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Diabete di tipo 2. Osservasalute: “In Italia assistenza a macchia di leopardo. Con politiche adeguate un milione di malati in meno”


La stima nel report cha ha analizzato i potenziali risparmi economici ottenibili adottando in tutto il Paese strategie di prevenzione e assistenza sul territorio efficaci redatto nell’ambito del progetto V.I.H.T.A.L.I., spin-off accademico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e realizzato in collaborazione con l'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane. IL REPORT

09 GIU - L’attuazione di politiche su scala nazionale che promuovano stili di vita corretti, attuabili nel lungo periodo, tali da contenere la quota di adulti con diabete di tipo 2 entro il 4% della popolazione, permetterebbe di ridurre il numero dei pazienti affetti da questa patologia in Italia di circa un milione di unità.  Migliori performance nell’assistenza sanitaria territoriale dei diabetici, inoltre, produrrebbero risparmi compresi tra i 7 e i 28 milioni di euro (a seconda del costo, più o meno conservativo, attribuibile ai singoli ricoveri). Ciò, in particolare, potrebbe essere conseguito contenendo il tasso di ospedalizzazione per diabete nelle Regioni italiane a 39 ricoveri ogni 10 mila abitanti. Ulteriori risparmi, valutabili tra i 17-75 milioni di euro annui, potrebbero essere conseguiti grazie alla riduzione del tasso di ospedalizzazione conseguente a complicanze del diabete di tipo 2 a 8/9 per 100 mila abitanti.
 
Sono questi alcuni dati contenuti nel report dal titolo “La gestione del diabete mellito tipo 2 in Italia: Analisi regionali”, redatto nell’ambito del “Progetto: analisi regionali del percorso assistenziale del paziente diabetico condotto da VIHTALI (Value in Health Technology and Academy for Leadership and Innovation), spin-off accademico dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, realizzato in collaborazione con l'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane e con il supporto non condizionante di MSD Italia S.r.l.
 
L’obiettivo del report è stato di aumentare la consapevolezza di tutti gli stakeholder sull'impatto del diabete e sulle sue implicazioni - in termini di inappropriatezza clinica ed economica - per il nostro sistema sanitario.

La realizzazione del report è stata coordinata dal dottor Alessandro Solipaca, Direttore Scientifico Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma e Responsabile scientifico del progetto.
 
Nel report, si riportano i dati di un’analisi dell’intero percorso di presa in carico del paziente diabetico, effettuata da SG2, una società specializzata in business analytics nell'ambito sanitario. La società SG2 ha sviluppato un case study in collaborazione con MSD - analizzando il sistema di presa in carico del paziente diabetico, seguendo l’approccio value-based, e affrontando le determinanti che permettono di aumentare il valore nella gestione della patologia diabetica. Il lavoro di SG2 analizza il percorso del p­­­aziente diabetico utilizzando un software di intelligence, specifico per la sanità, denominato System of Clinical Alignment and Resource Effectiveness (CARE).
 
Il quadro generale
Il diabete mellito di tipo 2 (DM2) rappresenta una patologia molto sfidante per il SSN, sulla quale si può misurare la relativa performance, sia in termini di efficienza che di efficacia, trattandosi di una malattia tra quelle con la prevalenza più elevata nella popolazione, che induce costi di cura e assistenza elevati, riducendo significativamente la capacità produttiva delle persone.

La stima della prevalenza di questa patologia non è semplice, poiché non esiste un registro che la rilevi puntualmente e perché spesso i cittadini non sanno di esserne affetti. Per tali motivi le stime di prevalenza sull’intera popolazione variano secondo la fonte utilizzata. I dati ricavabili dalle indagini campionarie dell’Istat riportano una prevalenza del 5,7% della popolazione; secondo altre stime (Rapporto Arno), invece, circa la prevalenza del DM2 è pari al 6,2% della popolazione.

