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Perché un piano quinquennale per salvare il SSN

di Roberto Polillo, Mara Tognetti

La proposta di un piano quinquennale per salvare il SSN non è la nostalgia di quanto realizzato in URSS a partire dagli anni ‘20 sotto la guida del Gosplan. La nostra idea nasce da una serie di costatazioni: il possibile default del SSN anche per le regioni virtuose, come testimoniato dall' assessore Donini in una recente intervista su QS

17 GEN -

Le critiche ricevute un’occasione per chiarire il nostro pensiero e anche per spiegare perché serve un tempo tecnico né troppo breve né troppo lungo per rimodulare rilanciandolo il SSN.

La proposta di un piano quinquennale per salvare il SSN non è la nostalgia di quanto realizzato in URSS a partire dagli anni ‘20 sotto la guida del Gosplan.

La nostra idea nasce da una serie di costatazioni: il possibile default del SSN anche per le regioni virtuose, come testimoniato dall' assessore Donini in una recente intervista su QS;

la carenza di personale che va ormai oltre i perniciosi blocchi delle assunzioni, prova ne sia che nell' ultimo anno 6000 operatori sanitari hanno lasciato il nostro paese, dopo essere stati formati a spese del contribuente italiano, e che diversi ospedali del nord sono a rischio chiusura perché gli infermieri scelgono di lavorare nella vicina Svizzera a stipendio doppio come transfrontalieri, uscendo dai ruoli del SSR.

Una tendenza confermata dalla scarsissima partecipazione ai concorsi pubblici da parte di medici emergentisti e medici di base per una evidente disaffezione al lavoro pubblico e a questo contesto organizzativo.

Infine "last but not the least" la spesa sanitaria a diretto carico del cittadino o intermediata da fondi assicurativi che ha raggiunto la cifra monstre di oltre 30 miliardi di euro, portandoci ai primi posti di demerito della classifica europea.

Il quadro appare dunque nella sua drammatica evidenza e da qui la proposta di piano quinquennale che mira a cambiare, in un lasso di tempo breve, questa deriva dalle conseguenze imprevedibili modificando radicalmente, checché se ne dica, le cause che hanno portato a tale disastro.

I punti del piano e la loro articolazione nel contesto sanitario:

1) Il livello delle relazioni istituzionali

È indispensabile rafforzare lo spirito di leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali a partire dalla messa a disposizione da parte dello Stato di un adeguato finanziamento attraverso l’implementazione di coraggiose politiche fiscali.

È ormai evidente infatti come per rilanciare il SSN serva un extra-finanziamento di 5 miliardi annui per un quinquennio. A questo si deve aggiungere poi il varo di un semplice articolo di legge che ponga un limite invalicabile al sottofinanziamento vincolando il fondo sanitario all' andamento del PIL. In linea con noi la principale organizzazione sindacale la CGIL e, nella già citata intervista, l'assessore Donini che ha parlato della necessità di un incremento di 4 miliardi annui per uno stesso periodo.

La gestione di tali risorse tuttavia va sottratta al MES, come avviene attualmente, con l'approvazione di un semplice comma dello stesso articolo di legge che metta il fondo sanitario a carico del bilancio del Ministero della salute, rendendo impossibile, come spesso avvenuto, un suo ridimensionamento o scippo in corso d'opera.

Qualsiasi tentativo di rafforzare il già assillante neo centralissimo regionale va rigettato con forza, respingendo senza cedimenti il disegno di autonomia differenziata e la concessione di ulteriori poteri alle Regioni.

Esiste poi un altrettanto forte distorsione da correggere immediatamente nonostante nessuno ne parli, e riguardante i rapporti tra la Regione e gli enti territoriali. Il Comune infatti, causa anche l'abolizione delle Province, non ha alcun potere di indirizzo e verifica sulla programmazione regionale. Un piano quinquennale deve prevedere la riscrittura di tali rapporti, trasformando i Comuni singoli e associati in effettivi interlocutori in campo socio-sanitario, specie nella condizione attuale di grande transizione epidemiologica con la prevalenza di malattie croniche a lungo corso. Un provvedimento che dovrebbe aprire anche la porta dalla partecipazione dei cittadini e utenti alle scelte pubbliche.

2) Il livello organizzativo e degli erogatori di prestazioni

L'esperienza accumulata nel tempo e le best practice disponibili ci dicono che un miglioramento del sistema di cura passa attraverso la presa in carico del cittadino e il suo inserimento in uno specifico protocollo diagnostico terapeutico.

Per realizzare questo è indispensabile passare da una pianificazione per volumi a una pianificazione per relazioni intendendo con questo ultimo termine l'implementazione delle reti cliniche.

Se, in altre parole, posso stimare la prevalenza di una determinata patologia e il teorico assorbimento di risorse assistenziali a questa connessa, posso anche immaginare il tipo di servizi di cui ho bisogno e la loro intensità distributiva nell'ambito del territorio di riferimento. È questo un procedimento possibile analizzando i dati disponibili o adottando una razionalità di tipo incrementale che programma, verifica e riprogramma per avvicinarsi all' ottimo assistenziale.

In questo approccio gli erogatori vengono interconnessi attivamente tra loro e gerarchizzati in funzione del setting assistenziale che sono in grado di garantire. Il paziente viene inserito nel protocollo e le sue necessità assistenziali vengono gestite e governare dal punto di primo accesso.

Nelle reti cliniche il privato, che ormai è parte integrante del nostro SSN deve trovare una collocazione facendosi carico dell'insieme delle attività date in convenzione, ivi comprese ovviamente quelle meno remunerative. Il privato dunque eroga servizi di cui la rete necessita o ne è priva e accetta le stesse regole del pubblico erogatore.

