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La riforma degli ordini professionali. Cosa cambierà per i medici e le altre professioni sanitarie (prima parte)

di Luca Benci

Per le professioni già "ordinate" non cambia molto, a parte le nuove regole elettorali e il limite dei due mandati. Ma per tutte le altre professioni, sia per quelle già precedentemente organizzate in collegi e tanto più per quelle non ordinate, la legge Lorenzin rappresenta un indiscutibile successo, anche dal punto di vista simbolico. Si tratta infatti della chiusura del cerchio del processo di professionalizzazione partito nella metà degli anni novanta. Nella seconda parte parleremo invece dei cambiamenti dei rapporti tra la deontologia e la giustizia ordinistica

02 GEN - La riforma degli Ordini e la costituzione di nuovi numerosi Albi professionali è stata salutata con un (quasi) generale plauso.
 
Ad eccezione della Fnomceo, e nei giorni precedenti all’approvazione anche della Fofi e della Fnovi, tutto il novero delle professioni sanitarie si è dichiarato soddisfatto.
 
Cerchiamo di capire meglio la portata delle innovazioni tenendo presente i diversi riflessi che si potranno avere nelle categorie professionali.
 
Tecnicamente la riforma degli Ordini si presenta come una novella legislativa, non innovando quindi completamente la decisamente vetusta storica normativa ordinistica del dopoguerra, che mantiene l’impianto di quanto non innovato.
 
Avevamo già notato la legge Lorenzin “abroga tre dei quattro capi legislativi lasciando immutata solo la parte sull’organo giurisdizionale speciale della Commissione centrale delle professioni sanitarie”.
 
In questa prima parte della nostra analisi affronteremo i cambiamenti che coinvolgono le varie professioni, riservando alla seconda parte i cambiamenti dei  rapporti tra la deontologia e la giustizia ordinistica.
 
Le innovazioni della prima parte le distingueremo tra i cambiamenti (pochi) per la professione già precedentemente “ordinata” come la professione medica, i cambiamenti per le professioni già dotate di collegio e albo professionale come le professioni infermieristiche, ostetriche e di tecnico sanitario di radiologia medica e le professioni non dotate di albo e collegio professionale.
 
Cambiamenti per la professione medica
La presidente della Fnomceo Roberta Chersevani esprime un giudizio negativo delle innovazioni apportate e ha affermato: “Spiace che nell’ambito dell’articolo 4, recante la riforma dei nostri Ordini, che avrebbe avuto diritto a dignità di Legge a sé stante, i legislatori si siano focalizzati più sui tecnicismi e sulle procedure che sulla sostanza, non tenendo in sufficiente conto le necessità di ammodernamento e di adeguamento al ruolo che gli Ordini stessi hanno assunto nella società”.
 
Chersevani ha, al tempo, torto e ragione.Ha in parte torto quando afferma che i “legislatori si siano focalizzati più sui tecnicismi e sulle procedure che sulla sostanza”. Di particolare rilevanza, infatti, sono alcune norme che rafforzano il sistema ordinistico e gli restituiscono credibilità proprio sul punto in cui questa è stata fortemente minata: la rappresentanza.
 
Il sistema elettorale ordinistico in vigore fino ad oggi – e a tutt’oggi! – è fuori dal consesso civile e democratico. Ben vengano quindi le nuove regole – da emanare in realtà – sulle procedure, la “terzietà” e quindi l’imparzialità dei seggi elettorali. Ci si potrebbe domandare se un seggio elettorale, per definizione, possa non essere imparziale. La risposta è contenuta nell’attualmente vigente legge elettorale ordinistica: il seggio non è imparziale e questo ha creato, da sempre e anche recentemente, una serie di problemi e di contestazioni di cui puntualmente Quotidiano Sanità ha dato conto.
 
Ben venga anche il limite dei mandati. Un ordine professionale non è una monarchia e l’avvicendamento delle cariche evita una serie di problemi e  di commistioni che da tempo si tentano di combattere in ogni consesso rappresentativo. Decisamente ottima la previsione della pluralità di seggi per favorire l’accesso al voto con particolare riferimento agli ordini medio-grandi e a quelli interprovinciali.
 
