tutte: Wuhan ….

COP28 e suoi risultati parziali
La Presidenza della COP28, in collaborazione con l'Organizzazione mondiale della sanità e il Ministero della salute e della prevenzione degli Emirati Arabi Uniti, ha presentato la "Dichiarazione COP28 degli Emirati Arabi Uniti sul clima e la salute" per porre la salute al centro dell'azione per il clima e accelerare lo sviluppo di sistemi sanitari resilienti al clima, sostenibili ed equi.

Approvata da 123 Paesi, la Dichiarazione segna una prima mondiale per tutti quei governi che riconoscono i crescenti impatti sulla salute dei cambiamenti climatici sulla salute delle comunità e dei Paesi e riconosce i grandi benefici per la salute delle persone che deriverebbero da un'azione climatica più forte, anche riducendo l'inquinamento atmosferico e mantenendo adeguati livelli di assistenza sanitaria.

Per la prima volta, i Ministri della Salute hanno partecipato alla Conferenza Annuale sul clima delle Nazioni Unite insieme ai loro colleghi dei Ministeri dell'Ambiente. È un segnale di cambiamento nel modo in cui vengono considerate le politiche climatiche, con una maggior attenzione alle implicazioni sociali delle decisioni dei Governi che arriva quando i decessi annuali per l’inquinamento dell’aria hanno colpito quasi 9 milioni di persone nel mondo, le malattie legate al calore e i decessi sono in aumento e 189 milioni di persone sono esposte a eventi meteorologici estremi ogni anno.

"La crisi climatica è una crisi sanitaria, ma per troppo tempo la salute è stata una nota a piè di pagina nelle discussioni sul clima", ha affermato il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale dell'Organizzazione mondiale della sanità. “OMS accoglie con favore questa dichiarazione, che sottolinea la necessità di costruire sistemi sanitari resilienti al clima e a basse emissioni di carbonio, per proteggere la salute sia del pianeta che delle persone".

La Dichiarazione COP28 elenca una serie di aree di azione riguardo il nesso tra clima e salute, tra cui la costruzione di sistemi sanitari più resilienti al clima, il rafforzamento della collaborazione intersettoriale per ridurre le emissioni, la massimizzazione dei benefici dell'azione sul clima e l'aumento dei finanziamenti per le soluzioni climatiche e sanitarie. I firmatari si sono inoltre impegnati a incorporare gli obiettivi sanitari nei loro piani climatici nazionali e a migliorare la collaborazione internazionale per affrontare i rischi per la salute dei cambiamenti climatici, anche nelle future COP.

Si riconosce inoltre che l’aspetto finanziario sarà un fattore significativo del successo della Dichiarazione. Tanto che alla Conferenza COP28 sono stati annunciati interventi finanziari da una vasta gamma di parti interessate, tra cui Governi, Banche di Sviluppo, Istituzioni Multilaterali, Filantropie e ONG per espandere i loro investimenti in soluzioni climatiche e sanitarie. Collettivamente, questi partner si sono impegnati a dedicare 1 miliardo di dollari per affrontare le crescenti esigenze della crisi della salute determinata dal cambiamento del clima. Sono cifre adeguate? Purtroppo, per la dimensione del problema, sono” spiccioli”, un inizio, ma sempre per ora “spiccioli”.

Siamo in un contesto quasi al limite per aiutare l’ecosistema “Pianeta Terra” a trovare un equilibrio con la presenza umana e le sue modalità di riproduzione come specie. Siamo la specie più “manipolatrice” dell’ambiente. È una corsa contro il tempo. L’ecosistema terra cerca e trova comunque i suoi equilibri di sopravvivenza e questo potrà includere o meno la presenza umana. È una constatazione oggettiva.

Torna utile a tal fine leggere il testo di Noam Chomsky, titolato “Insieme per salvare il pianeta”, Editore “Ponte alle grazie”. Nel testo Chomsky afferma che “... Una doppia minaccia incombe. Dopo Hiroshima, non siamo più usciti dall’era atomica, l’uomo è in grado di distruggere sé stesso e ogni altra forma di vita, e oggi, con i nuovi fronti di guerra, il pericolo di un’apocalisse nucleare è più vivo che mai. Ci troviamo in un’era geologica “antropocene”, una era geologica “generata” dalle attività umane, con rischi terribili per il clima e dunque per l’umanità intera” … inoltre … “Una terza minaccia è collegata alle due principali, è il continuo attacco a cui è sottoposta la democrazia, una democrazia, del resto, sempre meno perfetta”.

Che fare? “… si possono mettere insieme le grandi battaglie, grandi battaglie che ci riguardano tutti e gli sforzi quotidiani per migliorare l’esistenza degli individui e delle società… “

Ovviamente non bisogna arrendersi alle dinamiche in atto … occorre mobilitarsi e mobilitare persone e coscienze, movimenti e istituzioni. Siamo a una torsione importante della storia del Paese. Non ci saranno rinvii ai processi in atto se le persone non escono dall’”io” e non riscoprono il “noi” ovvero l’essere una comunità inclusiva, coesa e solidale.

Sanità e salute non vivono in astratto. Hanno bisogno di fatti concreti e di partecipazione per continuare ad essere “bene comune e individuale”.

“One Health” ci riguarda tutti e ha bisogno di tutti!

Giorgio Banchieri, Segretario Nazionale ASIQUAS, Docente del DiSSE, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Università “Sapienza” di Roma.
Andrea Vannucci, Socio ASIQUAS, Professore a contratto DISM Università di Siena, socio Accademia Nazionale di Medicina, Genova.



12 dicembre 2023
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