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Il collasso della sanità pubblica italiana e le responsabilità della classe dirigente: uno spunto di riflessione

di Claudio Maria Maffei

06 SET -

Gentile Direttore,
ha presente quando si legge una cosa e vi si apre un mondo? Ecco quello che è successo a me quando ho letto una recente intervista a Sergio Fabbrini. A mio parere, è formidabile nel dare una chiave di interpretazione ai disastri della politica italiana e alle responsabilità di quella che chiama “rete intermedia” tra eletti ed elettori. Chiave che a mio parere funziona benissimo quando applicata allo specifico tema della sanità.

Il punto di partenza della riflessione di Fabbrini, che è Professore ordinario di Scienza Politica e Relazioni Internazionali e Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche presso la LUISS Guido Carli, per come l’ho colto io, è semplice: i politici hanno una qualità sempre più bassa e hanno un interesse solo verso il proprio interesse a breve termine. Essi dovrebbero essere messi in discussione dalla rete di coloro che stanno tra gli eletti e gli elettori, quelli che Fabbrini chiama i leader intermedi, e cioè gli opinion leader, i rappresentanti delle associazioni, i leader sindacali e imprenditoriali.

Dice Fabbrini: “Gli eletti rispondono solamente a se stessi se non hanno il fiato sul collo che proviene non dai cittadini in senso astratto. I cittadini non possono decidere queste questioni. Il fiato sul collo dovrebbe essere quello dei giornalisti della stampa e della televisione, dei leader sindacali e imprenditoriali, di quella società organizzata che non appartiene al mondo degli eletti ma è molto più responsabilizzata rispetto al mondo degli elettori.”

Aggiunge ancora: ”E’ questo atteggiamento di scarsa competenza, di mancanza non dico di rigore morale che forse sarebbe chiedere troppo, ma quanto meno di rigore intellettuale, della classe dirigente diffusa che, a mio avviso, è il grande problema del Paese. Perché quando gli eletti non hanno il fiato sul collo della classe dirigente in senso lato del Paese – dai giornalisti ai docenti, dai sindacalisti agli imprenditori – è evidente che poi pensino ai loro interessi immediati. E’ lì che va cercata la crisi, il deficit della democrazia italiana.”

Proviamo per un attimo ad adottare questo punto di vista nella interpretazione della crisi della nostra sanità pubblica. Questi giorni su Il Sole 24 Ore è uscito un articolo dal titolo “Sanità dimenticata dopo il Covid: le sette emergenze da affrontare”. Le sette emergenze secondo l’articolo sono: la sanità territoriale ancora tutta da attuare, la crisi dei medici di famiglia pochi e senza ruolo, la carenza sempre più grave di medici e infermieri, i Servizi di Pronto Soccorso vicini al collasso, la assenza di programmazione nella formazione dei medici, la telemedicina promossa senza la necessaria rete di competenze e il finanziamento della sanità in calo e senza verifica del suo impatto.

Prendiamo per buono questo elenco di emergenze, certamente discutibile e migliorabile, e ragioniamo sulle responsabilità della politica rilette alla luce delle riflessioni di Fabbrini. Dietro a ognuna di queste emergenze ci sono sì le scelte della politica, ma anche il contributo di quella classe dirigente messa sotto accusa dal politologo. Sia a livello nazionale che regionale le scelte (o non scelte) insensate della politica hanno sempre avuto il sostegno di una classe dirigente.

Gli esempi possono essere infiniti, ma mi limito a farne un paio: a livello nazionale ci dovrà essere stato qualcuno che doveva sapere che il famigerato “imbuto formativo” e il tetto imposto alla spesa per il personale avrebbero messo in crisi il sistema. Le responsabilità della classe dirigente a livello regionale sono poi anche più facili da leggere. Nelle Marche, realtà che conosco bene, si fanno continuamente atti a sostegno di una rete ospedaliera ipertrofica e inefficiente e si continua a dimenticare l’esistenza di una crisi drammatica dei servizi nell’area della salute mentale e della neuropsichiatria infantile.

Concludo ricordando che tutta (e sottolineo tutta) la classe dirigente della sanità pubblica italiana occupa il suo ruolo avendo alle spalle corsi di formazione manageriale tenuti dalle principali Università e avendo fatto al termine del proprio corso un Project Work su una tematica organizzativa o gestionale. Non solo, ma dopo qualche anno i partecipanti ai Corsi partecipano a dei corsi “booster” delle stesse Università per mantenere ai giusti livelli la loro competenza manageriale. Università che hanno un rapporti stretto con le Istituzioni che governano la sanità di cui sono spesso consulenti.

Se la politica ha enormi responsabilità sulla situazione della nostra sanità, forse non è però l’unica ad averne.

Claudio Maria Maffei



06 settembre 2022
© Riproduzione riservata

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