Quotidiano on line
di informazione sanitaria
Mercoledì 01 MAGGIO 2024
Studi e Analisi
segui quotidianosanita.it

Gli ospedali “sbagliati”

di Angelo Aliquò

Ritengo che l’ospedale ideale non esista. Esiste invece un ospedale ideale per ogni contesto, quello dove ci sia sicurezza per i pazienti e per gli operatori, in uno stato dove non ci si occupi solo di sventare e combattere la corruzione, le inefficienze e il malcostume, ma dove sia premiata la velocità di realizzazione delle opere, la qualità delle realizzazioni, la capacità di offrire opere in grado di ospitare nel tempo attività che cambiano, si evolvono e si adattano ai tempi

13 DIC -

Mentre eravamo appassionatamente immersi in una discussione filosofica sulla urbanità degli ospedali, parte della vita cittadina, integrati nella comunità e nelle attività di essa, mentre la discussione verteva sulla necessità di umanizzare le cure al punto da consentire ai visitatori l’accesso alle rianimazioni - seppure con precauzioni particolari - e qualcuno chiudeva gli occhi su standard di distanza dei posti letto per rispondere alle numerose richieste di ricovero, abbiamo rivissuto l’esperienza che molti ritenevano appartenesse alla storia. Molti, perché alcuni studiosi l’avevano preconizzata benissimo. Bene, anche io ero tra i molti e mi dilettavo in discussioni che già a distanza di pochi mesi tutti avremmo messo in crisi.

Le aziende improvvisamente hanno dovuto “distinguere i percorsi” non solo del materiale sporco e del materiale pulito, ma del flusso di pazienti e operatori, in particolare nei Pronto Soccorso. In alcuni casi bastava modificare delle aperture da finestra ad accesso, ma come fare quando il Pronto Soccorso è situato al primo Piano con un accesso dalla rampa? Il fallimento e la qualità dei progettisti è improvvisamente risultata tristemente evidente, anche per progetti pubblicati nelle più importanti riviste di architettura.


In più di un ospedale è stato necessario piazzare addetti che h24 provvedevano a spruzzare disinfettanti su ogni paziente o addetto che passava negli incroci tra percorsi covid e non-covid. Le strutture non erano adattabili alle esigenze mutate. Non avevano alcuna elasticità di utilizzo.

Il covid più di ogni commissione tecnica ha messo in evidenza i limiti strutturali di molti degli ospedali italiani. E il PNRR non riuscirà in gran parte a risolverli se non cambieranno anche le norme che consentiranno un più facile iter per l’uso delle risorse.

Se è vero che nel mondo sanitario sono sempre più frequenti i convegni e le pubblicazioni che riguardano l'errore medico, il mondo dei tecnici progettisti dovrebbe interrogarsi su quanto la progettazione e la realizzazione di ospedali "sbagliati" in tutto o in parte possa contribuire agli errori in sanità e quanto invece una buona architettura possa aiutare a ridurre il rischio di errore.

Sono troppi gli “ospedali sbagliati” nel nostro paese e influenzano l’agire al proprio interno. L’impatto ambientale sulla performance dei processi sanitari è un argomento da affrontare con un approccio tanto scientifico quanto pratico, che guardi alle dinamiche e alle interazioni, alle esigenze umane, all’uso di strumenti, di grandi e piccole apparecchiature e ai bisogni del paziente.

L’esame di alcuni progetti e il confronto con alcuni professionisti "utilizzatori" dell'ospedale, la visione della struttura da parte di esperti ma anche di fruitori, può rappresentare un posto un punto di vista innovativo nella fase dello sviluppo di nuovi progetti.

Imparare dagli errori, esaminare quanto gli ambienti e la distribuzione degli spazi possano aiutare i professionisti con esempi concreti da analizzare per valutare l’impatto sull’utenza.

Ma un ospedale può rivelarsi “sbagliato” anche se non è adeguabile ai tempi e se non è stato pensato come organismo dinamico, in continua evoluzione. Non possiamo immaginare gli ospedali come entità statiche e immutabili, perché vivono l’esigenza di essere trasformati per rispondere a nuovi bisogni di salute.

