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Testamento biologico. Intervista al medico di Welby, Mario Riccio: “La legge in discussione rischia di essere inutile perché non si potranno rispettare realmente le volontà del paziente”

di Giovanni Rodriquez

Dopo anni di oblio, in questo finale di legislatura torna a infiammarsi il dibattito parlamentare sul fine vita. Al centro la legge in discussione alla Commissione Affari Sociali della Camera. Il confronto, partito in sordina, si sta ora infiammando sulle questioni dirimenti: tutela della vita, sempre e comunque, o diritto del paziente di decidere sulle cure? Ne abbiamo parlato con l'anestesista che nel 2006 assistette Piergiorgio Welby nella sua scelta più difficile: “L'emendamento Roccella sulla 'tutela della vita' rischia di rendere inutile tutta la legge. Non so quanto l'on. Lenzi abbia potuto accettarlo senza comprendere che, di fatto, chiude la legge”

05 FEB - A due settimane dal suo previsto approdo in Aula alla Camera il dibattito sul testamento biologico entra nel vivo in commissione Affari sociali dove è in corso l'esame degli emendamenti. Dopo la condivisione di un testo base ed un avvio del confronto all'insegna del fair play, da alcuni giorni si sta invece alimentando una diatriba ideologica tra i fautori della "tutela della vita" sempre e comunque e coloro che invece insistono nel diritto del paziente di rifiutare i trattamenti, compresi l'alimentazione e l'idratazione artificiale. 
 
Una polemica che, seppur in toni minori, ci riporta indietro nel tempo quando Paese e Palazzo si spaccarono in due sul tema del fine vita. Tra i protagonisti di quelle stagioni vi furono prima Piergiorgio Welby e poi Eluana Englaro. Due casi che scossero nel profondo le coscienze degli italiani.
 
Oggi, forse, siamo vicini a una legge che in qualche modo cerca di dare finalmente un quadro di riferimento giuridico certo a medici e pazienti. Ma funzionerà? E' quello che ci si poteva aspettare dalla politica? Ne abbiamo parlato con Mario Riccio, componente della Consulta di Bioetica, nonché anestesista e rianimatore dell’Ospedale di Cremona che, nel 2006, esaudì la volontà di Welby aiutandolo a morire. 
 
Dottor Riccio, dopo anni di silenzio il Parlamento sembra essersi finalmente svegliato sul tema del fine vita. In un primo momento il dibattito è stato portato avanti quasi in sordina ma ora, negli ultimi giorni, sembra si stiano ricreando quei fronti contrapposti che abbiamo già visto in passato. Che ne pensa del testo di legge sul quale sta lavorando la Commissione Affari sociali: si sta andando nella giusta direzione?
Bisogna riconoscere che l'attuale testo Lenzi è una cosa diversa dal pdl Calabrò. Ma rimangono numerose ambiguità che difficilmente potrebbero essere rese operative nei decreti attuativi di un eventuale testo approvato. Infine, sono poco fiducioso sul fatto che il testo che andrà in discussione in Aula il 20 febbraio prossimo non debba subire ulteriori emendamenti che lo possano rendere definitivamente simili al precedente. Cioè un testo che limita se non impedisce l'autodeterminazione del paziente.
 
Entriamo nel merito. Iniziamo dall’articolo 1, quello su cui attualmente sono ancora impegnati i deputati della XII commissione e che si prefigge una riforma del consenso informato.
Inizierei dal secondo comma dove si parla di rapporto medico-paziente. La competenza professionale del medico richiamata - anche se meglio sarebbe parlare sempre di “sanitario” per includere comunque anche tutte le altre categorie impegnate nella cura - è comunque un prerequisito essenziale, da considerarsi ovvio. Penso che sia pertanto pleonastico riportarlo. Quanto all’autonomia del medico, invece, questa può scontrarsi con quella del paziente: se sono in contrasto - cioè il punto fondamentale della questione in oggetto - quale deve prevalere? E’ evidente che il rapporto così costruito è tutto sbilanciato verso il medico, il quale, facendo forza sulla propria autonomia potrà sempre impedire l’esercizio del diritto del paziente.

