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Farmaci. "Ecco il futuro degli antitumorali". Intervista a James Bianco (CellTherapeutics)


Profittando della sua recente visita in Italia abbiamo incontrato l’amministratore delegato dell’azienda bio-farmaceutica di Seattle alla vigilia del lancio europeo del pixantrone. Un nuovo presidio contro i linfomi non Hodgkin. In arrivo anche nuovi farmaci contro leucemie e tumore ovarico.

02 LUG - Cell Therapeutics si prepara al lancio di pixantrone sul mercato europeo, che avverrà secondo le previsioni entro il quarto trimestre 2012. Per parlare di questo farmaco e delle altre novità provenienti dell’azienda bio-farmaceutica di Seattle – specializzata nei farmaci per la cura dei tumori del sangue e delle malattie ad essi correlate – abbiamo contattato per un’intervista il suo fondatore e attuale amministratore delegato dr. James A. Bianco, in visita in Italia la settimana scorsa in quanto Cell Therapeutics è quotata anche nella borsa di Milano.

Oltre al farmaco che  viene usato nel trattamento dei linfomi non-Hodgkin aggressivi o refrattari, in pazienti che hanno ricevuto due o più terapie e sono sensibili alle antracicline, l’azienda ha completato da poco l’acquisizione dei diritti di pacritinib, un inibitore orale della proteina JAK2, altamente selettivo, usato per il trattamento di pazienti con mielofibrosi a basso conteggio piastrinico.
Inoltre, la casa farmaceutica ha iniziato l’arruolamento per uno studio di Fase II con lo scopo di valutare la combinazione di tosedostat con citarabina o decitabina in pazienti anziani affetti da leucemia mieloide acuta o sindrome mielodisplastica ad alto rischio di nuova diagnosi.
Abbiamo chiesto a Bianco di parlarci di questi farmaci e di altri progetti.
 
Pixantrone è uno dei vostri prodotti di cui si sta parlando di più. Rispetto alla doxorubicina il farmaco presenta un’attività antilinfoma migliore, almeno stando agli studi preclinici, a causa di composti stabili con il DNA.  Ma è possibile che ci siano problemi di tollerabilità?
A differenza della doxorubicina, il farmaco non ha i motivi strutturali tali da comportare danno cardiaco, e quindi è meglio tollerato rispetto alle antracicline tipiche della doxorubicina. Per questo ha un effetto antilinfoma più potente, ma non ha gli effetti collaterali negativi a livello cardiaco. Gli effetti collaterali principali, come la maggior parte degli agenti chemioterapici, stanno nell’abbassamento della conta dei globuli bianchi. Negli studi clinici comunque il problema è stato facilmente gestito.
 
Il pixantrone è stato approvato per la commercializzazione condizionata in Europa: l’Ema (European Medicine Agency) ha infatti richiesto studio post-marketing a conferma dei risultati raggiunti durante la sperimentazione. Negli Stati Uniti, invece, c’è stata una maggiore resistenza all’approvazione e il farmaco non ha ancora ottenuto l’ok. Perché?
Negli Stati Uniti il processo di approvazione viene determinato da un unico direttore nell’ufficio della Divisione Oncologica, mentre in Europa si tratta di un processo più rigoroso, perché ognuno dei 27 Paesi Membri europei ha i propri esperti che valutano la domanda. Quindi, l’approvazione di un farmaco in Europa è il risultato del consenso ottenuto tra tutti i Paesi Europei che, appunto, concordano sull’autorizzazione da dare al farmaco: non si tratta di un singolo individuo che dice sì o no, ed è in questo che consiste la differenza. Noi abbiamo uno studio in corso che rappresenta un impegno nei confronti dell’Ema, che è l’autorità europea, e i dati provenienti da questo studio probabilmente ci permetteranno di registrare la domanda negli Stati Uniti, e quindi di ottenere l’autorizzazione anche lì. È solo che potrebbe volerci un po’ più di tempo.
 
Parliamo invece di pactrinib, che ha dimostrato benefici clinici incoraggianti negli studi clinici di Fase I e II nei pazienti affetti da mielofibrosi primaria o mielofibrosi secondaria o da altre neoplasie mieloproliferative. Il medicinale, appena acquisito da Cell Therapeutics, è stato designato farmaco orfano negli Stati Uniti e in Europa per la mielofibrosi. In cosa consiste la maggiore selettività del pacritinib rispetto alle precedenti terapie come il ruxolitinib?
A differenza di ruxolitinib, per esempio, pacritinib è un inibitore di JAK2, non di JAK1 e di JAK2, e, sempre a differenza di ruxolitinib, non provoca la trombocitopenia associata alla terapia. In quanto tale, ruxolitinib non può essere utilizzato nei pazienti che hanno basse conte piastriniche, mentre il pacritinib sì. Circa il 35% dei pazienti affetti da mielofibrosi hanno basse conte delle piastrine e non sarebbero idonei per il trattamento con il ruxolitinib. Questo rappresenta il segmento del mercato che verrebbe servito da pacritinib, ma non sarebbe idoneo per il trattamento con altri farmaci anti JAK1.
 