Pretendere di eliminare con un colpo solo il privato è pura demagogia; una boutade e un atteggiamento sconsiderato che non tiene in nessun conto le centinaia di migliaia di lavoratori del settore che perderebbero ogni fonte di sostentamento, ma cosa più importante senza sottovalutare l’apporto che tale settore dà e può dare ad un sistema pubblico, anche a garanzia di un pluralismo necessario quando si risponde a un bene collettivo e senza volere qui richiamare il nuovo slogan della sostenibilità.

Nella rete trovano collocazione i medici di base singoli e associati nelle case di comunità a cui spetta la funzione di prendere in carico il paziente, di assisterlo in rapporto alle proprie capacità e, in caso di necessità, di affidarlo ai nodi della rete sulla base di protocolli condivisi ex ante e valutati ex post.

Anche qui le parole chiave sono integrazione, contaminazione condivisione e veicolazione delle informazioni e dei risultati.

3) il livello della gestione della risorsa umana e dell'ecologia delle relazioni professionali

La fuga dagli ospedali di cui abbiamo parlato all' inizio sono il segno evidente che l'ambiente di lavoro da contesto di crescita professionale si è trasformato in luogo di sofferenza fisica, psichica, organizzativa.

Anche in questo caso diversi i fattori causali: il sovraccarico lavorativo per la riduzione scriteriata degli organici, il contenzioso legale e i rapporti più difficili con pazienti incattiviti dalle lunghe attese, la perdita di status e di potere contrattuale, l'autoritarismo di un management aziendale totalmente autoreferenziale.

Il nostro piano strategico quinquennale si fa carico di tutto questo introducendo una gestione partecipata dell'azienda che perde il suo aspetto privatistico nel momento in cui una pluralità di soggetti organizzati in un consiglio di sorveglianza ne delinea le attività ne definisce le strategie e soprattutto ne valuta annualmente i risultati in termini di corretta gestione e di outcomes di salute ottenuti. Una trasformazione radicale dell'attuale azienda che, di questa, conserva soltanto il nome.

Nell'azienda che proponiamo noi, la partecipazione dei lavoratori e dei cittadini diventa uno degli asset strategici per generare un contesto ecologicamente orientato alle relazioni e alla creazione di network in grado di dare attuazione alle scelte pubbliche attraverso gli strumenti della consultazione e della concertazione.

4) i soggetti del cambiamento.

Il cambiamento marcia sulle gambe delle persone in carne e ossa e su una buona organizzazione che crede nella capacità di autogenerazione della risorsa professionale, nonché su strategie di medio e lungo periodo.

La nostra idea è che solo chi pratica e conosce il lavoro professionale è in grado di incrementare la qualità del suo prodotto, adottando ovviamente gli strumenti che la medicina delle evidenze, le best practice e l'approccio Real Life fornisce come supporto e base metodologica.

I professionisti devono diventare centrali nei fatti e non a parole e questo si ottiene da un lato omogeneizzando tra loro i diversi contratti di lavoro in un unico contenitore normativo ricomprendente pubblico, privato e accreditato che li collochi su uno stesso piano operativo con pari diritti e doveri; dall'altro istituendo un ruolo "specifico" per tali professionisti a cui si riconosce una funzione insostituibile e a cui deve corrispondere uno status non disallineato rispetto alla responsabilità sociale rivestita.

Un valore nella promozione della qualità che deve essere attribuito anche alle associazioni dei pazienti per il contributo che possano apportare sia come testimoni del "vissuto" dei pazienti e sia come conoscitori interessati delle reali difficoltà che i pazienti incontrano nel percorso di cura. Anche qui non semplice certificazione del disagio ma esperienza vissuta sulla propria pelle per ottenere il cambiamento.

5) il ruolo della politica

La drammatica condizione in cui versa il nostro SSN non può continuare a lasciare indifferente la classe politica. Né è sufficiente gridare al lupo quando si è fuori dalla stanza dei bottoni e appellarsi alle ristrettezze e economiche e alle compatibilità finanziarie quando in quella stanza si è entrati.

Questo gioco sconsiderato condotto dalla politica tutta negli ultimi decenni è la causa principale della disaffezione dei cittadini che si ritirano nel privato rifiutando la partecipazione attiva e l'espressione del voto.

Il piano quinquennale da noi proposto rompe con questo schema e richiama le forze politiche, in primis quelle delle opposizioni, a dichiarare le proprie intenzioni assumendo dei precisi impegni.

Un impegno che assume come centrale le problematiche finanziarie ma che va ben oltre il mero aspetto economico per affrontare quei nodi strutturali che limitano e condizionano la capacità dei diversi soggetti istituzionali di svolgere in ruolo attivo nella divisione sociale del lavoro sanitario.

È stata una grande conquista acquisire la consapevolezza che il “politico” ha comunque una sua “autonomia” che riesce ad andare oltre i meri interessi, seppur legittimi, di rappresentanza.

Un aspetto nell'assunzione di decisioni politiche erga omnes e orientate al bene collettivo verso cui i politici, oggi, di fronte al disastro del SSN, dovrebbero avere la lungimiranza di non sottrarsi.

Conclusioni

Continuiamo a dibattere e a confrontarci ma le urgenze di rivisitazione e rilancio del SSN sono ormai così urgenti che richiedono prese di posizione e azioni immediate, sia da parte di tecnici, esperti, associazioni, ecc ma innanzitutto da parte dei politici e dei decisori pubblici ai diversi livelli di governo a partire dal Ministro della salute giù giù fino ai Sindaci e ai cittadini oppure facendo il percorso contrario, ma nessuno può continuare a far finta che altre siano le priorità.

Roberto Polillo

Mara Tognetti



17 gennaio 2024
© Riproduzione riservata


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