Gentile Direttore,
parafrasando l’incipit della lettera al Direttore dal titolo “Una follia separare la psicologia dalla salute mentale”… anch’io ho letto con sorpresa, ed io aggiungo, con preoccupazione, questo articolo. Sono certo che il titolo “Una follia….” Non sia opera del dott. Angelo Fioritti e Giuseppe Nicolò, autori della lettera al direttore. Sono certo si tratti solo di un titolo giornalistico e come tale lo intendo.
Gli autori della lettera esprimono talmente tale e tanta preoccupazione da negare addirittura l’esistenza di una specifica norma di legge, tra l’altro, da loro, espressamente citata. Non è chiaro il perché di tanta preoccupazione. Una professione, quella psicologica, che si interroga su quale possa essere il modo migliore per rispondere alla crescente domanda di salute psicologica è un segnale che deve essere accolto in modo assolutamente positivo. I bisogni di salute psicologici espressi dai cittadini sono esplosi in modo esponenziale. A fronte di cambiamenti così radicali e repentini non regge più un modello di organizzazione che non aveva ancora affrontato la tempesta COVID. A nuove domande di salute non si può rispondere riproponendo soluzioni superate sul piano dell’efficacia e non godono più del gradimento degli utenti.
La risposta della professione psicologica si innesta nel filone di una riorganizzazione delle professioni iniziata da oltre 20 anni e che vede le discipline mediche, le professioni infermieristiche, ostetriche, i farmacisti, il Servizio sociale ecc. riorganizzarsi una ottica di integrazione multidisciplinare e multi professionale partendo da una struttura interna alle professioni solida che meglio si adatta alle nuove sfide che attendono la Salute.
Le esperienze di tutte le altre discipline e professioni dimostrano la bontà delle scelte già fatte. L’organizzazione aziendale ne ha tratto importanti effetti benefici e non abbiamo assistito a parcellizzazioni dell’assistenza sanitaria. Anzi. Le professioni hanno imparato ad interagire in modo maturo ed efficace tant’è che nessuno, neppure gli autori dell’articolo, hanno mai espresso dubbi o critiche. Eppure il Servizio infermieristico e quello sociale incidono nell’organizzazione anche dei servizi di psichiatria. Nessuno oserebbe affermare che le scelte delle professioni infermieristiche, degli assistenti sociali, delle discipline mediche, dei farmacisti ecc. rispondono a semplici logiche corporative. Eppure gli autori dell’articolo non hanno timore a definire corporativa la posizione del Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi. Possiamo fornire ampie rassicurazioni in merito. La professione psicologica, come poche altre, si pone come ‘ponte’ tra la salute intesa in senso organicista e l’ambito sociale che tanta influenza ha sullo stato di salute dei cittadini.
Ciò rende ancora più incomprensibile la preoccupazione espressa nell’articolo.
Sembra che si voglia impedire alla professione psicologica di esprimere la propria opinione in merito a come “garantire la salute e il benessere psicologico individuale e collettivo e di assicurare le prestazioni anche domiciliari ai cittadini…”? A meno che non si nutra la presunzione che la salute e il benessere psicologico sia un tema che gli psicologi e la loro rappresentanza istituzionale non siano in grado di affrontare perché immaturi o inadatti.
Non è che i due autori considerano la professione di psicologo e la psicologia una disciplina e una professione che necessita di tutela? Ma poi di chi e con quali motivazioni? La psicologia è una Disciplina, al pari di tutte le altre Discipline presenti nel Servizio Sanitario. Gli psicologi una professione ampiamente riconosciuta dai cittadini, i quali a centinaia di migliaia hanno chiesto e chiedono assistenza psicologica.
Possiamo tranquillizzare gli autori dell’articolo che la Funzione Aziendale di Psicologia non distrugge l’assetto di integrazione degli interventi. Al contrario lo esalta. La realtà organizzativa della Psicologia, autonoma ma perfettamente integrata nei modelli organizzativi aziendali, già presente in diverse Regioni e moltissime Aziende Sanitarie, dimostra quanto sia utile ed efficace un sistema che poggia sulla indispensabile e necessaria flessibilità nell’utilizzo delle risorse professionali disponibili nelle aziende. È proprio la rigidità dell’organizzazione che allontana gli utenti e i cittadini dai servizi.
Oramai è assodato che moltissimi cittadini, per ottenere assistenza e cura psicologica non vogliono rivolgersi al ‘servizio di psichiatria territoriale’. La psichiatria ha un ruolo ed una funzione indispensabile e insostituibile nella cura delle gravi patologie psichiatriche e nessuno ne può contestare la funzione. Ma è altrettanto certo che i cittadini non accettano più una equiparazione tra patologie psichiatriche che richiedono cure specifiche, anche farmacologiche, e i disturbi e le patologie psicologiche. I cittadini hanno acquisito consapevolezza dei loro bisogni psicologici che non possono e non devono trovare risposte nei servizi di psichiatria territoriale.
Questo perché, oggi, quelli che una volta erano i cd ‘servizi di salute mentale’, stanno cambiando nome e denominazione: non più ‘servizi di salute mentale ma ‘servizi territoriali di psichiatria’. È un bene, è un male? Non mi esprimo. Certamente la nuova denominazione fa chiarezza.
Più che esprimere ingiustificate preoccupazioni, sarebbe utile discutere di come, due discipline, Psicologia e Psichiatria, possono e devono collaborare nell’interesse di una utenza fragile.
Non costringiamo un cittadino che presenta problematiche psicologiche a bussare alla porta di un servizio pubblico che ha come etichetta ‘Servizio Territoriale di Psichiatria’. Il messaggio potrebbe essere devastante; significherebbe non riconoscere al cittadino il diritto di qualificare e definire il proprio malessere, spingendolo di fatto verso la sanità privata.
Mario Sellini