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Cassazione: “Non c’è diritto a non nascere se non sani”

di Antonio Panti

La recente sentenza della Cassazione (vedi precedente articolo di Luca Benci) è chiara e pone sotto una luce più tranquillizzante il valore giuridico della responsabilità medica. Il risarcimento può darsi solo quando il danno (la disabilità) è legata causalmente a un errore professionale

11 GEN - Una coppia ha citato i medici e la ASL di Lucca per ottenere un risarcimento per sé e per la figlia nata Down senza che ne fossero stati prima avvertiti, altrimenti, afferma la madre, avrebbe interrotto la gravidanza. La Cassazione a sezioni riunite (n.25767 del 22/12/15) pur lasciando impregiudicato il diritto al ristoro della coppia per l'errore medico che aveva provocato danno esistenziale ha rifiutato quello alla madre e alla figlia derivante dalla nascita, quale evento collegato a un danno, in quanto, affermano i giudici, "non c'è diritto a non nascere se non sani". Il risarcimento è conseguenza di un danno che, in tal caso, sarebbe "legato alla stessa vita del bambino e l'assenza di danno alla sua morte".
 
Ma, afferma la Cassazione, "il supposto interesse a non nascere mette in scacco il concetto stesso di danno", tanto più che di esso si farebbero interpreti unilaterali i genitori, e "l'ordinamento non riconosce il diritto alla non vita". Che è affatto diverso dal diritto alla interruzione delle cure, che rientra nella sfera di autodeterminazione della persona. Altresì la madre, anche ove potesse dimostrare la sua irrevocabile decisone alla interruzione della gravidanza, potrebbe avere riconosciuto il danno per sé ma non per il nato. Non solo per un "improponibile confronto tra vita con malattia e non vita", con ciò venendo meno al dettato costituzionale che considera tutte le esistenze ugualmente degne, anche quelle dei disabili o handicappati, ma perché assegnerebbe al preteso risarcimento "il valore suppletivo del  necessario sostegno affidato dalla legge alla solidarietà generale".
 
La legge francese (legge Kouchner, del 4,3,2002) afferma che "nessuno può far valere un pregiudizio derivante dal solo fato della nascita" a meno di non pensare "che il danno è la vita e l'assenza di danno è la morte e la morte diviene preferibile alla vita". Può esser risarcito solo il danno derivante direttamente da errore medico, come qualsiasi altro pregiudizio colposo. Insomma "niente può far prevalere il danno del solo fatto dell'esser nato".
 
Infine, afferma ancora la Cassazione, la responsabilità del medico aprirebbe la strada a quella analoga della madre che, correttamente informata, non avesse voluto abortire. Un evidente paradosso. Insomma non si può confondere il necessario sostegno sociale alle difficoltà materiali e psicologiche di una simile inaspettata situazione, ma tutto ciò niente ha a che fare col considerare la nascita di per sé possibile fonte di danno, il che significherebbe una "patrimonializzazione dei sentimenti in una visione risarcitoria inquietante" che aprirebbe la strada, questa si realmente, a derive eugenetiche estranee alla nostra cultura.
 
La sentenza è chiara. Intanto pone sotto una luce più tranquillizzante il valore giuridico della responsabilità medica. Il risarcimento può darsi solo quando il danno (la disabilità) è legata causalmente a un errore professionale. Altrimenti la nascita di un figlio affetto da malformazioni o disabilità non consente di richiedere risarcimento a favore del nato. Tra l'altro ciò aprirebbe una questione dai larghi confini filosofici perché molti sono coloro che condividono l'idea che "è funesto a chi nasce il di natale" perché costringe a vivere un'esistenza "piena di strepito e di furore che non significa nulla".
 
La Cassazione sembra dire che la vita è quella che è e che la nascita non può essere soggetta alle categorie giuridiche del diritto al ristoro. Altresì molti, anche disabili, sono assai contenti della vita che hanno vissuto. La tutela del nascituro non può implicare la non nascita altrimenti il soggetto alla tutela non è più nascituro. E l'interruzione di gravidanza è un diritto della donna ma, una volta che è avvenuta la nascita, la vita di per sé non è né un danno né un premio e i problemi, reali e concreti, sono altri, affrontabili con le misure attuative dei diritti attraverso la carità o la solidarietà o, meglio, la giustizia.
 
Una interpretazione di buon senso farebbe concludere che il risarcimento del danno di una nascita non voluta spetta alla donna insieme al ristoro del danno esistenziale per la mancata informazione che ormai rientra nella categoria dei difetti di consenso per mancata offerta di chance. Al neonato tutte le tutele che la legge prevede. In quanto al risarcimento alla nascita questo spetta anche al figlio se il danno deriva da colpa professionale medica (il feto era sano e le errate manovre del medico hanno provocato un danno). Per la nascita non può spettare ristoro perché il feto non può ovviamente lamentare la mancata informazione, di cui si dorrà la madre, e perché il nesso causale col danno risale non al medico ma, semmai, ai genitori i cui geni erano portatori di malformazioni.
 
Il medico non può caricarsi di questioni francamente eccedenti la medicina. Anche dal punto di vita deontologico non vi è molto da aggiungere. Il medico assiste la gravidanza e il parto tutelando sia la madre che il nascituro. Il medico, ginecologo o neonatologo, ha tutto l'interesse che il nato sia sano ma la medicina ha dei limiti: la natura è più complessa di quanto riusciamo a immaginare. Il rischio di vivere è tutt'ora a carico del vivente.
 
Antonio Panti
Presidente Ordine Medici di Firenze

11 gennaio 2016
© Riproduzione riservata

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