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Di quanti medici abbiamo bisogno?

di Antonio Panti

07 APR -

Gentile Direttore,
concordo del tutto con l’articolo di Pierino Di Silverio sulla sciagurata proposta della Ministra Bernini di aumentare notevolmente il numero dei posti per l’iscrizione alla Facoltà di Medicina come rimedio alla grave carenza di medici nel servizio pubblico. Un rimedio che non rimedia nulla e che mi ha fatto tornare alla mente quanto dicevo, in anni lontani, a diversi successivi Ministri della Salute: allora la maggioranza dei medici aveva quarant’anni quindi era facile previsione che dopo trent’anni ne avrebbero avuto settanta e sarebbero andati in massa in pensione. Chi sa quanti colleghi hanno fatto simili osservazioni a uomini di governo, tutti senza successo.

Quale che sia stato il colore del Ministero ha sempre trionfato lo strapotere baronale dell’Università sull’incompetenza o l’insipienza dei politici. Una miscela che ha portato all’attuale carenza di professionisti in molte discipline e a quel diffuso disagio che spinge molti a abbandonare il servizio pubblico per il privato o per andare all’estero cosicché, dopo aver speso soldi per formare medici, li vediamo esercitare altrove.

L’aumento delle iscrizioni a medicina è una risposta sbagliata perché il problema è immediato, non di programmazione. Gli iscritti quest’anno potranno esercitare tra dieci e più anni e nessuno può prevedere di quanti medici avremmo bisogno a quell’epoca di fronte al travolgente sviluppo della scienza e della tecnica. Agli errori di programmazione non si rimedia sbagliando ancora.

La soluzione del problema immediato non ha nulla a che vedere con l’aumento delle matricole a medicina e l’unica proposta possibile, se non vogliamo chiamare medici da fuori d’Italia, è di trasformare gli specializzandi in dipendenti a tempo indeterminato, con una legge più chiara di quella che ha permesso di esercitare ai medici in formazione di medicina generale.

Fin qui non ho fato che riaffermare le osservazioni di Di Silverio (ricordo di aver organizzato con Pietro Paci un convegno sull’ospedale di insegnamento negli anni settanta, ovviamente senza alcun successo). Però questo non basta per risolvere il problema della prospettiva di lavoro dei medici.

La FNOMCeO e i Sindacati debbono chiedere al Parlamento di superare questa situazione, quasi unica la mondo: formare gli specialisti è compito del servizio sanitario in modo da far coincidere offerta di lavoro e offerta formativa. Non vedo perché gli ospedali, opportunamente selezionati, non possano farlo.

Gli ospedali pubblici hanno indubbie competenze formative rispetto a un percorso professionalizzante: svolgerlo all’interno del servizio è maggiore garanzia di efficienza del sistema. Certamente gli ospedali d’insegnamento dovrebbero essere classificati in relazione alle le discipline. Ma così si garantirebbe l’equilibrio tra professionalizzazione, modello operativo della sanità e offerta di lavoro.

Il Ministro Schillaci ha proposto di abolire la colpa professionale come figura penale. Un proponimento saggio e serio su una questione che i medici pongono da decenni. Ugualmente saggia e seria è la proposta di portare nel servizio sanitario pubblico le specializzazioni. In pratica il SSN dovrebbe essere in grado di formare i propri specialisti e di proporre all’Università il numero delle matricole.

Questa proposta, piuttosto radicale e ardita, è difficilmente praticabile in questo paese, ma varrebbe la pena di tentare prima di assistere all’attuazione di provvedimenti inutili se non dannosi.

Antonio Panti



07 aprile 2023
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