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I Forum di QS. La sinistra e la sanità. Turi: “Tutto cominciò con la 833, nel bene e nel male”

di Edoardo Turi

La Riforma sanitaria del 1978 che istituì il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è infatti figlia anche del Governo di “unità nazionale” Andreotti con il voto favorevole del PCI, che allora aveva il 34% dei voti, sulla spinta del rapimento e la morte di Moro e del Compromesso storico, che nella versione nobile di Enrico Berlinguer, era l’incontro tra la cultura cattolica e quella comunista, contro il golpismo cileno di matrice statunitense

01 APR - Si legge d’un fiato il libro di Ivan Cavicchi (La sinistra e la sanità) anche se è rivolto principalmente ad un lettore di sinistra. Ma anche il lettore che non si riconoscesse in questa collocazione politica potrà trarre utili spunti di riflessione e quello di centrodestra nuovi strumenti per costruire una destra repubblicana e antifascista che è sempre mancata in Italia, tutti partendo dal binomio salute/sanità come chiave di lettura delle contraddizioni del nostro paese e viceversa.
 
Innanzitutto bisogna dire che sinistra è ormai un “nome geografico” (espressione) come disse il Metternich dell’Italia pre-risorgimentale. Data una retta da A a C e ponendovi al centro una B, è destra la porzione a destra di B e sinistra ciò che è a sinistra di B, data dal tasso di keynesismo e di attenzione ai diritti delle politiche proposte, dimenticando che Keynes era un sincero liberale cui interessava che il capitalismo e i popoli non fossero vittime delle mostruosità del sistema economico basato sul profitto e delle rivoluzioni politiche che ad esso reagivano. In più la dannazione semantica della collocazione casuale negli Stati generali della Rivoluzione francese dei radicali.
 
Perché sinistra è parola che evoca aspetti negativi (un aspetto sinistro, avere un sinistro) derivando dal latino “sinus”,le pieghe della veste romana sotto cui si nascondeva la mano sinistra e quindi, forse, un’arma. Non stupisca pertanto il richiamo dell’autore nell’incipit del libro a Marx, che non usa mai la parola nei suoi testi, e che invece ricorda alla sinistra le sue ascendenze di merito e di metodo.
 
Oggi la sinistra, nel migliore dei casi, è attestata nella definizione che Norberto Bobbio ne da nel 1994 in Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica. E qui una prima considerazione del lettore del libro: la Bindi non viene dalla sinistra di derivazione marxista ma dal cattolicesimo sociale e democratico di Maritain, Sturzo e del Concilio Vaticano II, di cui è parte integrante la sussidiarietà orizzontale sin dalla Rerum novarum del 1891.
 
La Riforma sanitaria del 1978 che istituì il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è infatti figlia anche del Governo di “unità nazionale” Andreotti con il voto favorevole del PCI, che allora aveva il 34% dei voti, sulla spinta del rapimento e la morte di Moro e del Compromesso storico, che nella versione nobile di Enrico Berlinguer, era l’incontro tra la cultura cattolica e quella comunista, contro il golpismo cileno di matrice statunitense.
 
Ma l’attuazione pratica furono le giunte anomale, non di rado consociative, DC-PCI e atto di nascita del craxismo come reazione ad esse. Tuttavia quella Riforma, benché frutto di un compromesso parlamentare, portava il segno delle lotte dei lavoratori e degli studenti degli anni ‘60 e ‘70,del pensiero di G. Maccacaro e G. Berlinguer, figli di B. Ramazzini e A. Giovanardi, e dell’impegno scientifico e militante di F. Basaglia, L. Mara e molti altri, dal sindacato dei consigli di fabbrica, al Collettivo di medicina della Statale di Roma a Medicina democratica.
 
Il Ministro della salute democristiana di quel Governo fu la cattolica, partigiana e sindacalista Tina Anselmi, ma oggi abbiamo Roberto Speranza che, ex-post comunista, è figlio della cultura del compromesso storico e dell'unità nazionale, senza soluzione di continuità PCI-PDS-DS-PD-Art.1, priva di “autocritica”, come scrive Cavicchi, e che con Marx ci ricorderebbe che “la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”.
 
La Riforma sanitaria, scrive Cavicchi, tra le molte cose ancora buone contiene però già al suo interno alcune contraddizioni come bombe a orologeria: le “invarianti” dell'ospedale e del medico di famiglia e la sussidiarietà, appunto, sancite dagli artt. 25, 26, 36, 40, 41, 44 e 46, tramite le convenzioni, strumento con cui la sanità privata accreditata assorbe oggi più del 50% dei finanziamenti pubblici.
 
Con una Riforma del Ministero mai attuata e solo di facciata dopo il 1999 (cosa a cui Cavicchi esorta Speranza per cambiare la sanità come “anticipazione di possibilità”). Il D.Lgs. n.229/1999 della Bindi sancirà questo aspetto, superando la concorrenza pubblico-privato del D.lgs. n. 502/1992 del Ministro della sanità De Lorenzo, del Partito Liberale (unico partito che aveva votato contro la Riforma Sanitaria), ma stabilendone la collaborazione e sancendo l’apertura ai Fondi sanitari integrativi nei fatti sostitutivi che le OO.SS. purtroppo stanno introducendo nei CCNL con danni al salario, alle pensioni e alla fiscalità.
 
