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Welfare state e dittatura fiscale

di Roberto Polillo

09 GEN -

Gentile Direttore,
la legge di Bilancio 2023 segna un punto di cesura nella storia del nostro welfare state. Non è la pochezza delle risorse messe a disposizione per la sanità, dove i 2 milioni e virgola di incremento del FSN riusciranno a compensare gli aumenti della bolletta energetica, ma non certo i sovraccosti indotti dall’inflazione. Non è neanche l’accanimento contro i percettori di reddito di cittadinanza, nei confronti dei quali, una opportuna revisione delle norme si è trasformata in un’ingiustificata caccia alle streghe

Quello che segna un prima e un dopo è la rottura del patto fiscale su cui abbiamo costruito il nostro welfare state

Alla base di tutti i sistemi beveridgiani come il nostro è infatti posto l’obbligo alla contribuzione da parte di tutti i percettori di reddito secondo il principio dell’eguaglianza fiscale (non è il tipo di rapporto di lavoro che condiziona la tassazione ma il livello di reddito percepito) e della progressività: chi ha di più paga di più, chi ha eguale paga eguale pur con alcuni distinguo in riferimento agli esistenti ed astrusamente complicati meccanismi di detrazione.

Con la finanziaria attuale, al contrario chi ha un reddito da dipendente continua a pagare come prima e chi ha un reddito libero professionale paga una cifra ridotta e sensibilmente minore; una differenza di oltre 6500 euro per un reddito intorno ai 30.000 euro che rappresenta un’intollerabile differenza di trattamento

In tale vicenda i medici e gli altri dirigenti sanitari (gli apparentemente ricchi in un mondo di elusione dove i veri ricchi nuotano nel sommerso ) pagano un prezzo doppiamente intollerabile; in termini economici, perché è a loro esclusivo carico il mantenimento del welfare state (basta pensare che il 41,95% della popolazione tra cui i medici versano il 91,8% dell’IPEF e che il restante 44,53 ne versa un misero 1,9%) ed in termini professionali perché il definanziamento del SSN e il taglio degli organici si è trasformato in altrettanto surplus di lavoro per il personale in servizio.

I medici dunque rimangono una delle categorie più tartassate in termini fiscali perché oltre a versare l’IRPEF alla fonte, devono poi versare i contributi obbligatori all’ENPAM che, nel caso dei pensionati ex dipendenti salgono al 9,8% con un ulteriore balzo nella tassazione complessiva che si attesta intorno al 55% (una mostruosità se paragonata alla tassa piatta del 15% degli autonomi a pari reddito)

Se dittatura c’è dunque, non è certo quella vaccinale, che ha consentito il salvataggio di milioni di vite umane, ma quella fiscale che si accompagna ad un vero accanimento nei confronti dei medici costretti a finanziare un welfare state che dà loro molto meno di quanto elargisce a chi per nulla contribuisce al suo finanziamento.

E’ questo un momento terribile per la sanità pubblica; chi ha rotto il patto su cui abbiamo costruito il nostro welfare state se ne assumerà per intero la responsabilità politica.

E’ però altrettanto innegabile che a queste condizioni non è più giusto che il finanziamento di quel che resta della sanità degli altri servizi pubblici e sia ad esclusivo carico dei medici e degli altri dipendenti pubblici

Ora è veramente l’ora di ribellarsi a questa dittatura fiscale, che attraverso il falso mito degli autonomi super-tartassati, consente a persone che nulla o pochissimo versano di godere di servizi che gli altri (i veri forzati dell’IRPEF) sono costretti a finanziare rinunciando a oltre il 50% di quanto faticosamente guadagnato.

Di questo e non di altro porta la responsabilità l’attuale governo che scientemente ha deciso di minare le basi fondative del nostro sistema di protezione sociale.

Roberto Polillo



09 gennaio 2023
© Riproduzione riservata

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