La recente vicenda dolorosa di Tivoli ha fatto emergere con tragica evidenza, come hanno fatto notare le due associazioni dei Direttori Generali delle Aziende Sanitarie pubbliche Federsanità ANCI e FIASO, sia la necessità di rivedere le norme ormai anacronistiche che regolano le erogazioni di finanziamenti e le relative autorizzazioni, che paradossalmente - a secondo della linea di finanziamento - sono differenti, sia l’esigenza di avere equipe qualificate che possano gestire le nuove progettazioni o gli adeguamenti delle strutture sanitarie in modo efficace.

L’argomento è certamente spinoso, un campo di discussione a volte accesa, dove diversi maestri dell’architettura moderna si sono cimentati. Basti pensare all’ospedale ideale di Renzo Piano che l’allora ministro Veronesi volle fortemente, forse cercando una perfezione ed un modello “definitivo” che Renzo Piano non voleva e non poteva creare.

In una intervista rilasciata nel 2013, alcuni anni dopo la definizione dell’ospedale ideale dichiarava:

"Ogni opera architettonica riguarda la polis e le persone che la abitano. Dobbiamo essere in grado di ricostruire un nuovo umanesimo e gli ospedali sono gli avamposti di questa rivoluzione. Per questo, anche quando sono finanziati dai privati debbono rimanere pubblici. Con Umberto Veronesi parlavamo spesso del bisogno di restituire alle cure una dimensione umana”.

E ancora:

“Gli ospedali dovrebbero ricordarsi di quei luoghi, di quella bellezza originaria che precede la scienza medica, rispettandola, s’intende”.

Recuperare una visione umanistica dell’ospedale sembra essere l’intento fondamentale del pensiero di Renzo Piano che ha esaminato le tipologie ospedaliere degli ultimi due secoli e ne ha estrapolato le caratteristiche positive, ma non significa ciò che molti (soprattutto architetti) pensano, ovvero che l’ospedale debba essere un trionfo della bellezza dell’espressione architettonica come principio fondante. L’ospedale non è un castello e non è una chiesa. E’ un luogo di lavoro di persone che si occupano della salute e del benessere di altre persone secondo un approccio tecnico scientifico. E’ proprio il lavoro di questi che deve essere rispettato e se non può svolgersi in una struttura brutta, e poco accogliente non deve neanche perdere l’essenziale valore del suo “facile utilizzo”. Si, proprio così, un ospedale deve essere il luogo delle facili comunicazioni tra i reparti, dove sia facile per tutti collegarsi ai servizi (radiologia, diagnostica di laboratorio), dove sia curata nel dettaglio la comunicazione tra i reparti di emergenza, perché a volte sono attimi che fanno la differenza tra la vita e la morte di una persona e sono gli stessi attimi che possono mettere a rischio l’efficacia del lavoro di un medico.

Ma non è detto che semplicità escluda la bellezza, o quegli aspetti di umanizzazione che lo rendono più efficace. La cura attenta degli spazi verdi ad esempio, non pregiudica la qualità degli spazi interni e la loro connessione (es. Campus Biomedico di Roma).

Sempre Renzo Piano: “Se da un lato la prima, a padiglioni, denotava una certa attenzione alla persona, anche grazie alla presenza di alberi e giardini negli spazi aperti, con l’evoluzione e l’avanzamento tecnologico, si è presentata una spersonalizzazione ed il presentarsi di una serie di difetti. Pian piano alla tipologia ottocentesca si è poi sostituita quella monoblocco che ha il vantaggio di non essere più dispersiva, e riuscire, quindi, a contenere tutto nello stesso edificio, con evidente maggior funzionalità. Si è però persa la “visione umanistica”.