Un osservatorio privilegiato per la dinamica e gli effetti del DM2 sulla salute e sul SSN è quello dei Medici di Medicina Generale (MMG), i cui dati riferiscono che sono quasi 81 mila i pazienti adulti presi in carico per patologia diabetica, pari all’8% della popolazione assistita. La prevalenza di DM2 risulta leggermente in crescita dal 2012 (7,5%) al 2017 (8,0%), con valori sempre maggiori negli uomini rispetto alle donne (8,8% vs 7,2% nel 2017). La prevalenza più elevata si registra nella classe di età 80-84 anni: quasi un individuo su 4 (23,4%) in questa fascia di età ha il diabete. Le Regioni con una prevalenza superiore al dato nazionale sono: Calabria (10%), Sicilia (9,4%), Puglia e Abruzzo/Molise (pari merito 8,8%), Lazio (8,7%), Campania (8,5%) e Basilicata (8,6%).

Il diabete spesso si associa a una serie di complicanze con elevato impatto sul sistema sanitario, tanto che la gestione del malato diabetico assorbe circa l’11% della spesa sanitaria.

I dati raccolti dai Medici di Medicina Generale indicano che un paziente assistito costa mediamente in un anno 1.263€ con significative differenze regionali. Infatti, in Campania si spendono 1.515€, in Umbria 1.409€, in Puglia 1.398€, nel Lazio 1.304€, in Abruzzo/Molise 1.299€, in Veneto 1.273€ e in Sardegna 1.269€.
 
Fattori di rischio
I dati nazionali riportano che la prevalenza del diabete è in continua crescita negli anni, è più diffusa nelle regioni del Mezzogiorno e tra le persone con livello di istruzione basso, oltre che aumentare all’avanzare dell’età. Gli stili di vita hanno un forte impatto sul diabete, per esempio un’alimentazione ricca di zuccheri e alcol e la sedentarietà favoriscono l’aumento dei casi.

L’insorgenza del diabete di tipo 2 può essere contenuta attraverso politiche di prevenzione sul territorio che mettano in luce i principali fattori di rischio, come l’obesità e la sedentarietà.

Infatti, i dati testimoniano come la prevalenza della malattia sia più elevata tra gli obesi e i sedentari. Nella popolazione adulta (18 anni di età ed oltre) la prevalenza del diabete è pari al 6,7% mentre tra gli adulti obesi la quota di persone con diabete raggiunge il 14,6% ed è in crescita di oltre 4 punti percentuali rispetto al 2001.

Tra gli uomini adulti la prevalenza del diabete passa dal 6,9% del totale al 13,5% tra gli obesi. Tra le donne il fenomeno è più marcato: si va dal 6,6% delle normopeso al 16% delle obese. Nei soggetti in sovrappeso, sebbene la presenza di diabete sia meno accentuata, si osservano complessivamente dinamiche analoghe.

Il DM2, insieme ad altre patologie croniche non trasmissibili, ha una forte connotazione sociale, perché colpisce soprattutto le classi economicamente e socialmente più svantaggiate.

Secondo i dati del Rapporto Osservasalute, sono affetti da tale patologia soprattutto le persone con livello di istruzione più basso: la prevalenza della malattia è pari al 2,4% tra le persone con titolo di studio più elevato (laurea e dottorato di ricerca) raggiungendo il 16,9% tra chi ha, al massimo, conseguito la licenza elementare.

La disuguaglianza sociale è particolarmente accentuata nella classe di età 45-64 anni, nella quale la prevalenza del diabete è dell’1,9% tra i laureati e raggiunge il 9,3% tra coloro che hanno conseguito al massimo la licenza elementare.

Analogamente, per le persone di 65 anni di età ed oltre, la prevalenza è pari all’11,8% tra i laureati e arriva al 19,7% tra gli anziani con titolo di studio più basso.
 