Ricordiamo che il D.Lgs. n.229/1999 fu il frutto di una Legge di delega al Governo la n.133/1999, procedura meno democratica e trasparente della L. n. 833/1978,che fu una legge parlamentare, e che nell’iter di stesura del D.Lgs. le lobby politico economiche svolsero un ruolo non indifferente. Poteva andare diversamente? Non dimentichiamo che la sinistra era tramortita dalla vittoria di Berlusconi nel 1994 e che nel Governo Prodi (1996) si aveva il primo Governo nazionale con Ministri comunisti dopo il Governo Parri e la stessa Rifondazione Comunista non portò idee e lotte radicali in sanità se non un anti aziendalismo, giusto, ma poi contrattando i Direttori Generali nelle Aziende.
 
Sembrò a tutti di uscire dall’incubo della controriforma di De Lorenzo, dimentichi che le Regioni rosse avevano chiuso in un cassetto le firme di un Referendum che lo stesso PCI aveva raccolto contro il D.Lgs.n. 502/1992. Nel libro la parola “sostenibilità” del SSN viene strappata alla sua lettura economicistica, vecchio vizio della sinistra e subalternità culturale al pensiero unico dominante neoliberale della politica e dei diritti all’economia: prima si sana l’economia e poi le riforme, oppure le riforme per sanare l’economia (Maastricht, pareggio di bilancio in Costituzione).
 
Cavicchi riporta la sostenibilità ad una sua dimensione ecologica e di sistema e, riecheggiando culture sessantottine, ci ricorda che bisogna cambiare il sistema. Ricordiamo poi che liberismo è un eufemismo con cui il Ministro e filosofo B. Croce tentava di scindere il pensiero liberale dalle sue conseguenze economiche e sociali, non impedendogli peraltro di votare la fiducia a Mussolini dopo l’omicidio Matteotti.
 
Perché poi il problema della sinistra è di essere subalterna alla elaborazione culturale in sanità di Bocconi e Cattolica dopo aver abbandonato le posticce Clinical Governance e Evidenced Based Medicine e ora anche le Case della salute, senza nessuna “accountability”, incapace di un pensiero alternativo, dopo molti anni in cui è stata fucina di idee e prassi innovative in sanità e non solo.
 
Cavicchi usa perciò un termine del lessico marxiano: revisionismo. E in particolare dell’Emilia Romagna, che della via italiana al socialismo riformista è stata culla (e speriamo non tomba secondo il vecchio adagio della socialdemocrazia svedese), e che ha sacrificato gli interessi nazionali e del Sud al proprio tornaconto e disegno egemonico, prima con la Riforma del Titolo V della Costituzione, ora con il Regionalismo differenziato.
 
Ci sarà una ragione per cui vecchio PCI non gradiva dirigenti nazionali emiliani? Generazioni di operatori si sono svenati nel corso degli anni per applicare, soprattutto nel territorio, quel modello in condizioni impervie e con scarsi risultati in carenza di risorse e con contesti sociali diversi, dall’osso del meridione appenninico alle immense periferie urbane romane.
 
Cavicchi individua la compossibilità tra universalismo e Sud se si supera la contraddizione della disuguaglianza e la quota capitaria ponderata che ha favorito il Nord, in un paese “non uniformabile”, attraverso un universalismo che “non nega le differenze ma le usa per dare e avere in modo equo a ciascuna comunità quanto serve” con “comunità federaliste”.
 
Il libro spinge la sinistra a ricominciare a studiare per ripensare una “Quarta riforma” a iniziare dal lavoro degli operatori, vero “capitale della sanità” da riformare, e dalla partecipazione, con una nuova idea di tutela della salute attraverso “comunità di base di cittadini e operatori”, un' ”alleanza tra diritti e doveri di operatori e cittadini”, “azionisti”, un diverso ruolo dei Comuni in quanto le “Regioni sono distantissime dalle comunità”, oltre le banalità rapporto ospedale territorio, prevenzione, distretti e case della salute (“poliambulatori”), che vanno ripensate criticamente a partire da dimensioni non certo di prossimità. La pandemia è uno “stress test” che ha dimostrato tutti gli errori compiuti in questi anni in sanità e il Recovery Plan potrà trasformarsi in un nuovo “attacco alla diligenza” o in un nuovo debito da “usurai” già con il Cura Italia, se la sinistra non abbandonerà la logica di “problem solving” da “amministratore di condominio”... “La pandemia è una emergenza come la malattia lo è a livello individuale”.
 
Chi ha un po’ di dimestichezza con i temi ricorrenti di Cavicchi nei suoi numerosi scritti non si stupirà della verve polemica verso Bindi e Speranza. In fondo Cavicchi è un intellettuale sartrianamente impegnato, un opinion leader, che proviene però dal lavoro vivo in ospedale e dal sindacato e non dall’accademia, che, al di là della condivisione o meno delle sue proposte, ha difeso pubblicamente e solitario nel mondo degli universitari e dei pubblicisti, il SSN dai numerosi attacchi, oltre che su questo giornale di settore che oggi ospita questo dibattito, dalle colonne de il Manifesto e del il Fatto Quotidiano, non certo due giornali mainstream.
 
Per una nuova riforma servirebbe però un movimento come quello che portò alla Riforma sanitaria del 1978 e quindi rimane solo il dubbio che il libro ci lascia con questa frase: “Le idee senza un movimento sono come le inerzie senza spinta”.
 
Edoardo Turi
Medicina Democratica
Forum per il Diritto alla salute
Direttore di Distretto ASL

 
Vedi gli altri interventi: CavicchiBonacciniMaffeiRossiTestuzza, SpadaAgnolettoZuccatelliMancin, PepeAsiquasGiannottiAgnettiGianniAgneni, Panti.

01 aprile 2021
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