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Case di comunità, come costruirle indipendentemente dal territorio o/e dalla Regione di riferimento

di R. Polillo, M. Tognetti

Obiettivo del nostro contributo oltre a quello di disegnare una Casa di Comunità secondo una metodologia partecipata, è quello di individuare i punti forte di tali nuove realtà organizzative del Ssn

30 GEN -

Cogliamo l’occasione della pubblicazione del documento sulle Case di Comunità per contribuire, speriamo, a dare concretezza al processo di rilancio e revisione del SSN. Crediamo che sia giunto il tempo di misurarci su questioni concrete, operativizzabili come ad esempio la proposta del gruppo di lavoro "Medici MMG per la dirigenza" in cui si chiede il passaggio a dipendenza dei MMG per una loro effettiva integrazione nelle CdC o quella più generale relativa a tutto il personale sanitario di S. Proia.

Ciò che cercheremo di illustrare in questo contributo, oltre a quello di disegnare una CdC secondo una metodologia partecipata, aspetto su cui il documento si concentra, è di individuare i punti forte di tali nuove realtà organizzative del SSN.

Un progetto da condividere e rafforzare Condividiamo l’orizzonte entro il quale si muove il succitato documento, che fa proprio quanto contenuto nel Decreto Ministeriale 77/2022 recepito con Dgr 1508/22 della regione Toscana: “le Case di Comunità costituiscono un punto di particolare attenzione, perché destinate a diventare i luoghi fondamentali di costruzione di una maggiore integrazione e multidisciplinarietà tra i professionisti delle reti sanitarie, sociosanitarie e socioassistenziali. Le Case di Comunità avranno lo scopo di avvicinare i servizi ai cittadini, a partire da quello di cui hanno bisogno i malati cronici e gli anziani, facendo della prossimità il concetto chiave che punta a valorizzare sia la presenza diffusa e capillare di servizi sul territorio, sia il contributo che può arrivare dalle nuove tecnologie”.

Crediamo però utile evidenziare alcuni punti forti che dovrebbero essere alla base della costruzione delle CdC, indipendentemente dal territorio o/e dalla Regione di riferimento.

1) Le case di comunità (CdC) come strumento/occasione di attivazione delle reti di cura dal basso L’avvenuta transizione epidemiologica, con il prevalere delle poli-patologie ad andamento cronico, rende indispensabile potenziare o ricostruire quelle reti di prossimità rese più fragili dal processo di disintegrazione e trasformazione della famiglia tradizionale e dalla crescente denatalità.

La ricostruzione di un tessuto connettivo di cura e supporto necessita tuttavia di un percorso di attivazione e potenziamento che non può avvenire senza interventi proattivi del servizio pubblico. In tale senso dunque il coinvolgimento del terzo settore e delle comunità organizzate, come comitati di cittadini, di quartiere o associazioni dei malati, ma anche dei cittadini in generale, deve essere strutturale e non rapsodico. Il pieno coinvolgimento dell’infermiere di comunità, dello psicologo, del servizio di assistenza domiciliare e della telemedicina (vedi oltre) e l’addestramento dei pazienti e dei loro familiari (family Learning) come anche il rafforzamento dell’expertice del paziente nel percorso di auto- cura devono essere realizzati attraverso l’implementazione di specifici protocolli di attività. Cosi come per tutti gli operatori. E i risultati di quanto ottenuto deve essere oggetto di specifica e periodica valutazione e di eventuali correttivi per superare eventuali criticità.

2) Le tre p delle CdC: prevenzione, promozione, partecipazione. Le sfide che le patologie croniche e la non autosufficienza pongono al servizio sanitario necessitano di una strategia di risposta globale e integrata.

Se è vero come è vero che le patologie croniche hanno le loro cause remote fin dal momento del concepimento, dove i fattori di nocività agiscono sul patrimonio genetico condizionandone i meccanismi di espressione (epigenetica), è chiaro che un intervento globale sulla salute non può prescindere dalla circolarità di prevenzione, promozione e partecipazione tipici della One-health. Si promuove salute agendo sull’ ambiente di vita e di lavoro, attraverso la lotta ai diversi fattori di nocività. Si previene il verificarsi di fatti morbosi e delle loro complicanze attraverso una medicina di iniziativa mettendo in campo interventi non esclusivamente sanitari come es. l’esercizio fisico monitorato e gestito da personale qualificato nel caso del controllo non farmacologico della glicemia nei soggetti con diabete, ecc.

E infine si co-decidono le strategie di intervento che devono svolgersi in un lungo arco temporale e che per essere efficaci e ottenere un’adeguata compliance da parte del paziente/utente devono nascere con il diretto coinvolgimento degli utenti che in tale percorso non possono essere ridotti a soggetto passivo.

