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Elettroshock ancora praticato in Italia. A Bologna 21 pazienti nel 2010


In 10 strutture in Italia è ancora praticata. Sono tra 20 e 30 i pazienti che ogni anno vengono sottoposti al trattamento, la maggior parte donne. Ma i dati italiani sono più bassi di quelli di altri Paesi europei. E l'esperto precisa: "Ultima ratio, quando le terapie farmacologiche sono inefficaci".
 

04 FEB - Nel 2011 l’elettroshock in Italia viene ancora praticato. La comunità psichiatrica è solita chiamare il trattamento terapia elettroconvulsivante, nota con le sigle di Tec o Ect in inglese. Sul territorio nazionale esistono 10 strutture dove è possibile sottoporsi sottoporsi al trattamento: 5 di queste appartengono al servizio sanitario nazionale, le restanti sono cliniche private convenzionate (dati Aitec 2011). Anche se dai dati rilanciati dall'agenzia Dire emerge che i servizi di Tec forniti dagli ospedali pubblici di altri Paesi europei sono più numerosi: Regno Unito (160), Germania (159), Svezia (65), Norvegia (44), Finlandia (40), Danimarca (35). A villa Baruzziana di Bologna, uno dei 10 centri italiani che praticano l'elettroshock, i trattamenti sarebbero stati circa 30 in 5 anni. "La maggior parte sono donne", ha dichiarato Franco Neri, direttore sanitario della struttura, spiegando che "i posti letto occupati da pazienti donne sono una volta e mezzo- due, rispetto a quelli degli uomini".
I principali disturbi che vengono curati con la terapia elettroconvulsivante sono la depressione grave, la catatonia quando si manifesta con arresti psicomotori, la psicosi puerperale nella pericolosità di suicidio della madre od omicidio del bambino.
 "La Tec – ha assicurato Neri - viene proposta come ultima ratio, solo quando diverse terapie farmacologiche si sono dimostrate inefficaci". Il ciclo di elettroshock effettuato presso la Villa comprende 6 applicazioni bilaterali (con entrambi gli elettrodi) a distanza di 3 giorni l'una dall'altra.
 Generalmente, secondo il direttore sanitario, un beneficio si avverte già dalle prime sedute, quindi, se si constata che il paziente non risponde alla cura, la si interrompe evitando l'accanimento terapeutico.

04 febbraio 2011
© Riproduzione riservata

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