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Stiamo tornando alle mutue? Secondo me no

di Cesare Fassari

Alcuni lettori mi hanno sollecitato a dire la mia sulle due forti prese di posizione di Ivan Cavicchi e Daniela Francese che hanno parlato del rischio di un ritorno alle mutue in Italia con conseguente smantellamento del Ssn, del quale l'ex premier Renzi sarebbe uno degli artefici. Ecco ciò che penso e perché ritengo che questo rischio non ci sia

21 MAR - La tesi di Ivan Cavicchi e Daniela Francese espressa in due loro articoli su QS è che, con un percorso più o meno accidentato ma comunque apparentemente inarrestabile (iniziato a fine 2000 con il primo decreto sulla mutualità integrativa a firma del ministro della Salute Livia Turco poi ripreso dal ministro del Welfare Sacconi qualche anno dopo), il nostro Paese viaggi verso un ritorno alle mutue che avevamo abbandonato con la legge di riforma del 1978.
 
Sia Cavicchi che Francese, (e oggi anche dall'onorevole Nicchi dei Democratici e Progressisti) poi, attribuiscono in particolare al Governo Renzi una chiara volontà in tal senso. Una volontà che, tutti e tre, sostengono sia confermata e rilanciata dalla mozione congressuale che sostiene la candidatura di Renzi alla segretaria del PD.
 
Partiamo da qui. In tutta la Mozione Renzi, a dire il vero, la parola mutue o mutualità non c’è. Mai citata nemmeno una volta.
 
L’unico riferimento indiretto lo possiamo trovare nel capitolo dedicato al welfare che abbiamo ripreso integralmente sul nostro giornale qualche giorno fa e dove si richiamano gli interventi del Governo Renzi (finanziarie 2016 e 2017) in materia di welfare aziendale, con riferimento agli asili nido.
 
Per parlare di un documento che sancirebbe il ritorno alle mutue mi sembra un po’ poco.
 
Tanto più che in un altro passaggio della stessa mozione in riferimento al nostro welfare leggiamo una frase che, se le parole hanno un senso, sembrerebbe addirittura stroncare qualsiasi ipotesi di welfare parallelo a quello pubblico:  “… ripensare il welfare italiano, fare una scelta contro la categorialità e a favore dell’universalismo”.
 
Ma lasciamo perdere la mozione, forse letta da Cavicchi e Francese con una capacità di analisi in controluce in me evidentemente carente, e andiamo alla domanda vera, Renzi o non Renzi: stiamo andando verso un ritorno alle mutue sanitarie?
 
Se per mutue sanitarie intendiamo le diverse forme di sanità integrativa esistenti (alcune da sempre) e del loro auspicato (da molti) potenziamento la risposta è sì.
 
Ma in questo caso non possiamo parlare di ritorno alle mutue ma semmai dell’idea (di destra, di centro, di sinistra e di nessun colore politico) di diffonderne di più le coperture, partendo dall’assunto che, se gli italiani ogni anno spendono circa 25/30 miliardi di euro per acquistare servizi e prestazioni sanitarie al di fuori del Ssn, esiste un potenziale “mercato” sanitario privato che potrebbe essere meglio regolamentato e indirizzato.
 
Possiamo escludere che qualcuno possa invece aspirare a un vero e proprio riassetto della nostra sanità in chiave mutualistica? Ovvio che no. L’idea che la riforma del ’78 con il suo “carrozzone” del Ssn sia sbagliata e troppo costosa c’è sempre stata, ma, ne sono convinto, era e resta minoritaria.
 
Chi parla sempre più spesso di “terzo pilastro” intendendo con ciò il consolidamento della mutualità integrativa (magari aspirando ad ampliarne lo spettro di intervento rispetto a ciò che viene offerto oggi) non è a mio avviso il fautore di un “ritorno alle mutue” senza un Ssn ma è semmai mosso da un interesse economico diretto (le assicurazioni) o indiretto (datori di lavoro e sindacati),
 
In  questo periodo di vacche magre per l’economia, sia gli uni che gli altri (con il Governo a fare da potenziale arbitro normativo) vedono nella mutualità integrativa sia un potenziale motore economico-finanziario in grado di organizzare ingenti flussi di denaro (che comunque sono spesi dagli italiani anche se in maggioranza in forma individuale e non mutuata da intermediari assicurativi), sia per ridefinire logiche contrattuali oggi sempre più limitate nel loro spettro di incentivazioni economiche tradizionali.
 
Il tutto per offrire forme di assistenza integrativa (anche nel senso del salario) ai confini tra welfare (non autosufficienza per esempio) o sanitaria nel senso più stretto.
 
Il mio parere è che se tale movimento di opinione, con le sue lobbing private e sociali al seguito, resta circoscritto a questa progettualità non c’è nulla di male e il Ssn non corre rischi.
 
Certo se il “terzo pilastro” dovesse diventare invece un Cavallo di Troia per smantellare l’idea stessa di un sistema universalistico basato sulla fiscalità generale (come è tutt’ora in nostro Ssn) avrei molto da dire.
 
Ma oggi così non è. Semmai ciò che ritengo auspicabile è una scesa in campo delle Regioni quali gestori del Ssn che potrebbero/dovrebbero farsi protagoniste di un’opzione finora poco discussa: quella della mutualità integrativa pubblica con tariffe calmierate e competitive, per offrire ai propri assistiti, già oggi anche paganti out of pocket, un range di servizi socio sanitari garantiti ed erogati sotto la vigilanza e la responsabilità pubblica.
 
Cesare Fassari

21 marzo 2017
© Riproduzione riservata

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