3) La co-progettazione e l’health litteracy Solo servizi calibrati e capaci di rispondere alle esigenze e alle specificità dei cittadini di un determinato contesto e al suo ambiente più ampio potranno valorizzare il capitale sociale, culturale ed economico su cui si basa un intervento per la salute partecipato e co-progettato. Una riorganizzazione e una riprogrammazione degli interventi e delle procedure coerente potrà avvenire sulla base di una reale e validata co-progettazione.

Azione che oltre a rendere protagonista l’individuo della propria salute favorirà e accrescerà l’apprendimento e le conoscenze necessarie e utili affinché l’individuo sappia e possa muoversi in modo appropriato nel sistema dell’offerta pubblica e privata per la salute. Essa inoltre sarà anche un grado di valorizzare le risorse più vaste di un dato contesto a partire da quelle ambientali e culturali.

4) La telemedicina come fattore di integrazione fra professioni Appare sempre più chiaramente come la telemedicina costituisca strumento essenziale per avvicinare i servizi sanitari alle fasce più deboli di cittadini nella gestione delle malattie croniche, nella salute mentale, nel follow-up dopo la dimissione ospedaliera, nella ospedalizzazione a domicilio, nel controllo del corretto funzionamento a remoto di device elettro-medicali come pace maker, ecc.

Ciò è particolarmente strategico nei contesti territoriali difficili, isolati, ai margini delle risorse servizi sanitari. La telemedicina e l’uso delle tecnologie è poi utile per favorire e accrescere l’integrazione conoscitiva e operativa di soggetti e enti che insistono sulla salute degli individui, nonché per valutare i risultati degli interventi in essere. L’ occasione nuove tecnologie può poi essere valorizzata anche per ripensare e riorganizzare i servizi di emergenza come anche in particolare le procedure e le routine operative dei servizi in generale e della Governance in particolare.

Ogni operatore delle CdC e della rete dei servizi sarà chiamato non tanto e non solo ad avvalersi di dati e informazioni proveniente da altre fonti, ma ad integrare le conoscenze individuali e del contesto, ad utilizzare i dispositivi di rilevazione, ad addestrare e accompagnare il cittadino ad utilizzare al meglio tali risorse. Processi che saranno alla base degli step di valutazione e di reimpostazione degli interventi e dell’efficacia di funzionamento organizzativo.

5) La prospettiva dell’ one health e dell’integrazione Che la salute e la malattia siano un processo complesso fra dinamiche individuali, umane ed animali, ambientali, nonché di specifico contesto, è questione acclarata e che sta interrogando operatori e servizi circa la necessità di interventi e processi di prevenzione e di cura che tengano conto dell’ambiente di vita e di lavoro, dell’interazione fra uomo e ambiente, ambiente e umano, ambiente e non umano.

Approccio che oltre a richiedere una visione adeguata, necessita di processi di integrazione sostanziale fra operatori di diversa competenza e servizi di natura differente e più in generale di attori del territorio di competenza che agiscano per la salute direttamente e indirettamente. In altre parole: una nuova e diversa cultura della salute.

Considerazioni conclusive Le CdC sono uno snodo essenziale del nuovo SSN, e i ritardi nella loro attuazione mostrano ancora una volta come la cultura della salute e l’investimento sul SSN siano considerati purtroppo questione opzionale a partire dal Ministro della salute, ma anche per molti operatori ancorati ad un paradigma novecentesco e che faticano a rinnovarsi e a rinnovare il loro operato.

Le CdC che ci immaginiamo accoglienti, accessibili, belle anche sul piano architettonico, inserite in spazi di verde pubblico, come espressamente previsto nel documento della regione Toscana, costituiscono un luogo ma anche una grande occasione per riallacciare il dialogo far cittadini e istituzioni preposte alla salute. Dialogo che si è interrotto ormai da troppo tempo.

Le CdC costituiscono una sfida ma anche un’opportunità, non solo un nuovo piano edilizio, per la nostra salute, presente e futura. Per ripensare le cure primarie, la medicina territoriale e non solo. Per ridare slancio al processo di integrazione che sta alla base della logica d’intervento di prossimità.

Per ridare senso ad attività professionali, come quelle dei MMG, oggi soffocate dalla burocrazia e dalla scarsa incisività per l’isolamento in cui esse sono svolte.

Per realizzare in fine la presa in carico del paziente assumendosi appieno la gestione della complessità assistenziale che i grandi mutamenti sociali hanno determinato sulla salute umana.

30 gennaio 2024
© Riproduzione riservata


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