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Salute e povertà. Mirisola (Inmp): "Ormai oltre il 40% dei nostri assistiti è italiano". E uno studio rivela che un operaio non qualificato vive in media 5 anni in meno di un dirigente

di Gennaro Barbieri

Gli italiani che ricorrono all'assistenza fornita dall'Istituto per la salute dei migranti e delle malattie della povertà sono infatti passati dall'8% del 2008 al 40% di oggi. Il dato nel convegno al San Gallicano di Roma dove è stato anche presentato il Libro Bianco 'Equità nella Salute' (vedi sintesi). Ma le diseguaglianze in salute costano anche in termini economici: almeno il 10% del Pil

02 DIC - La tutela delle salute, l’impatto delle diseguaglianze e le politiche in grado di sviluppare un’assistenza sociosanitaria di carattere inclusivo, in grado di tutelare allo stesso modo italiani e migranti all’interno di un quadro economico sempre più complicato in cui, secondo i dati Eurostat, le persone a rischio povertà o esclusione sociale in Italia hanno raggiunto il 28,4% della popolazione. Questi i principali temi che hanno animato 1° convegno annuale ‘La salute di tutti, nessuno escluso’, promosso a Roma dall'Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e delle malattie della povertà (Inmp).

L’Inmp, che rappresenta un istituto pubblico del Ministero della Salute, garantisce assistenza a italiani e stranieri attraverso l’ambulatorio medico polispecialistico e psicologico con molteplici attività, in costante espansione quali‐quantitativa. Dal 2008 ad oggi sono state erogate circa 250.000 prestazioni ambulatoriali, con un progressivo incremento della quota di pazienti italiani, per la gran parte esenti per basso reddito. Parallelamente, la quota di stranieri è passata dal 92% al 60%. Tra gli stranieri, i regolari e gli irregolari sono rappresentati quasi in parti eguali.

Nell’attività dell’Inmp un ruolo di prim’ordine spetta mediatori transculturali esperti in sanità, figura ancora non presente nel Servizio sanitario nazionale: l’Inmp ne impiega 27 che parlano 36 lingue e lavora per il pieno riconoscimento giuridico e professionale di questi operatori.
Fra le attività svolte finora in Italia dall’Inmp, particolare rilevanza hanno avuto progetti sui dispositivi medici finanziati dal Ministero della Salute, con lo scopo di consentire un accesso ampio alle prestazioni essenziali per fasce di popolazione svantaggiate. Come per esempio quelli riguardanti l’odontoiatria, l’epatologia (diagnosi e trattamento delle epatiti virali) e l’infettivologia pediatrica. Attualmente sono in corso azioni riguardanti le infezioni sessualmente trasmesse, l’audiologia (assistenza specialistica e fornitura di protesi acustiche), le infezioni da Helicobacter pylori e terapia delle forme resistenti, l’oculistica (assistenza specialistica e fornitura di occhiali).

Uno dei dati più eloquenti forniti dall’Inmp nel corso del convegno, è che e se si potesse intervenire sui meccanismi che generano queste disuguaglianze di censo, reddito e istruzione fino a minimizzarle, si potrebbero ottenere notevoli miglioramenti di salute: fino al 25% di riduzione della mortalità fra gli uomini e circa il 10% fra le donne.

“L’Italia rappresenta un vero e proprio modello in Europa e non solo in materia di assistenza sanitaria ai migranti – ha sottolineato Concetta Mirisola, direttore Inmp – L’articolo 32 della Costituzione è applicato pienamente e ciò consente di curare nel migliore dei modi anche gli stranieri irregolari, che rappresentano il 52% degli immigrati assistiti. Emblematico è il caso dei minori che si iscrivono ai pediatri di libera scelta”. Un modello virtuoso, reso possibile “soprattutto dalle ottime sinergie createsi con le istituzioni a tutti i livelli e in particolare con le Regioni”. Nel complesso “i soggetti che si rivolgono all’Inmp presentano prevalentemente patologie cutanee e respiratorie, anche se negli ultimi anni sono aumentate le richieste di supporto psicologico, naturale conseguenza della crisi economica e della perdita del lavoro”. Un fenomeno che ha coinvolto massicciamente “gli italiani, passati in pochi anni dall’8% al 40%. Dinamica che evidenzia come sia assolutamente assurdo costruire allarmismi legati alla popolazione straniera. Purtroppo le difficoltà riguardano tutti, indistintamente”.

Nel corso del convegno è stato presentato il Libro Bianco ‘Equità nella Salute’, nato per iniziativa del Gruppo interregionale ESS - Equità nella Salute e nella Sanità della Commissione Salute delle Regioni,coordinato dalla Regione Piemonte.Tale iniziativa si sviluppa in accordo con gli obiettivi di contrasto alle diseguaglianze di salute previsti dal Progetto interregionale 2013-15 dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà – Inmp.

Il volume mostra come i cittadini in condizioni di svantaggio sociale tendono ad ammalarsi di più, a guarire di meno, a perdere autosufficienza, ad essere meno soddisfatti della propria salute e a morire prima. Mano a mano che si risale lungo la scala sociale questi stessi indicatori di salute migliorano, secondo quello che viene chiamata la legge del gradiente sociale.

Tra gli uomini in Italia negli anni Duemila si osservano più di cinque anni di svantaggio nella speranza di vita tra chi è rimasto in una posizione di operaio non qualificato rispetto a chi è approdato ad una posizione di dirigente, con aspettative di vita progressivamente crescenti salendo lungo la scala sociale. Il rischio di morire cresce regolarmente con l’abbassarsi del titolo di studio; tra gli uomini fatta uguale uno il rischio di un laureato, la mortalità cresce del 16% nel caso della maturità, del 46% nelle medie e del 78% nelle elementari. Questo fenomeno si ripete anche tra le donne e riguarda tutti gli indicatori di salute: ammalarsi, restare a lungo con la malattia e con le sue conseguenze, finire male a causa della malattia.

Lo studio evidenzia come le disuguaglianze di salute costituiscano anche un fattore di inefficienza , perché rappresentano un freno allo sviluppo sociale ed economico di un Paese, in quanto presuppongono l’uscita precoce dal mercato del lavoro di individui altrimenti produttivi, un maggior costo a carico del servizio sanitario, delle politiche assistenziali e del welfare, così come una ragione di minore coesione sociale, con un impatto complessivo stimato intorno al 10% del Pil. Se si potesse intervenire sui meccanismi che generano queste disuguaglianze fino ad eliminarle, calcola il libro, si potrebbero guadagnare notevoli miglioramenti di salute, ad esempio riduzioni della mortalità che arrivano fino al 50% tra i giovani adulti maschi.

“L’Inmp rappresenta un’eccellenza nella sanità pubblica, tanto che l’Oms l’ha indicato come best practice – ha spiegato Livia Turco, presidente Consiglio di Indirizzo Inmp – L’idea da valorizzare è quella di conferire al Ssn un carattere di interculturalità, non relegandolo ai concetti di emergenza e urgenza”. All’interno di questo quadro, “l’immigrazione non deve generare politiche specifiche, ma deve rappresentare una sfida per un Ssn che sia davvero universalistico, inclusivo e solidale, che sappia esaltare la sua vocazione originaria”. Allo stato attuale tuttavia “la politica non è in grado di misurarsi con il tema della povertà, poiché manca completamente una struttura che elabori un piano nazionale”. Servirebbe invece un approccio “che inserisca la sanità in tutte le politiche, approntando programmi intersettoriali di promozione della salute”.
 
Gennaro Barbieri

02 dicembre 2014
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