Territorio vs ospedalizzazione
“Il diabete - sottolinea Alessandro Solipaca - è un banco di prova anche dal punto di vista dell’organizzazione, dell’appropriatezza e dell’efficacia dei sistemi sanitari, poiché le politiche di prevenzione associate ad una presa in carico tempestiva del paziente diabetico possono evitare sprechi di risorse, prevenendo complicanze della malattia e migliorando la qualità della vita dei pazienti”.

Dal punto di vista dell’efficienza e dell’appropriatezza, l’ospedalizzazione dei pazienti diabetici rappresenta un indicatore sentinella, cioè segnala il probabile mal funzionamento dell’assistenza territoriale, in quanto un paziente non adeguatamente gestito deve, a causa dell’insorgenza di complicanze, ricorrere al setting ospedaliero. Nel 2017 il tasso standardizzato di dimissioni ospedaliere totale è stato pari a 57,05 per 10 mila abitanti, il valore più alto è stato rilevato in Molise (85,1), seguito da Campania (83,14) e Puglia (82,49); i valori più bassi si riscontrano in Lombardia (36,25 per 10 mila abitanti), Piemonte (39,58) e nelle due Province autonome (Bolzano, 40,29 e Trento, 41,73).
 
Mortalità
In Italia nel corso degli anni si è assistito a una diminuzione della mortalità per diabete, il tasso standardizzato è passato da 3,69 ogni 10 mila abitanti registrato nel 2003 a 2,96 ogni 10 mila abitanti del 2017.

La mortalità per diabete colpisce in particolar modo le persone più anziane residenti nelle regioni del Mezzogiorno, dove il tasso standardizzato si attesta al 4,48 per 10 mila abitanti nelle regioni del Sud e al 4,26 nelle Isole, mentre nelle regioni del Centro si attesta a 2,61 e in quelle del Nord al 2,2 per 10 mila abitanti. Questi dati testimoniano come nel Mezzogiorno la prevenzione e la qualità dell’assistenza siano forse meno efficaci rispetto ad altre zone del Paese.
 
Gli interventi di “valore”
Qualora le performance regionali si allineassero a quelle migliori osservate sul territorio, si otterrebbero sicuramente dei risparmi di spesa. Per esempio, se le politiche di prevenzione ottenessero come risultato un valore dell’emoglobina glicata (una misura usata di routine per calcolare la capacità dei pazienti di mantenere la glicemia sotto controllo nel tempo - HbA1c) inferiore al 7% nel 60% dei pazienti diabetici, si avrebbero 344 mila persone in più nei target previsti, con evidenti vantaggi in termini di riduzione delle complicanze e di risparmi di spesa per ospedalizzazioni dovute a complicanze o a diabete non controllato. Inoltre una non appropriata scelta dei farmaci utilizzati per la cura del diabete può generare effetti collaterali del trattamento, come l’incremento ponderale e le ipoglicemie, oltre a ritardare o impedire il raggiungimento degli obiettivi di cura. Pertanto, una maggiore appropriatezza prescrittiva dovrebbe portare ad una riduzione delle ospedalizzazioni. L’inerzia terapeutica è uno dei fattori che maggiormente incidono sul mancato raggiungimento di un buon compenso glicemico.  Ed ancora, un azzeramento delle giornate fuori soglia (ossia delle degenze che si prolungano oltre il numero medio di giorni previsto per quello specifico ricovero) per diabete comporterebbe un risparmio pari a quasi 8 milioni di € annui.

“La disomogeneità territoriale che si riscontra negli indicatori legati alla patologia diabetica – conclude Solipaca - è la testimonianza delle diverse capacità di prevenzione e di assistenza dei Sistemi sanitari regionali. Questa circostanza lascia ipotizzare, quindi, che ci siano ancora ampi margini per ottenere maggiore efficienza e risparmi di spesa, aumentando sia l’appropriatezza di cura sia la qualità della vita dei pazienti”.

09 giugno 2020
© Riproduzione riservata


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