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Le contraddizioni... istituzionali in materia di sicurezza

di Francesco Falli

21 DIC -

Gentile Direttore,
sono un appassionato di sicurezza in Sanità per molti motivi: prima di tutto perché ho esercitato per anni il mio impegno professionale in anestesia, come infermiere specializzato, e in questo contesto ho sviluppato una forte consapevolezza di come gli errori siano sempre potenzialmente in agguato, nelle nostre frenetiche e complicate attività.
Poi, perché con il nostro Ordine professionale (OPI La Spezia) abbiamo sempre cercato, con i colleghi ed altri professionisti della salute di sostenere la cultura della sicurezza fra operatori e cittadini, un concetto non sempre scontato, né automatico.
Infine, da tempo mi occupo di sicurezza anche come attività professionale principale.

Quando affrontiamo il tema del Risk management in Sanità siamo spesso orientati a considerare le persone, le circostanze, le procedure, gli ambienti e naturalmente la organizzazione come fattori prevalenti (non esaustivi, certamente!) del nostro interesse.

Esistono anche aspetti, talvolta inattesi e di natura “onesta”, che partendo dalle nostre “situazioni di lavoro” possono pesantemente condizionare la sicurezza

Un esempio concreto lo ho riscontrato nella preparazione di un evento di formazione, e deriva da un caso reale accaduto in una struttura sanitaria pubblica (si omette il luogo, perché non ci interessa: ma può accadere ovunque).

In questa realtà sanitaria pubblica, al momento di attribuire i famosi “obiettivi di budget” per l’anno che verrà (la vicenda si colloca nel passato prossimo) , una sala operatoria vede come obiettivo assegnato, e con peso percentuale significativo, l’inizio del primo intervento chirurgico ‘non oltre le 7.30’ del mattino.

Obiettivo in apparenza teso a ottimizzare le ore di attività ordinarie, imponendo al team un orario di inizio attività non derogabile, finalizzato al raggiungimento dell’obiettivo di budget.

Una cosa teoricamente buona e giusta: ma la novità crea - invece - un potenziale “difetto temporale” nelle procedure di controllo sul primo operando del giorno, e non tutte le indicazioni delle Raccomandazioni ministeriali 2 e 3 ( quelle dedicate a questo setting) appaiono rispettate in pieno, stando anche alle dichiarazioni raccolte direttamente dagli operatori coinvolti.

La inevitabile frenesia che attraversa il team, per essere operativi alle 7.30 (il bisturi deve incidere entro quell’ora), comporta infatti inevitabili “scorciatoie” verso le procedure di sicurezza imposte.

Certamente chi ha introdotto un obiettivo come quello era in buona fede: ma coinvolgere il risk manager prima di ufficializzare un obiettivo a me sembra atto utile, prudente, anzi: doveroso.

E, in questo caso, in quel teatro operatorio due near miss si sono sviluppati sui primi pazienti in lista, di due giorni differenti, nei primi mesi di rispetto delle nuove regole.

E’ stato solo un caso?

La cultura della sicurezza non può essere “solo” un insieme di passaggi e procedure, un elenco di ‘‘cose da fare’’: ma va recepita nel complesso di una più vasta gestione del lavoro da svolgere, partendo soprattutto da un approccio culturale complessivo, e non ritagliato di volta in volta sulle specificità di un luogo, di una stanza, di un obiettivo (anche nobile).

Insisterei, senza per questo essere assolutamente saccente, che abbiamo bisogno soprattutto di riorganizzare l’approccio sul tema, per non diventare dei “collezionisti di procedure” ma dei “ragionatori” sulla sicurezza delle attività sanitarie: che è qualcosa che oggi, in una Sanità sottoposta a pressioni complesse, ed a criticità molto marcate, rappresenta una sfida decisamente molto elevata per gli operatori tutti coinvolti in crescenti difficoltà.

Francesco Falli
Presidente OPI La Spezia



21 dicembre 2023
© Riproduzione riservata

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