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Dovremmo ricordarci che il primario welfare … è lo stipendio

di Calogero Spada

17 APR - Gentile Direttore,
leggendo l’articolo di Endrius Salvalaggio sulle posizioni dei sindacati confederali in merito all'esclusività per le professioni sanitarie non si può non provare sommo stupore nell’apprendere che ancora oggi possano sussistere letture così distorte su un tema che vede da anni ormai una partecipazione politica bipartisan verso una vera equiparazione di posizione tra medici ed i restanti professionisti dell’area sanitaria all’interno della pubblica amministrazione.

Che i sindacati debbano fare il loro lavoro è fuori discussione; quello che forse non è chiaro ai massimi vertici della Fp Cgil è che anzitutto per definizione «i sindacati sono associazioni volontarie aventi lo scopo di difendere gli interessi professionali della categoria che rappresentano» …e che chi «deve infatti fare i conti con la strutturale e cronica carenza dei professionisti infermieri riportata chiaramente dall’ultimo rapporto Agenas» – questione ben più generalizzabile, peraltro annosa e nota da ben più di un decennio anche all’OCSE – è un forse assente coordinamento di diversi organi (e sotto-organi) governativi all’uopo preposti. Pertanto questo loro “remare contro” peggiora una situazione già difficile.

I repentini cambiamenti in corso d’opera della compilazione del “decreto energia” ed il fitto conseguente dibattito indotto tra i vari stakeholder (id est: medici “gettonisti” : altro fenomeno che anche senza audizioni che «consentiranno di inquadrare il fenomeno, il suo impatto sulla funzionalità delle strutture e di apportare eventuali correttivi che dovessero rendersi necessari» si configura di evidente stampo primeggiante, al di fuori delle regole cui solo “i restanti altri” devono assoggettarsi) rendono una inquietante impressione da “daisy situation” in cui ognuno sembra cerchi angosciosamente possibili motivi (come anche strumentali timori, che poi restano sempre gli stessi: mandare in difficoltà i servizi del SSN; chiusure di interi reparti ospedalieri; declino del SSN Pubblico, etc.) idonei ad avvantaggiare la lobby di appartenenza, ossia di reclamare egoisticamente a sé i lembi di una coperta presumibilmente sempre troppo corta (PNRR permettendo) …

Situazione inquietante che forse svela una più grave possibilità: quella di essere di fronte ad un mero “precipizio intellettuale” nel quale si stia da tempo cadendo, che forse pochi sarebbero disposti ad ammettere, comprese ogni conseguenze d’ordine politico svelate da un altrimenti inspiegabile atteggiamento di “tentennamento” interpretato dal governo, che peraltro non si rende forse conto che con tale propaganda poi disattesa (forse era il caso di lasciare le cose come erano) altro non stia facendo che giocare con la situazione economica di oltre 700000 professionisti sanitari e delle loro famiglie.

Professionisti che in questo periodo particolarissimo di vari squilibri mondiali, in un pianeta ormai divenuto un potenziale “domino a cascata” auto-distruttivo, hanno dovuto combattere contro i capricci (tali restano) dei mercati, delle banche centrali, della speculazione (molto più che di una atrefattata inflazione, tanto cara ai “big” della BCE), del clima, etc. , nonché contro ogni difficoltà indotte dalla pandemia da Covid-19 … con degli stipendi affatto paragonabili a quelli della classe medica, non in linea con le corrispondenti retribuzioni medie Europee e senza alcuna possibilità di un reale, pieno esercizio libero professionale, con il conseguente alto rischio di raggiungere livelli di reddito utile tanto bassi da poter rasentare soglie di relativa povertà. Una povertà forse unicamente contrastabile lavorando un poco di più, senza alcun timore di diventare troppo ricchi o che si configuri un concreto conflitto di interessi, in vero mai puntualmente caratterizzato dalla vigente norma.

Chiedo venia a tutti quelli che avanzano ogni sorta di possibili contestazioni alla emancipazione e valorizzazione delle professioni non mediche, ma ciò semplicemente … non è da paese civile.

Forse qui sta il nocciolo di una questione che si ammetta con grande riluttanza, laddove proprio non la si voglia negare: probabilmente i professionisti non medici sarebbero meno attratti dalla opportunità di un nemmeno troppo consistente esercizio professionale “aggiuntivo”, peraltro forse spesso negato all’interno delle aziende di appartenenza per varie iniquità su base clientelare (anche gestite da sindacati “dominanti”), se avessero stipendi congrui con la propria posizione lavorativa ed accademica e se alle possibilità che gli si aprirebbero “fuori” , facessero da maggiore contraltare delle altrettanto attrattive possibilità “dentro” al momento inesistenti.

In buona sostanza allo stato corrente i professionisti sanitari del SSN devono accontentarsi dei loro “mini stipendi”. Ergo: o ti mangi questa minestra … o (letteralmente) ti butti dalla finestra!

Una situazione ben distante – da una parte – dalle evidenze poste dallo «studio dei determinanti sociali di salute» nonché – dall’altra – perfettamente aderente alla «bulimia di riorganizzazione degli assetti sociali a contraddizioni invarianti», cui fa riferimento il dott. Montibeller nel suo recente prestigioso intervento.

Sono queste le situazioni di pragmatismo cui le varie organizzazioni sindacali, gli ordini professionali, gli organi aziendali deputati ai bilanci ed affari legali, fino ad arrivare alle Commissioni riunite Finanze e Affari Sociali della Camera, dovrebbero farsi carico, per non arrivare alla sintesi di un ossimoro già per troppi anni in esercizio: non si può costruire alcun welfare a scapito dello stesso welfare dei soggetti che dovrebbero costruirlo.

Perché un pur minimo buon tenore di vita da congruo stipendio … è esso stesso welfare.

Dott. Calogero Spada
TSRM – Dottore Magistrale

17 aprile 2023
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