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Due vie per rilanciare la sanità: più debito “buono” e più Comunità

di Paolo Da Col

25 OTT -

Gentile Direttore
le chiedo ospitalità perché desidero riprendere almeno due punti del suo editoriale del 21 ottobre “La politica si è già dimenticata della sanità”. Il primo si riferisce alla sua “mesta riflessione” generata dalla scoraggiata conclusione dei due economisti che scrivevano sul Sole 24 ore: “nessuna delle tre soluzioni (per finanziare il SSN con nuove risorse, sempre più carenti, ipotizzavano: più tasse per individui o aziende; o più spese per i consumatori) sembra trovare un minimo di spazio nel dibattito politico e nella consapevolezza dell’opinione pubblica”.

Il secondo punto: “Che fare?”, domanda tanto più rilevante alla luce della dichiarazione di cui prima.

Voglio essere chiaro in una prima risposta: più debito pubblico (ancora? sì, come cercherò di spiegare); la seconda: più lavoro con la Comunità, imparando ad utilizzare e liberare le risorse delle Comunità.

Avverto in ogni caso la certezza (ed una certa responsabilità) che se non queste, altre soluzioni dobbiamo trovare per ridare solidità al nostro welfare, in particolare alla sanità, in questa fase storica di buio per le gravissime crisi (plurali!) in cui noi operatori sanitari dobbiamo essere i primi diffusori di luce e speranza, mai di buio e mestizia.

Fare più debito: perché no? È a tutti noto che il nostro debito pubblico è elevato, e la strada per ulteriormente accrescerlo è stretta e tortuosa. Ma se fosse l’unica per salvaguardare diritti e vite spezzate, non possiamo esitare a percorrerla. Del resto, l’indebitamento è anche previsto dall’articolo 81 della nostra Costituzione, introdotto dagli spiriti neoliberisti nostrani in ossequio agli indirizzi della UE (antitetici a politiche anticicliche): “Il ricorso all'indebitamento è consentito solo…, al verificarsi di eventi eccezionali”.

Facile l’elenco delle eccezionalità correnti: i milioni di cittadini che devono riprendere cure interrotte o essere curati per long covid o disturbi psichici; i sei milioni di persone in povertà assoluta, crescenti per la perdita o le decurtazioni dei salari a causa della crisi economica-energetica; ed altro ancora. Non dimentichiamoci che la demonizzazione del debito è legata ad una visione macroeconomica di stampo neo/ordoliberista, antitetica a quella che ispira la nostra Costituzione (e all’art. 32).

Conoscenze di base di macro-economia mi portano a dire - mi si perdoni per la temeraria semplificazione – che le tre possibilità dell’articolo si presentano come uniche se si rimane all’interno delle teorie economiche ortodosse. Distaccandosi da queste (verso quelle post-keynesiane), le alternative subito compaiono. E sono già state messe in pratica dalla stessa Commissione Europea, depositaria dei dogmi economici imperanti, quando ha deciso di varare un Piano di 800 miliardi con debiti finalizzati a rilanciare un’economia affossata dalla pandemia (in cui sono inclusi i fondi del nostro PNRR).

Parallelamente è decaduto il dogma dell’austerità, travolto dalle decine di migliaia di morti e feriti per COVID. La “guerra al virus”, ed il crollo conseguente del sistema produttivo, ha indotto i decisori a lanciare un piano “post bellico” di investimenti pubblici basati su debiti pubblici di entità inimmaginabile in era pre-COVID. Perché dobbiamo aver chiaro che l’acquisto dei vaccini ed i piani di ripresa sono tutti equivalenti a: debiti, debiti.

Se e come ripagarli è materia che deve uscire dai luoghi della propaganda e non trattabile qui. Io vedo il Next generationEU innanzitutto come strumento a favore delle future generazioni, per i bambini e ragazzi che dobbiamo risarcire dei danni patiti a causa delle sciagurate scelte politiche e tecniche monoculari del periodo COVID; dobbiamo a loro azioni e messaggi positivi. Non dobbiamo proseguire nella spirale mortale del “there is no alternative” di thatcheriana memoria, perchè ogni luce di speranza del cambiamento positivo si spegne definitivamente. Non dobbiamo permetterlo.

