Coronavirus. Stiamo capendo che la battaglia si vince sul territorio... e allora si agisca di conseguenza
di Ettore Jorio
E dobbiamo farlo a partire dalla realizzazione delle Unità speciali previste dal recente decreto legge. Mancano però le linee essenziali di programmazione per organizzarle bene e meglio di come si è tentato di fare sino ad oggi, regolamentandone esaustivamente criteri costitutivi, di funzionamento e di resa del relativo servizio essenziale, indispensabile per alleggerire la impropria domanda ospedaliera e le occasioni di contaminazione
31 MAR - Il coronavirus si combatte e si sconfigge sul territorio, preventivamente, del quale però in pochissimi parlano, persino in tv. Allorquando accertato nella popolazione circolante, attenuandone ivi gli effetti e riducendo il materializzarsi dei pericoli derivati.
In ospedale ci si può solo difendere dal Covid-19!
I fatti e gli errori di ipotesi
Questo è quanto mancato sino ad oggi con il conseguente intasamento della rete ospedaliera, peraltro attrezzata in modo tanto differenziato, con un numero elevato di ricoveri in unità operative di terapia e sub terapia intensiva, di rianimazione. Un'attività di ricovero e cura non programmata, chiamata così, inaspettatamente, a rendersi efficacemente destinataria di una siffatta istanza. Ciò sia nella parte più accreditata del Paese che in quella storicamente meno efficiente nella erogazione dei Lea, tanto da generare in via ordinaria una mobilità passiva complessivamente miliardaria. Un segmento geografico, quest'ultimo, ancora non aggredito dal virus, così come si spera che non avvenga per evitare ivi la concretizzazione di un verosimile dramma sociale.
Il sopravvenuto fabbisogno epidemiologico formatosi, a seguito della consistente invadenza del Covid-19, ha fatto sì che si ingenerasse un deficit di disponibilità di posti letto specifici rispetto all'enormità della domanda, senza controllo in alcune vaste aree concentratesi nel nord del Paese e in sensibile crescita nel sud, disastrato in termini di patrimonio infrastrutturale e di attrezzatura tecnologica.
Le carenze sistemiche e i ritardi colpevoli
Quindi, è venuta a determinarsi, con punte di drammaticità nel Mezzogiorno, una inadeguatezza del Servizio sanitario nazionale a fronteggiare lo straordinario evento, anche perché si è registrato un sensibile ritardo dei sistemi regionali della salute ad intervenire adeguatamente e tempestivamente, così come si fa in situazioni simili secondo i criteri della più efficiente prassi.
Dunque, tanti i limiti organizzativi e tantissime le conseguenti precarietà erogative dei Lea necessari.
Quanto all'offerta del livello di assistenza ospedaliero non si è provveduto, per tempo: ad approvvigionarsi della tecnologia propria ad affrontare un evento del quale vi era conoscenza dalla fine dello scorso anno, così come del materiale difensivo da distribuire ad operatori sanitari e cittadini per difendersi dal male; a riconvertire i presidi garanti della spedalità occorrente, tale da incrementare una recezione specialistica adeguata alle esigenze emergenziali; al reclutamento del personale necessario anche derogando, assumendo le ricorrenti responsabilità gestorie, ai vincoli e alle procedure limitative dell'impiego, tenuto anche conto della particolare crisi di unità lavorative venutasi a determinare progressivamente a seguito del numero chiuso nei corsi di laurea per attività sanitarie e del prematuro pensionamento degli operatori perfezionato a seguito della cosiddetta quota 100.
Relativamente al dovere di assicurare, oggi più che mai, la dovuta attenzione al livello di assistenza distrettuale con consistenti modifiche strutturali, si è fatto di peggio non intervenendo massicciamente sul territorio, dirottando su di esso il massimo delle risorse disponibili, secondo una precisa programmazione dell'emergenza fondata sul fabbisogno epidemiologico emergente.