La disregolazione della JAK2 è associata anche ad altre malattie difficili da curare, come la malattie autoimmuni. L’acquisizione di questo farmaco indica un futuro interesse per la società anche rivolto ad altre patologie?
Ci stiamo concentrando selettivamente sui tumori ematici e quindi il Pacritinib, proprio perché è un inibitore selettivo di JAK2 con inoltre inibizione di FTL3, è attivo anche nei casi di linfoma e di leucemia, che sono anch’esse patologie sotto studio. Questa classe di composti è però efficace anche su alcune patologie autoimmuni, e a noi potrebbe interessare stabilire una partnership con altre case farmaceutiche, per utilizzare il farmaco – potenzialmente – anche in altre patologie, anche al di fuori dell’ambito che di solito interessa alla nostra società.
 
Sappiamo che è previsto lo studio di Fase III per pazienti con mielofibrosi con bassa conta piastrinica e che non sono idonei a terapie con ruxolitinib. Quali sono i tempi?
Prevediamo di iniziare nel quarto trimestre. Lo studio potrebbe richiedere da 9 a 12 mesi per giungere a conclusione.
 
Veniamo poi a tosedostat, per il quale l’Università di Washington e il Fred Hutchinson Cancer Research Center ha già cominciato ad arruolare pazienti per una sperimentazione di fase II randomizzata allo scopo di valutare la combinazione di tosedostat con citarabina o decitabina in pazienti anziani affetti da leucemia mieloide acuta o sindrome mielodisplastica ad alto rischio di nuova diagnosi. Quali indicazioni positive sono attualmente a disposizione che hanno spinto la società a studiare l’effetto del farmaco in combinazione con ditarabina o decitabina?
Ci sono stati due studi di Fase II del farmaco in pazienti che non hanno risposto alla ditarabina e nemmeno alla decitabina: in questi pazienti il tosedostat ha mostrato degli ottimi risultati in monoterapia, e quindi adesso stiamo testando il farmaco in combinazione con decitabina oppure con un altro farmaco che si chiama alfacitabina, quale terapia di prima linea nei pazienti preleucemici o leucemici acuti. Questi risultati determineranno il disegno dello studio di fase III. Contiamo di disporre dei dati entro la fine di quest’anno, e poi saremo in grado – si presume – di iniziare lo studio di fase III l’anno venturo.
 
Temete che un’azione combinata possa essere tollerata in misura minore dai pazienti?
Proprio perché il tosedostat non presenta tossicità sovrastanti insieme con questi altri agenti, e proprio perché il farmaco lavora o funziona attraverso un target diverso, secondo gli studi preclinici ha un’azione sinergica nell’uccidere le cellule tumorali, e rappresenta quindi la base scientifica che giustifica praticamente la combinazione dei farmaci.
 
Sappiamo che il farmaco ha ricevuto lo status di farmaco orfano. Quindi precedentemente questa patologia, ovvero la leucemia mieloide acuta, non era mai stata curata in nessun modo, ovvero non c’erano trattamenti specifici?
La forma recidivante della leucemia mieloide acuta viene trattata con chemioterapia a basso dosaggio ma non ci sono degli agenti specifici mirati, ancora, autorizzati o approvati per trattare questa patologia. Invece il tosedostat ha un target estremamente specifico che rappresenta un’anomalia soltanto nelle cellule tumorali, quindi è una terapia mirata, tumore-specifico (tumore-mirato), ed è estremamente attivo nei casi di leucemia e sindromi preleucemiche.
 
Ma non sono solo queste le novità in casa Cell Therapeutics. Quali sono gli altri progetti in campo?
Abbiamo uno strettissimo legame di lavoro con un gruppo cooperativo di grande prestigio legato al National Cancer Institute, e questi stanno conducendo uno studio di fase III in tutti gli Stati Uniti utilizzando uno dei nostri prodotti, il cui utilizzo è nel tumore ovarico. Il prodotto si chiama Opaxio.
 

02 luglio 2012
© Riproduzione riservata

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