In questo comma viene anche richiamata la responsabilità del medico. Seocndo lei a quale livello?
In effetti non si capisce cosa voglia dire e può essere diversamente interpretata. Si intende come una responsabilità contrattualistica? in questo caso è già regolata dal diritto civile e non credo necessiti di ulteriori conferme peraltro in questa sede. Oppure è un'ulteriore garanzia che si vuole dare all’autonomia del medico? E’ evidente che il rapporto medico-paziente così come descritto nell’articolo è sbilanciato fortemente a favore del medico anche solo per la molteplicità di elementi inseriti (competenza professionale, l'autonomia e la responsabilità del medico) rispetto al solo riferimento alla autonomia del paziente.

Nei giorni scorsi i deputati del M5S hanno protestato contro l'approvazione di un emendamento all'articolo 1, a prima firma Roccella, con il quale si sottolinea che la legge tutela la vita e la salute dell'individuo. Per i pentastellati questo rischia di rendere la legge meno definita. Condivide i loro timori?
Assolutamente sì. Questo è un evidente 'cavallo di Troia' inserito per depotenziare la legge. Anzi, viene da dire che la renderà inutile ai fini della tutela della volontà del paziente. Non si tratta solo di un mero e banale enunciato astratto. La sospensione di qualsiasi tipo di trattamento diventerebbe impossibile. Pensiamo ad una ipotetica sospensione dell'alimentazione artificiale o della ventilazione o ancora di una dialisi: è logico che questo andrebbe contro la tutela della vita. Tutto questo rischia perciò di rendere di fatto impossibile ogni rifiuto delle terapie. Non so quanto l'on. Lenzi abbia potuto accettare questo emendamento senza capirne la reale portata, senza cioè comprendere che questo, di fatto, chiude la legge.
 
Passiamo al diritto da parte dei pazienti di essere informati sulle proprie condizioni di salute, ma anche di rifiutare in tutto o in parte tali informazioni. Vede criticità anche su questo punto?
Qui, al comma 3, non è chiaro se sia prevista la possibilità che il paziente, non solo rifiuti di conoscere le informazioni che lo riguardano, ma anche di indicare una persona di riferimento. La questione per quanto assai rara nella pratica, è invece attualmente molto discussa a livello bioetico, come argomento accademico filosofico. Una soluzione potrebbe essere che, qualora il paziente rifiuti di conoscere le informazioni che lo riguardano ed anche di indicare una persona di riferimento, sia automaticamente affidato al giudizio dei sanitari che potrebbero a loro volta affidarsi - per gli aspetti più delicati rilevanti e dirimenti - al giudice tutelare.

Quanto ai mezzi di comunicazione per il consenso informato, nel provvedimento si richiama ad una forma scritta o, qualora le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, a strumenti informatici. Ad oggi non le sembra ‘limitante’ circoscrivere l’utilizzo di strumenti informatici ai soli casi di condizioni fisiche particolari?
Penso di sì, infatti li includerei a prescindere dalle condizioni fisiche del paziente. La Cassazione nel caso Englaro non ha posto di fatto alcun limite alle modalità di espressione in materia del soggetto, tanto che ne ha riconosciuto addirittura la “ricostruibilità” da testimonianze o scritti generici. Pertanto non limiterei alla sola forma scritta.

In caso di rifiuto del trattamento sanitario, al comma 5 viene fatto un richiamo generico all’erogazione delle cure palliative.
Qui sarebbe opportuno un riferimento alla sedazione palliativa profonda continua, peraltro non menzionata esplicitamente nella citata legge 38. Da sottolineare che l’argomento della sedazione palliativa è stato oggetto di ampio recente dibattito in Francia dove è stata alla fine promulgata la nuova legge sul fine vita che appunto introduce un riferimento chiaro sull’erogazione della sedazione continua profonda palliativa.