Può sembrare paradossale, ma la previsione di un seggio unico, soprattutto riferita a ordini di forte consistenza numerica, si basa sulla speranza di uno scarso numero di votanti. Se anche una percentuale consistente degli iscritti agli ordini di Roma, Milano o Torino decidessero di andare a votare creerebbero il caos. E’ impensabile che dieci o quindicimila persone riescano a votare in un solo seggio in tre giorni!
 
Non è inoltre sostanzialmente  credibile un organo rappresentativo eletto con una ristrettissima minoranza degli aventi diritto. Su questo aspetto il legislatore ci ha creduto a metà, nella parte in cui toglie ogni quorum – il 10% che in questo caso, a regole rinnovate, sarebbe stato tranquillamente raggiungibile – per la validità delle elezioni. Un ordine che volesse boicottare la partecipazione potrebbe non proporre il voto in più sedi. I motivi, come è noto, possono essere legati all’autoconservazione del gruppo uscente, seppur temperato dal limite dei mandati. E’ importante che i decreti attuativi limitino la discrezionalità sulla costituzione dei seggi plurimi in ordini di grandi dimensioni.
 
Quello che non muta è la mancata previsione della elezione diretta dei rappresentanti nazionali. I professionisti si esprimono solo sul livello locale e l’elezione del Comitato centrale – si chiamerà ancora così! – avverrà solo in base ai voti dei presidenti provinciali sottraendo al corpo elettorale la decisione sulla propria rappresentanza. Grave è anche la mancanza di un livello di rappresentanza regionale vista l’insistenza della legge sul superato livello provinciale.
 
Chersevani ha invece ragione  da vendere quando lamenta il mancato reale aumento delle funzioni da attribuire agli ordini. Da questo punto di vista la riforma è decisamente una delusione soprattutto in relazione al cambiamento giuridico previsto per gli ordini: da organi ausiliari a organi sussidiari dello Stato. Mutamento importante ma svilito di ogni effetto pratico vista la pochezza di nuove attribuzioni realmente attribuite. Difficile non darle ragione quando parla di “occasione perduta” soprattutto laddove si poteva prevedere un moderno sistema di accreditamento professionale che manca clamorosamente nel nostro ordinamento e di cui ci sarebbe, in realtà, un gran bisogno.
 
In generale, per i medici, il nuovo sistema innova poco  - se non parzialmente sulla rappresentanza – per cui si capisce il motivo di rammarico. A meno che non si voglia portare l’analisi sulla più classica dietrologia e affermare il motivo di delusione della Fnomceo nella totale equiparazione normativa degli ordini dei medici agli altri istituendi ordini professionali.
 
Rimarrebbe, comunque, il problema della pigrizia legislativa sul reale ammodernamento delle funzioni ordinistiche. Ha inoltre ragione quando afferma che la riforma ordinistica avrebbe meritato dignità di un provvedimento ad hoc che avrebbe permesso la radicale trasformazione della legge e non il restyling della normativa degli anni quaranta/cinquanta dello scorso secolo.
 
Cambiamenti la professione infermieristica e per la professione ostetrica
Per le due professioni che avevano già un collegio e un albo professionale (per i tecnici sanitari di radiologia medica vedremo a breve) i cambiamenti formali sono minimi – da collegio a ordine – ma dal punto di vista simbolico i significati sono assolutamente rilevanti. Si tratta della chiusura del cerchio del processo di professionalizzazione partito nella metà degli anni novanta.
 
Un successo politico reale che giustamente viene enfatizzato da Barbara Mangiacavalli dell’Ipasvi che comunque non nasconde la delusione per la mancata innovazione delle funzioni ordinistiche.
 
Rimane sulla soddisfazione politica del risultato ottenuto Maria Vicario della Fnco sottolineando a sua volta un altro aspetto importante della legge Lorenzin e che esula dalla riforma degli ordini: le prime disposizioni normative specifiche sulla “medicina di genere” di cui si è parlato poco ma che riveste, a vari fini, una decisa importanza. Il successo politico delle ostetriche è arricchito dall’avere mantenuto un ordine autonomo pur nella ristrettezza dei numeri della professione. In questo caso storia e specificità hanno prevalso sulla mera questione quantitativa.
 
Per la professione infermieristica si registra un appesantimento della macchina con la costituzione delle “commissioni di albo” ci cui si registra l’inutilità vista la forte omogeneità tra le due professioni che costituiscono l’ordine: gli infermieri e gli infermieri pediatrici.
Per il resto non si avranno altri cambiamenti se non quelli, importanti, previsti per il sistema elettorale.
 
