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Coronavirus. Ancora molti dubbi (e poche certezze) sul caso “Italia”: dai tamponi ai decessi, cosa c’è di diverso rispetto agli altri Paesi

di Giovanni Rodriquez

Nel giro di poche settimane l'epicentro della pandemia del nuovo Coronavirus si è spostato dalla Cina all'Europa con l'Italia che risulta ormai tra i Paesi più colpiti sia in termini di contagio per abitante che per numero di morti. Ma quali sono le principali differenze e perché da noi l'epidemia ha assunto queste dimensioni anomale?

22 MAR - Oltre 59 mila casi (978 ogni milione di abitanti), oltre 5.400 decessi, più di 19.800 ricoveri ospedalieri e 3.009 pazienti in terapia intensiva (dati aggiornati alle ore 18 del 22 marzo). Questi i numeri impietosi che rendono l'epidemia di coronavirus in Italia, al momento, un 'unicum' al mondo. Basti pensare che in Cina il totale dei casi in rapporto alla popolazione è di 56 ogni milione di abitanti e che, tranne la Spagna dove il trend presenta indici di crescita molto simili e che ad oggi ha 611 casi ogni milione di abitanti, nessun altro Paese a noi paragonabile ha indici di contagio così marcati rispetto alla popolazione residente.
 
Ma quello che spaventa di più è il numero elevato di decessi, il più alto in assoluto nel Mondo. A oggi sono per l'appunto 5.476 con un tasso "crudo" di letalità (percentuale di decessi sul numero di casi confermati) medio del 9,2% con la punta del 12,7% in Lombardia. Nessun Paese al mondo ha questi indici di letalità: la Cina si è fermata al 4%, la Spagna al 6%, gli Usa all'1,2%, la Francia al 3,8%, la Corea del Sud all'1,2%.  
 
Come spiegare queste differenze? Iniziamo a dire che il tasso di letalità dipende dal numero di casi positivi rintracciati, più è alto più si abbassa in proporzione la percentuale di decessi. Seconda cosa: il numero di casi dipende da quanti ne risultano dagli screening con tampone, da qui il dubbio sollevato spesso che in Italia se ne possano aver fatti di meno rispetto agli altri Paesi: ma non è così.
 
Il nostro Paese, con oltre 258 mila tamponi eseguiti, è infatti il secondo al mondo dopo la Corea del Sud (300 mila tamponi). E siamo secondi anche se il calcolo si fa in rapporto alla popolazione: al primo posto sempre la Corea del Sud con 582 tamponi per 100.000 abitanti e poi noi con 383 test per 100.000 abitanti. In Cina (provincia di Guandong con 104 milioni di abitanti dove si è concentrata la stragrande maggioranza dei casi) il rapporto è di 307 tamponi per 100.000 abitanti, in Germania di 202 per 100.000 abitanti, in Francia di poco meno di 55 per 100.000 abitanti e in UK di 97 per 100.000 abitanti, solo per fare alcuni esempi.
 
In tutti questi Paesi i test sono stati poi eseguiti seguendo le linee guida Oms, e cioè su pazienti sintomatici e sui contatti sintomatici di chi è risultato positivo al test.
 

 
Ma nonostante questi dati di recente si è alimentata una polemica sull'opportunità di ampliare a tutta la popolazione o quanto meno alle persone asintomatiche entrate in contatto con un positivo, l'effettuazione del test. Un'ipotesi ritenuta però "inutile" oltre che "irrealizzabile" dal presidente dei Microbiologi italiani, Pierangelo Clerici. Ma anche se questa ipotesi fosse realizzabile su larga scala con tamponi effettuati a tappeto sulla popolazione con l’intento di ridurre la diffusione del virus da parte di soggetti paucisintomatici o asintomatici, una volta individuati, quali misure potrebbero prendersi? L'isolamento? È già previsto dal decreto. Quindi, in teoria, basterebbe far applicare le norme vigenti incrementando quanto più possibile il distanziamento sociale, senza la necessità di intasare ulteriormente i laboratori.
 