Nei casi di emergenza-urgenza, si spiega che il medico è tenuto ad assicurare l’assistenza sanitaria indispensabile rispettando le volontà del paziente ma solo “ove possibile”. Cosa si intende a suo avviso?
E' un passaggio della legge che definirei senza dubbio ambiguo. La condizione di urgenza-emergenza, infatti, non esime il medico dall’osservanza dalle volontà del paziente qualora - ovviamente - queste siano note. Esempio: un paziente affetto da una patologia neurodegenerativa (come Welby) ha espresso il rifiuto ad essere sottoposto ad un trattamento invasivo respiratorio - cioè il collegamento al ventilatore. Giunge in un Pronto Soccorso - incapace di esprimersi - in condizioni cliniche tali che il collegamento al ventilatore si pone come rimedio utile ancorché esplicitamente rifiutato in un documento reso disponibile nell’immediato al sanitario che lo riceve. In questo caso non dovrà essere sottoposto a tale trattamento. Mentre il comma 8 nelle situazioni di emergenza-urgenza sembra “dispensare” - con la formula “assicura l'assistenza sanitaria indispensabile, ove possibile”, il sanitario dall’osservanza delle volontà del paziente anche se a lui note. In particolare è il passaggio ove possibile che si presta ad ambigue interpretazioni.
 
Arriviamo un altro tema ‘forte’, le disposizioni anticipate di trattamento (DAT) affrontate all’articolo 3. Qui si spiega che ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di una propria futura incapacità di autodeterminarsi, possa attraverso le DAT esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari. Che ne pensa?
Penso che questo “in previsione” possa essere inteso in senso limitativo, cioè solo coloro che hanno una prevedibile (in previsione) futura incapacità ovvero coloro a cui oggi viene fatta una determinata diagnosi. Pertanto il dettato proposto sembra escludere coloro che comunque vogliono esprimere una loro volontà in materia di trattamenti sanitari pur essendo esenti al momento da patologie significative, anche solo per nominare un loro fiduciario. Inoltre, escluderei i due termini “convinzioni” e “preferenze”, per evitare ulteriori ambiguità sulla vincolatività. Sarebbe sufficiente dire che ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere può, attraverso disposizioni anticipate di trattamento (DAT), esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte terapeutiche.

Al comma 3 si spiega però che le DAT possono essere disattese dal medico, in accordo con il fiduciario, qualora sussistano possibilità, non prevedibili all'atto della sottoscrizione, di poter migliorare le condizioni di vita.
Lascerei alla sola discrezionalità del fiduciario - informato dal medico - la decisione di disattendere le DAT del paziente in virtù di nuove possibilità terapeutiche intervenute successivamente alla compilazione delle DAT tali da ritenere che il compilante non ne abbia potuto ragionevolmente tenere conto. Diversamente si creerebbe ancora un conflitto tra curante e - questa volta - fiduciario che necessariamente vedrebbe soccombere il secondo, cioè l’unico vero e riconosciuto interprete del volere del paziente. Inoltre, lasciando discrezionalità al medico, questi potrebbe sempre appellarsi a nuove, rare, sperimentali ancorché incerte terapie per aggirare ed escludere l’applicazione della volontà del paziente.
Sempre in tema di DAT, si spiega successivamente che queste devono essere redatte in forma scritta, datate e sottoscritte davanti a un pubblico ufficiale, a un medico o a due testimoni o attraverso strumenti informatici di comunicazione. A me non risulta chiaro se il pubblico ufficiale, il medico o i due testimoni siano fra loro tre opzioni differenti, anche se tutte egualmente valide. 

Per finire, il tema forse più delicato di tutta la proposta di legge: la pianificazione condivisa delle cure.
In effetti credo anche io che questo sia il passaggio più delicato. In particolare tutto verte sull’aggettivo “condivisa”. Come accennato al comma 2 dell’articolo 1,se noi poniamo come condizione essenziale la “condivisione” da parte di entrambi gli attori in causa - medico e paziente - per attuare una pianificazione terapeutica, è ovvio che qualora la condivisone non sia raggiunta, vi sarà una inevitabile prevalenza della posizione del sanitario. Il medico, sia non applicando una terapia sia rifiutando di sospenderla come eventualmente richiesto dal paziente, di fatto impone a quest’ultimo la sua volontà. Al contempo il paziente non vedrà rispettata la propria volontà. Pertanto è fondamentale eliminare l’aggettivo “condivisa” riferito alla pianificazione. Mentre è sottinteso che la stessa pianificazione proposta dal paziente nasce necessariamente dall’informazione che il sanitario è tenuto a fornire al paziente, come anche inteso dai successivi commi 2 e 3. 
 
Giovanni Rodriquez

05 febbraio 2017
© Riproduzione riservata

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