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Che cos’è la psicologia? Infanzia, adolescenza ed età adulta. Quale cura?  

di Loredana Di Adamo

31 LUG - Gentile Direttore,
prendo spunto dalla domanda, Che cos’è la psichiatria? (1967), con la quale Franco Basaglia ha dato inizio a quella rivoluzione culturale che ha portato alla chiusura dei manicomi (legge 180, 1978) e ad una nuova coscienza dei bisogni umani. Ne riformulo l’interrogativo per la clinica del neurosviluppo proponendo il quesito: «Che cos’è la psicologia?». Con questa domanda voglio rimettere il pensiero in cammino sulla via dell'essere umano, ormai annientato da uno specialismo imperante e reso fantasma dietro a criteri standardizzati e obiettivanti. Se la psicologia non si rivolge ai bisogni esistenziali, sociali e pratici della persona e della famiglia, riflettere sulla sua utilità diventa dirimente.

La critica che sollevo concerne il paradigma biomedico con cui oggi la clinica cerca di far fronte alle sfide evolutive e educative dei giovani e delle loro famiglie, con l’uso quasi esclusivo di metodiche diagnostiche, terapeutiche e farmacologiche, atte a «normalizzare il sintomo» ma in assenza di una visione bio-psico-sociale ed esistenziale al bisogno. L’approccio patologizzante della sofferenza, o delle atipie dello sviluppo, ci mostra oggi tutta la sua fragilità: basti vedere l’aumento del numero delle diagnosi e delle etichette, con cui vengono catalogati i diversi disturbi, e la solitudine crescente delle persone e dei familiari, spesso lasciati soli e senza una prospettiva pratica ed esistenziale per la gestione delle difficoltà.

Il fenomeno dilagante della psicologizzazione e psichiatrizzazione dell’infanzia, dell’adolescenza e della giovane età adulta sta investendo la clinica del neurosviluppo. Si parla sempre più di interventi specialistici, e sempre meno di un’etica della cura, invece necessaria per attuare quella «terapia del quotidiano» certamente essenziale per il ben-essere di ogni componente.

Il compito della psicologia deve essere quello di prendersi cura delle persone, e di avere cura di chi si prende cura, e non solo quello di etichettare ciò che si mostra “non normale”, altrimenti non si può parlare di una buona psicologia. Con questa mia riflessione non intendo qui demonizzare le pratiche terapeutiche e farmacologiche, ma far emergere la debolezza di un sistema di cura che poggia le sue basi unicamente su una scienza che non pensa.

Che cos’è oggi la psicologia? vuole quindi essere non tanto un quesito clinico, ma un interrogativo filosofico. Sono una filosofa prima che una psicologa, e provare a ragionare criticamente sul ruolo odierno della psicologia è il mio modo per aprire un varco nella riflessione e per dare avvio a nuove prassi.

L’opera di Basaglia e del suo gruppo di lavoro costituisce, a mio avviso, una grande risorsa a cui attingere per restituire alla psicologia la sua veste umana, ed è proprio da Basaglia che voglio ripartire per tornare a concepire la sofferenza come «fatto specificatamente umano», che nessuna politica e nessuna clinica potrà mai annullare del tutto, ma per la quale, appunto, sia la politica che la clinica possono fare molto. Avremo sempre il problema degli ultimi, dei diversi e della sofferenza, ed ogni epoca avrà le sue difficoltà, ma non sarà certamente con delle soluzioni veloci e standardizzate che riusciremo a sbarazzarcene, anzi credo piuttosto che potrà avvenire il contrario. Indubbiamente un rinnovamento nella cultura della cura sarebbe auspicabile, a partire proprio dall’attualizzazione di una visione umanistica e socio-educativa della cura, che veda coinvolte le famiglie, il mondo dell’associazionismo e la comunità educante, con l’attivazione di pratiche sportive, artistiche e ricreative per il sostenimento delle fragilità e lo sviluppo delle risorse.

Come insegna Franco Basaglia (1968): «Per poter veramente affrontare la "malattia", dovremmo poterla incontrare fuori dalle istituzioni, intendendo con ciò non soltanto fuori dall'istituzione psichiatrica, ma fuori da ogni altra istituzione la cui funzione è quella di etichettare, codificare e fissare in ruoli congelati coloro che vi appartengono. Ma esiste veramente un fuori sul quale e dal quale si possa agire prima che le istituzioni ci distruggano?».
Ripartire da Basaglia per me vuol dire appunto questo: provare ad agire prima che le istituzioni ci distruggano.

Mi preparo al cambiamento, con la speranza che questo mio scritto susciti una riflessione e una voglia di rinnovamento a partire dagli stessi operatori, dal loro diverso modo di poter essere nella cura, di cui ognuno può decidere il cambiamento già appena terminato di leggere le mie parole.

Loredana Di Adamo
Filosofa Teoretica e Psicologa Clinica. Perfezionata nei disturbi del neurosviluppo e nel sostegno genitoriale e familiare. Autrice del libro Filosofia e clinica. Un nuovo approccio all’autismo di livello 1 e alla neurodiversità, (Negretto Editore 2022)

31 luglio 2023
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