Si è anche parlato oltre che di “umanizzazione” di “urbanità”, principio introdotto nel decalogo dell’Ospedale ideale: “l’ospedale non deve essere un edificio isolato ed avulso dal tessuto urbano in cui si colloca, ma esserne parte integrante e comunicare con esso”. L’integrazione con l’urbe portata all’eccesso con strade che attraversano l’ospedale, negozi nei grandi spazi interni. Qualcuno si è spinto nell’eccesso di umanizzazione a preferire che i parenti potessero far visita (per quanto uno alla volta) all’interno delle rianimazioni. E’ bastato che arrivasse il CoViD19 per farci cambiare radicalmente idea in poco meno di un mese e che forse l’Innovazione, “intesa come flessibilità, alla base della concezione architettonica, garantendo cambiamenti secondo le esigenze terapeutiche, tecnologiche, organizzative e formali" e l’Affidabilità “tranquillità e fiducia rispetto all’ospedale dipendono anche dalla sicurezza ambientale, tecnico–costruttiva, impiantistica ed igienica del luogo”, sono state preferite nella scala di valori rispetto ad altri prìncipi che integrano aspetti a volte incompatibili con la sicurezza di pazienti e operatori.

L’ospedale deve essere un luogo sicuro dove si possa lavorare, dove si possa fare Ricerca “nell’ospedale deve essere presente una sezione dedicata alla ricerca clinico–scientifica che, favorisca aggiornamento ed adeguamento alle ultime novità sul campo”, dove ci sia “Formazione” continua: “l’ospedale deve essere attrezzato adeguatamente per l’aggiornamento professionale e culturale, per medici interni ed esterni, infermieri, tecnici e chi si occupa della gestione”.

Inoltre la novità oggi è più che altro legata alla educazione all’uso dei servizi da parte della popolazione, una sorta di evoluzione consapevole della educazione civica. Consapevolezza che l’ospedale, gli ospedali, i luoghi di cura in generale, rappresentano una tra le più grandi opere pubbliche mai realizzata nel nostro paese e che vanno rispettate e a loro volta curate. All’ospedale ci si dovrebbe rivolgere con rispetto di un fedele in chiesa e gli operatori dovrebbero essere a loro volta celebranti del più nobile rito di solidarietà e accoglienza.

Se esistesse l’ospedale perfetto dovremmo abolire la progettazione e pensare a modelli scalabili da replicare a secondo il bisogno. Dunque se la dimensione di un ospedale deve essere adeguata a 500 posti letto si potrebbe usare un modello unico ovunque ci si trovi, occupandosi solo di inserirlo nel contesto geografico scelto. E così per ogni ospedale da 120 a 1000 posti letto. In teoria sarebbe molto comodo.

Ma io ritengo che l’ospedale ideale non esista. Esiste invece un ospedale ideale per ogni contesto, quello dove ci sia sicurezza per i pazienti e per gli operatori, in uno stato dove non ci si occupi solo di sventare e combattere la corruzione, le inefficienze e il malcostume, ma dove sia premiata la velocità di realizzazione delle opere, la qualità delle realizzazioni, la capacità di offrire opere in grado di ospitare nel tempo attività che cambiano, si evolvono e si adattano ai tempi.

Angelo Aliquò
Direttore Generale INMI Lazzaro Spallanzani



13 dicembre 2023
© Riproduzione riservata


Altri articoli in Studi e Analisi

ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWS LETTER
Ogni giorno sulla tua mail tutte le notizie di Quotidiano Sanità.

gli speciali
Quotidianosanità.it
Quotidiano online
d'informazione sanitaria.
QS Edizioni srl
P.I. 12298601001

Sede legale:
Via Giacomo Peroni, 400
00131 - Roma

Sede operativa:
Via della Stelletta, 23
00186 - Roma
Direttore responsabile
Luciano Fassari

Direttore editoriale
Francesco Maria Avitto

Tel. (+39) 06.89.27.28.41

info@qsedizioni.it

redazione@qsedizioni.it

Coordinamento Pubblicità
commerciale@qsedizioni.it
    Joint Venture
  • SICS srl
  • Edizioni
    Health Communication
    srl
Copyright 2013 © QS Edizioni srl. Tutti i diritti sono riservati
- P.I. 12298601001
- iscrizione al ROC n. 23387
- iscrizione Tribunale di Roma n. 115/3013 del 22/05/2013

Riproduzione riservata.
Policy privacy