Cambiamenti per la professione di tecnico sanitario di radiologia medica
I tecnici di radiologia sono l’altra professione che avevano e hanno una regolamentazione ordinistica – ancorché nominalmente istituita in collegio – e che trovano dei cambiamenti che possono essere interpretati con letture diverse.
 
Ricordiamo che la legge Lorenzin, oltre a trasformare in ordine il vecchio collegio, lo trasforma in ordine multialbo facendo gravitare all’interno del nuovo ordine una pluralità decisamente numerosa di albi professionali di tutte le professioni tecniche, della riabilitazione e della prevenzione che ne erano prive, fatta eccezione per gli assistenti sanitari, che migrano dall’ordine multialbo infermieristico.
 
Nasce dunque un ordine professionale che sarà composto in prima istanza da diciannove albi delle professioni precedentemente “non ordinate”. In futuro – nel prossimo futuro? – se ne potranno aggiungere altre due di prossima (?) istituzione come gli osteopati e i chiropratici che hanno visto delle novità proprio nella legge Lorenzin arrivando quindi a 21 albi!
 
Se i fisioterapisti raggiungeranno la quota 50.000 iscritti potranno avere un ordine autonomo e gli albi torneranno a 20.
 
Le mediazioni politiche sono spesso imperscrutabili in chi, come noi, commenta il risultato raggiunto e non i compromessi necessari per il raggiungimento del risultato stesso. Non possiamo però che confermare quanto già precedentemente commentato: “Un ordine, un consiglio direttivo, venti albi professionali e venti commissioni di albo. Scelta a dire poco ardita che pone immediati interrogativi sul suo funzionamento”.
 
I tecnici di radiologia perdono il loro ente autonomo che vedono trasformato in ordine multialbo forse di maggiore visibilità ma, come vedremo, di complicato funzionamento.
 
Rimane anche per loro il successo politico della trasformazione di collegio in ordine. Come ha dichiarato la Federazione TSRM il risultato è “storico” anche se traspare la preoccupazione del funzionamento di un ordine “condiviso” con altre numerose professioni.
 
Cambiamenti per le professioni della riabilitazione, tecniche e delle prevenzione che non avevano un collegio professionale
La totalità delle professioni della riabilitazione, la quasi totalità delle professioni tecniche e una delle professioni della prevenzione non avevano un collegio e un albo professionale e la legge Lorenzin glielo istituisce.
 
Qui i cambiamenti si fanno più evidenti. Ordine e albo danno rappresentanza e visibilità politica nelle istituzioni, consentono risorse certe, permettono argini all’abusivismo professionale per quelle professioni che sono storicamente piagate dal fenomeno. La soddisfazione politica non può che essere giustamente ampia soprattutto per coloro, come i fisioterapisti, che possono avere la prospettiva di costituire un ordine autonomo al raggiungimento – non sarà facile, quanto meno nei tempi! – delle cinquantamila unità iscritte. Non stupisce quindi che Mauro Tavarnelli a nome dell’AIFI parli di risultato storico.
 
Punta sulla maggior tutela della salute Tiziana Rossetto della FLI, di un maggior benessere per il cittadino l’AITO, di superamento delle diseguaglianza Dilva Drago dell’Aiorao e di maggiore sicurezza e qualità nei commenti di Alessia Cabrini e Fernando Capuano per i tecnici sanitari di laboratorio biomedico. Plaudono anche gli assistenti sanitari con Miria De Santis la cui storia è in realtà diversa in quanto appartenenti storicamente alla professione infermieristica, già dotati di albo e collegio professionale. La loro è una migrazione, come abbiamo già sottolineato, nel grande ordine multialbo (ma più piccolo numericamente dell’ordine infermieristico da cui provengono).
 
La generale soddisfazione, non poteva essere altrimenti, è evidente e la sintetizza bene Antonio Bortone a nome di tutte le categorie precedentemente “non ordinate”.
Registrati i positivi commenti iniziano i problemi per un ordine professionale che non ha eguali nel novero del sistema ordinistico e che si troverà a gestire una ventina di albi professionali distinti.
 
Oltre al Consiglio direttivo ci saranno le commissioni di albo che saranno, in questo caso, dei veri e propri ordini negli ordini con poteri importanti.
 