Una delle principali differenze con la Corea del Sud ha poi a che vedere con il fatto che nel paese asiatico ci sono stati due focolai con un epicentro ben definito. In Corea del Sud si è proceduto ad una capillare ricostruzione dei contatti dei primi pazienti e da questa ricostruzione si è partiti per effettuare i 300.000 tamponi. In questo modo sono riusciti controllare la diffusione del contagio. A ieri erano 102 i morti in Corea del Sud su meno di 9.000 contagiati.
 
In Italia, invece, si è avuto da subito un focolaio esteso in Lombardia (10 Comuni) che ha interessato gli ospedali. Si è poi registrato un tasso di ospedalizzazione superiore al 30% che ha portato al coinvolgimento di soggetti più 'deboli', oltre ad una rapida saturazione dei posti letto, in particolar modo delle terapie intensive. Va inoltre considerato che agli operatori sanitari non viene applicata la misura della quarantena con sorveglianza attiva per chi ha avuto contatti stretti con casi confermati di covid-19 (decreto legge 6/2020). 
 
Sappiamo inoltre, dai dati forniti dall'Istituto superiore di sanità, che i contagi tra gli operatori sanitari sono già oltre 3.600, e che la loro età media è di 49 anni. Da qui la necessità di proteggere queste categorie di persone effettuando, come segnalato di recente dallo stesso ministro della Salute, Roberto Speranza, tamponi a tutti gli operatori sanitari, tra le categorie più a rischio di infettarsi e di trasmettere l’infezione ai soggetti più deboli ed esposti.
 
Infine, altro dato da prendere in considerazione è quello anagrafico. In Corea del Sud, Paese che viene preso come l’esempio più “virtuoso” (con soli 102 morti su 8.799 casi), il virus ha contagiato in maggioranza persone giovani: il 30% dei positivi si trova nella fascia 20-29 anni. In più, solo il 3% di tutti i casi confermati nel Sud Corea aveva almeno 80 anni. Lo stesso è avvenuto in Germania (che non a caso presenta al momento un indice di letalità tra i più bassi pari allo 0.3%) dove l'età media dei contagiati è di 46 anni.

  

 
In Italia, al contrario, l'Istituto superiore di sanità ha evidenziato sia un'età media dei decessi molto alta sia la presenza di una o più patologie preesistenti in quasi il 99% dei casi di morte. Le elaborazioni sono state effettuate su un campione di 481 decessi sul totale dei 3.200 esaminati dall'Iss con un'età media di 78,5 anni, per la maggior parte maschi (70,6%) e con un numero medio di 2,7 patologie preesistenti.

Sempre considerando il campione di 481 decessi risultano 6 pazienti (1.2% del campione) con 0 patologie, 113 (23.5%) con 1 patologia, 128 con 2 patologie (26.6%) e 234 (48.6%) con 3 o più patologie.

Stando a ieri, si legge sempre nel rapporto sui decessi, sono 36 dei 3,200 (1.1%) i pazienti deceduti Covid-19 positivi di età inferiore ai 50 anni. In particolare, 9 di questi avevano meno di 40 ed erano 8 persone di sesso maschile ed 1 di sesso femminile con età compresa tra i 31 ed i 39 anni. Di 2 pazienti di età inferiore ai 40 anni non sono disponibili informazioni cliniche, gli altri 7 presentavano gravi patologie pre-esistenti (patologie cardiovascolari, renali, psichiatriche, diabete, obesità).
 
Una popolazione più anziana quindi quella colpita in Italia e con diverse comorbidità che è sicuramente più esposta a complicanze e al rischio di un esito infausto della malattia.
 
 
Presenza di altre patologie nei pazienti deceduti per COVID-19
 

 
Giovanni Rodriquez

22 marzo 2020
© Riproduzione riservata


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