Così facendo si sono trascurati:
- la tutela della salute in ambienti di vita e di lavoro, alias la prevenzione;
- le azioni utili, anche con ricorso a disposizioni molto più incisive di quelle adottate anche legislativamente, per invertire la consolidata e preoccupante rotta di progressiva caduta dell'assistenza primaria, in relazione alla quale si evidenzia da tempo un interesse solo apparente. Ciò nel senso che non emerge una precisa volontà del decisore pubblico di riportare ad un più attivo protagonismo dell'assistenza territoriale il sistema della medicina convenzionata, pretendendo da esso un maggiore apporto collaborativo rispetto a quello assicurato nell'ultimo decennio o quasi. Un fenomeno preoccupante nei cui confronti il governo della salute, più attento al contributo elettorale offerto dagli esercenti della medesima, ha consentito trascuratezze assistenziali inimmaginabili oltre che dimostrarsi disattento alle più utili soluzioni neo-organizzative del tipo le Aft e Uccp (si veda in questa rivista il 18 ottobre 2018) rimaste ovunque lettera morta ovvero realizzate attraverso brutte imitazioni delle stesse attraverso le quali offrire un benché minimo contenuto operativo a pregressi flop assistenziali, del tipo le inutili case della salute;
- le iniziative riorganizzative delle postazioni distrettuali in modo da garantire, su tutto il territorio nazionale un più intenso rapporto salutare tra l'utenza, sempre di più numerosa in termini di età avanzata, e gli erogatori delle prestazioni essenziali alla tutela della sua salute. Una attività che sarebbe tornata più che mai comoda nell'attuare il circuito di assistenza speciale, affidato dall'art. 8 del D.L. 14/2020 alle cure pianificatorie delle Regioni, e da attivare attraverso le unità speciali di continuità assistenziale (si veda in questa rivista il 24 marzo 2020). Un modo, questo, per materializzare sul territorio una efficiente assistenza globale ove a quella organizzata «a zona» va aggiunta quella «ad uomo», intendendo per tale quella destinata ai cittadini affetti da coronavirus ma non bisognosi di ricovero.
Si persevera a lavorare senza programmare
Sul tema si constatano ritardi e omissioni di tipo relativo che occorre assolutamente compensare, e nel brevissimo periodo, solo che si voglia sensibilmente alleviare gli esiti nefasti prodotti da Covid-19.
La realizzazione delle Usca sta, infatti, registrando una pericolosa confusione nella fase della loro attuazione pratica.
Prescindendo dalla incompletezza e inadeguatezza della lettera normativa, che le vorrebbe «metterle in mano» a soggetti professionali non garanti della necessaria esperienza ad assistere gli altri e a proteggere persino se stessi, arrivando a comprendere tra questi i medici appena iscritti al relativo albo professionale, si sta determinando nel Paese una pericolosa differenziazione realizzativa di un siffatto ambito assistenziale straordinario. Ciò non solo per le previsioni non propriamente esaustive bensì per le soluzioni cui si sta via via facendo ovunque ricorso. Tutto questo sta ovviamente determinando un avvio del sistema relativo delle Usca senza una preventiva rilevazione dei fabbisogni relativi - commisurati alla tipologia delle popolazioni destinatarie e alla loro assoggettabilità all'infezione in atto - e una conseguente concreta programmazione dell'evento, tali da favorire il dimensionamento demografico utile, non certo individuabile nella formula numerica di una «ogni 50 mila abitanti». Una previsione di massima che di certo non andrà a soddisfare le esigenze di quelle regioni caratterizzate da una orografia difficile e una sensibile frammentarietà demografica.
Il dovere ineludibile
Occorre fare presto a rendere funzionanti le Usca, ma necessita organizzarle bene e meglio, di come si è tentato di fare sino ad oggi, regolamentandone esaustivamente criteri costitutivi, di funzionamento e di resa del relativo servizio essenziale, indispensabile per alleggerire la impropria domanda ospedaliera e le occasioni di contaminazione.
Fondamentale in proposito è quantomeno:
- il ricorso a strumenti giuridici idonei a costituire correttamente le Usca, tenuto conto che la norma istitutiva sancisce i principi fondamentali, cui ogni Regione dovrà riferirsi per implementare la propria disciplina attuativa;
- l'individuazione delle aree del fabbisogno specifico, in quanto tale dimensionate in modo differenziato previa accurata analisi dei fattori che distinguono le diversità territoriali e demografiche, tenuto ovviamente conto delle condizioni di disagio viario;
- la dotazione organica ottimale, diversificata secondo le rispettive dimensioni;
- il corredo protettivo adeguato (DPI) per chi ci lavora e la quantità/qualità dei materiali disinfettanti occorrenti in sede e presso il domicilio dell'utenza destinataria;
- una attrezzatura esaustiva per affrontare gli indispensabili interventi che si rendessero necessari per garantire la specifica assistenza delegata a siffatto genere di struttura;
- una struttura adeguata all'ospitalità degli operatori addetti e dell'eventuale utenza, provvista di una efficiente informatizzazione dei dati acquisiti ed elaborati nonché di strumenti garanti della salubrità da assicurare alla frequenza dei non affetti e dello smaltimento dei rifiuti prodotti;
- un esauriente parco di mezzi di trasporto e di un corrispondente servizio di sanificazione cui accedere giornalmente.
Ettore Jorio
Università della Calabria
31 marzo 2020
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