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Non tutto di ciò che ci accade di triste o doloroso è “disagio psicologico”

di Pietro Cavalli

03 NOV -

Gentile Direttore,
la recente analisi di Thanopolus (QS del 2/11/2022) sulla necessità di formazione per qualsiasi professionista, non solo sanitario, è assolutamente condivisibile, specie se riferita a professionalità definite in modo assai generico. Tuttavia, pur senza voler entrare in un contesto che appare del tutto autoreferenziale, potrebbe essere interessante anche un’analisi metodologica sulla incessante riproposizione dell’unica soluzione individuata per affrontare (risolvere?) il problema del “disagio psicologico”.

In una recente riedizione del “gioco delle coppie” succede che uno dei due lancia il sasso e nasconde la mano e, alla lecita messa in discussione degli effetti della sassata, interviene il secondo bacchettando qualsivoglia tentativo di richiesta di spiegazioni. Al di là della insolita modalità di affrontare problemi e discussioni (il soggetto A afferma; il pubblico reagisce; il soggetto B interviene per ri-affermare quanto sostenuto dal soggetto A), il fatto è che ci si sta muovendo su di un terreno complicato e nel quale si confrontano posizioni differenti: da un lato chi ritiene che l’evidenza scientifica, compresa la verifica dei risultati, sia un elemento fondamentale per la valutazione dell’efficacia di un trattamento, dall’altra chi sostiene un’efficacia a prescindere, garantita solamente da affermazioni tanto categoriche quanto indimostrate.

Difficile quindi conciliare le dichiarazioni dello psicologo Lazzari e dello psicologo Sellini con quelle di chi invece si trova quotidianamente ad affrontare il problema della salute mentale, problema forse un pochino più ampio rispetto a quello, pur condivisibile, di chi si ritiene che ci si debba preoccupare della “promozione di comportamenti di stili e vita”.

Risulta anche difficile affrontare un dibattito serio in un campo in cui risultano assenti gli approfondimenti scientifici e dove l’utilizzo del termine “salute mentale” è diventato omnicomprensivo, comprendendo sia la desueta definizione di “malattia mentale” che ogni altra forma di disturbi psicologici transitori e legati alle normali vicende della vita quotidiana.

Certamente parlare di disagio psicologico costituisce un argomento di grande impatto ad ogni livello: esiste forse qualcuno che non viva o non abbia vissuto momenti di difficoltà psicologica?

In realtà è in corso un grande dibattito a livello internazionale a proposito degli interventi psicologici a pioggia e forse a qualcuno è sfuggito un recente intervento di Huw Green, psicologo clinico USA, che rileva come si sia ormai diffusa una tendenza a definire patologiche situazioni ed esperienze comuni, anche dolorose ed impegnative che però fanno parte della vita normale e che magari contribuiscono a costruire la personalità dell’individuo e non debbono venire affrontate necessariamente come se fossero patologie: “molte forme di impegno psicologico sono legate all’esperienza di essere una persona” e sono “parte di ciò che rende una vita degna di essere vissuta”.

Molto difficile anche affrontare discussioni nelle quali risultano del tutto assenti i dati, con la rarissima eccezione di condizioni nelle quali viene presentato solamente il dato relativo e risulta rigorosamente assente il dato assoluto: a parere di molti una modalità assai vantaggiosa dal punto di vista “pubblicitario” e proprio per questo non sempre condivisibile dal punto di vista di chi supporta, non solo in Medicina, la necessità di un’informazione il più possibile distante dalla metafisica.


Pietro Cavalli
Medico



03 novembre 2022
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