Le alternative ci sono. Possiamo mettere in campo soluzioni positive, con un debito pubblico che non è il male assoluto, ma possibile strumento di azioni virtuose. Esiste il “debito buono” (Mario Draghi dixit) quando è rapportabile a “buoni fini”, che riguardano non solo il sostegno alla sanità, ma anche agli altri determinanti della salute: lavoro, reddito, casa, ambiente.

Dunque – ripeto - il debito pubblico come strumento coerente con la Costituzione italiana e portatore di speranza. La sanità pubblica è un investimento e non un costo da comprimere (aggiungerei: diritto degli individui ed interesse della collettività...); è strumento di progresso del Paese. Infine, mantenere alti investimenti pubblici è non solo coerente con la difesa dei diritti costituzionali, ma anche conveniente, dato l’effetto moltiplicatore (ovvero il ritorno economico è maggiore delle risorse investite, ovviamente se in un certo limite e se ben condotti).

“Che fare ?” Io vorrei confrontarmi su questi assunti:

  1. Abbandoniamo il paradigma finanziario e torniamo a valutare scenari di economia “vera”, in cui si valutano soluzioni per la migliore allocazione delle risorse messe a disposizione da noi contribuenti, per buoni obiettivi condivisi.
  2. Impariamo a discernere tra capitale finanziario, economico e sociale: guai a deprimere quest’ultimo! e con esso le Comunità, oggi retoricamente invocate ma ancora poco sostenute realmente (le politiche di austerità certo non le valorizzano). Sono le risorse della Comunità che potranno anche salvarci. Incentiviamo chi può conoscerle, liberarle, usarle bene. I Distretti sociosanitari, se adeguatamente riconosciuti e sostenuti, possono entrare in gioco.
  3. Si trovi il modo (la via è stretta, lo so) di rimuovere o almeno rendere confutabili le attuali teologie neo/ordoliberiste, spostandosi su quelle ispirate alle teorie opposte, individuando democraticamente le soglie ed i criteri del “debito buono” con (cito Mario Draghi) “conoscenza, coraggio, umiltà”; nel nostro caso: conoscenza dei bisogni; coraggio di affrontarli e risolverli; umiltà di ascoltare e decidere insieme, puntando “sulla sanità territoriale”, in cui ci sono ampi spazi di guadagno di efficacia ed equità, da cui discende efficienza.
  4. Decidiamo che è ben più temibile (soprattutto per le generazioni future) non la sostenibilità dei bilanci, ma la insostenibilità della vita per milioni di persone, del “burden of disease” crescente. Sconfiggiamo la propaganda del “debito insostenibile che lasceremo ai nostri figli” e preoccupiamoci invece di non lasciare in eredità il deserto di vitalità ed il gelo della rassegnazione. Pericolose sono le disuguaglianze sociali e di salute, non il debito pubblico; attenzione: quando esasperate, queste sono state cause di sconvolgimenti sfociati in disastri di tenuta sociale e avvio di regimi anti-democratici.

Quale medico manterrebbe immutate o addirittura aumenterebbe le dosi di terapie che visibilmente si associano al peggioramento delle condizioni del malato, causando “effetti collaterali” insopportabili? Perché dunque somministrare più austerità per risolvere i mali del SSN e del nostro welfare? Per sostenere il SSN servono più risorse, certo.

Ho indicato in modo grossolano due dubbie vie, ma una è certa: occorre cambiare rotta, senza esitazioni, con cambiamenti radicali di pensiero e di prassi. O quantomeno rendiamoci conto che servono non più chiusure, ma più aperture: al dubbio, alla critica, dissenso, confronto leale; esercizi che mi sembrano sempre meno diffusi (domando: come possono esistere ambienti di servizio pubblico per un bene pubblico in cui le libere espressioni di confronto democratico sono proibite dalle censure della alte sfere?)

Mi unisco, nel mio piccolo, ai suoi auguri per il nuovo Governo e per il neo Ministro della Salute Prof. Schillaci e la ringrazio per il suo costante impegno a tenerci desti.

Paolo Da Col

Già responsabile di Centro Diabetologico, di Distretto e Direttore Sanitario di ASL



25 ottobre 2022
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