Avevamo già precedentemente scritto: “questo Ordine rischia di essere un organismo elefantiaco e pletorico se consideriamo che le commissioni di albo avranno almeno tre/cinque elementi  e potremo quindi avere – un consiglio direttivo ex provinciale di quindici elementi, di venti commissioni di albo con ben cento elementi complessivi, e tre (più uno) revisori dei conti. Il tutto sia per il livello ex provinciale che nazionale”.
 
Con le modifiche intercorse alla Camera il numero dei componenti del consiglio direttivo di questo ordine sarà indicato da un successivo decreto ministeriale che deve comunque garantire “un’adeguata rappresentanza di tutte le professioni che ne fanno parte”. Non saranno sufficienti quindici unità visto che le professioni che ne fanno parte sono attualmente diciannove e l’adeguata rappresentanza non può essere che posta in relazione al numero dei professionisti da rappresentare. Possiamo immaginare un consiglio direttivo non inferiore ai venticinque membri.
Certo è che questo ordine dovrà avere una regolamentazione statutaria seria in grado di non paralizzarne i lavori. Non sarà semplice.
 
Conclusioni
Come abbiamo visto le innovazioni più rilevanti riguardano nell’ordine le professioni che non erano dotate di albo professionale,  le professioni che erano dotate di albo e di “collegio” professionale e, infine, i cambiamenti minori riguardano la professione medica già precedentemente “ordinata”.
 
Certo è che, a ben vedere, si pone a questo punto il problema della coerenza della legislazione extra-ordinistica su istituti che regolamentano in modo diverso – a questo punto ingiustificatamente diverso – le attività professionali a seconda dell’appartenza a una categoria.
 
Il riferimento è relativo, a titolo esemplificativo, alla disciplina della “esclusività di rapporto” e al regime di libera professione vietato per le professioni del “comparto” (ora neo-ordinate) e le professioni delle dirigenza medica e veterinaria. Il diverso regime regolatorio della libera professione – dentro e fuori le mura – non è più giustificato. Qualunque opinione si abbia sul controverso istituto che permette l’esercizio della professione “privata” all’interno della struttura pubblica – la mia è decisamente critica - non giustifica più, neanche formalmente, la diversità di trattamento.
 
Ravvisiamo il rischio che la spinta inevitabile di una certa parte del mondo professionale sulla liberalizzazione o quanto meno sulla parificazione della liceità della libera professione delle professioni neo/ordinate a quella medica comporti conseguenze estremamente pesanti per più motivi: in primo luogo la tradizione “scambista” tra il potere pubblico – inteso come datore di lavoro pubblico – e le organizzazioni sindacali che ha visto, soprattutto in passato, lo scellerato patto tra moderazione salariale e consenso all’integrazione del reddito nella libera professione.
 
La prima conseguenza potrebbe essere quella di “proletarizzare” le prestazioni professionali attraverso un ampliamento improvviso dell’offerta formativa proprio quando una legge – quella sull’equo compenso – cerca di tamponare la sproporzione tra offerta e domanda nel mondo professionale. Si è tentato di sottrarre alle logiche di mercato la prestazione professionale che ritornerebbe alle vecchie logiche con un ampiamento esponenziale dell’offerta sanitaria dovuto alla liberalizzazione.
 
In difficoltà andrebbero i liberi professionisti “puri” non dotati dell’ombrello protettivo proveniente dalla retribuzione sicura dell’essere dipendenti pubblici.
 
Infine, l’altro pericolo che si può ravvisare, è relativo al depotenziamento complessivo dell’offerta formativa pubblica in favore di quella privata “dentro e fuori le mura”. In altre parole, se un cittadino ha bisogno di una prestazione riabilitativa ambulatoriale che sconta lunghe liste di attesa può trovare la “scorciatoia” direttamente nelle strutture pubbliche per risolvere il suo problema di salute. Esattamente come per le prestazioni mediche. A pagamento ovviamente.
Non sarebbe una bella conclusione per una legge come quella degli ordini che vengono rafforzati anche a tutela del cittadino in qualità di enti sussidiari dello Stato e che finirebbero per avere, come conseguenza non voluta, il danneggiamento del cittadino stesso.
 
Luca Benci
Giurista
 
Fine prima parte

02 gennaio 2018
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