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Salute mentale, senza risorse strutturali non si va da nessuna parte 

di Federico Durbano

22 GEN -

Gentile Direttore,
mi accodo ai commenti che si stanno susseguendo in relazione alla sciagurata vicenda dei fondi dedicati ai Disturbi dell’Alimentazione e Nutrizione. Non voglio entrare nelle diatribe politiche e fantapolitiche, che però evidenziano come la tendenza sia sempre quella di dare risposte non strutturali ai problemi della salute mentale. Il problema dei finanziamenti per i DNA è lo stesso dei problemi dei finanziamenti per l’autismo, per il rafforzamento dei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM), per ogni problema che assilla la ormai stanca popolazione degli operatori dei DSM (compreso il vituperato/osannato bonus psicologo).

Non mi stupisce per nulla quanto emerso dalla dichiarazione di Calandrini, ovvero che solo il 3% del primo fondo stanziato per i DNA sia stato speso dalle Regioni. La spiegazione è presto fatta (e vale per tutte le voci che ho citato prima ed altre ancora): lo Stato elargisce (sempre con la modalità di bonus una tantum senza certezze di rifinanziamento) una quota per uno specifico aspetto (una piccola fetta della grande torta della salute mentale), demandando alle Regioni la organizzazione in dettaglio della spesa; le Regioni acquisiscono l’elargizione (che ha una data di inizio ma anche una data di termine “inderogabile”), provvedono a emanare i dispositivi normativi ed applicativi locali, le aziende sanitarie prendono atto dei documenti di indirizzo regionale, e solo allora iniziano a provvedere a progettare e quindi a disporre i reclutamenti (con contratti di consulenza libero-professionali a termine) finalizzati al raggiungimento degli obiettivi del finanziamento. Mediamente passano 6 mesi. Che vanno ad erodere l’orizzonte temporale dedicato al finanziamento. Quindi i tempi di reclutamento effettivo del personale sono ridotti, i professionisti in assenza di certezze o non si presentano o nicchiano, i tempi si dilatano, i fondi non vengono spese. Ed ecco spiegato perché ci sono avanzi consistenti.

Questa logica, di finanziamento per progetto (mi viene ancora da dire di elargizione), potrebbe anche avere una sua finalità se l’orizzonte del finanziamento è congruo e coerente: un anno non basta, gli anni da finanziare devono essere almeno 3 per poter implementare il singolo progetto, alimentarlo delle risorse adeguate, metterlo a regime e verificare gli esiti. Ma sarebbe meglio che tali finanziamenti venissero stabilizzati, di fatto rendendoli strutturali. E questo riapre la vexata quaestio del finanziamento adeguato dei DSM, ad oggi fanalino di coda di tutti i Paesi considerati civili. Questa mia posizione sembrerebbe condivisa da autorevoli commentatori di testate nazionali (ad esempio sul CdS l’opinione di Fiorenza Sarzanini), segno forse che i tempi sarebbero maturi per rivedere in modo significativo la struttura organizzativa dei servizi dedicati alla salute mentale.

Come ho avuto modo di commentare in precedenti interventi, il sistema della Salute Mentale deve essere affrontato fornendo risorse (strutturali) che prevedono una maggiore collaborazione da parte delle cliniche universitarie che devono essere i primi alimentatori del sistema, un adeguato riconoscimento professionale (speriamo nei nuovi Ccnl) che ravvivi la motivazione dei giovani professionisti ad operare nel SSN/SSR, una regia nazionale condivisa con i Direttori dei DSM (di fatto i più importanti interlocutori tecnici di come i servizi di salute mentale operano nel real world), una centralità programmatoria dei DSM nei confronti di tutta l’offerta che impatta sulla salute mentale (le dispersioni e le frammentazioni aumentano confusione, sprechi, disorganizzazione, disaffezione). Il tema dello scudo penale, il tema della violenza, il tema della responsabilità e così via sono altrettante componenti che impattano sulla stabilità del sistema. Ma il punto chiave è che le elargizioni una tantum, a cui devono essere associate manovre elargitive successive per tenere in piedi i progetti, non sono e non possono essere la soluzione.

La soluzione passa dal riconoscimento che la salute mentale (se è vero quanto affermato dall’OMS “non c’è salute senza salute mentale”) deve avere una dignità all’interno del mondo medico, dignità che viene sostenuta da interventi strutturali, organizzativi (deve essere rinnovata l’attuale vetusta e pachidermica organizzazione dei servizi territoriali), culturali (e qui ribadisco il ruolo centrale delle reti formative all’interno del percorso universitario), finanziari.

Continuare a pensare che elargendo fondi a termine possa risolvere questi problemi, e stupirsi che tali fondi siano di fatto sprecati (non spesi), ci porta a condividere quello che afferma Angelozzi: siamo in un mondo delirante e allucinato. E, sempre restando in area veneta, a dimostrare che “il tacòn l’è peso del buso”.

Auspico quindi che i Direttori dei DSM possano fare fronte comune come stakeholder interni del sistema, con un preciso ruolo di orientatori tecnici riconosciuti, per poter incidere significativamente su dissennate politiche che portano solo a sprechi e delusioni.

Dott. Federico Durbano

Direttore Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze
ASST Melegnano e della Martesana



22 gennaio 2024
© Riproduzione riservata

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