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Storia della Pandemia in Lombardia: chi la riscrive?

di Maria Elisa Sartor e Chiara Alfieri

02 FEB - Gentile Direttore,
una recente, ulteriore ricostruzione della storia della pandemia in Lombardia, questa volta focalizzata sull’apporto della sanità privata, suscita perplessità e merita una risposta. La si trova nel documento – tecnicamente un policy brief – intitolato Engaging the private sector in delivering health care and goods. Governance lessons from the Covid-19 pandemic, pubblicato nel novembre 2023 dall’European Observatory on Health Systems and Policies (Organizzazione Mondiale della Sanità-OMS), a cura di A. Maresso e altri.

Il documento afferma di volersi occupare di politica sanitaria fornendo evidenze verificate a chi deve decidere. Ha anche cura di sottolineare che non intende indicare una strada di azione. Tuttavia, senza entrare nel merito degli esiti complessivi dell’intervento del SSR lombardo, in risposta alla pandemia Covid-19, dà per scontato che questi siano stati di successo. Non è così, in realtà.

I dati dell’insuccesso sono evidenti al mondo intero. Si ricavano dal tasso di mortalità nella prima ondata pandemica, in particolare nel territorio della provincia di Bergamo e della Val Seriana. Le immagini delle colonne dei mezzi militari che trasportavano i corpi delle vittime ai forni crematori sono ormai incise nella memoria collettiva. Da un lato, in Lombardia si è evidenziata durante il Covid una carenza dei medici di base (MMG): questi, malcollocati, disorientati, affaticati dalla burocrazia e non attrezzati con gli adeguati dispositivi protettivi, non sono stati governati da veri distretti. E ciò richiama, in primo luogo, la responsabilità del governo della Regione Lombardia.

Dall’altro lato, e questo ci interessa qui più direttamente, le strutture di ricovero private, nel loro insieme, non si sono immediatamente attivate per far fronte, fin da subito, alla prima ondata pandemica. Come prova del successo lombardo, gli autori invece richiamano all’attenzione l’intervento congiunto dei soggetti pubblico e privato, in un modello di sanità regionale misto. Ma per supportare la loro argomentazione fanno parlare una sola voce: la sanità privata, chiamata ad illustrare presso gli organismi internazionali i comportamenti della sanità lombarda nel suo complesso. Questa modalità è evidentemente non accettabile: un palese insuccesso nella gestione pandemica lombarda diventa paradossalmente il modello che le organizzazioni internazionali propongono in ambito europeo.

Come si è arrivati da parte degli autori del report ad accettare un racconto che stravolge almeno in parte i fatti, soprattutto quelli riferiti alla prima ondata pandemica? Contrariamente a quanto lasciato intendere o omesso, va sottolineato che la sanità privata nel suo insieme è intervenuta, sì, a partire dal 13 marzo 2020 (p. 4), ma ciò significa che lo ha fatto ben 21 giorni dopo la data di inizio della pandemia: il 21 febbraio 2020. Tempi esageratamente dilatati per una crisi sanitaria sconosciuta e così drammatica. Il tragico ritardo dell’intervento della componente privata del SSR lombardo ha impedito di contribuire a contenere l’ecatombe e suoi effetti collaterali. Ha sostanzialmente dimezzato la risposta del sistema, considerato che la sanità privata ospedaliera pesava, in termini di strutture in Lombardia, intorno al 50% del totale.

Quale verifica è stata fatta dell’identità dei soggetti che hanno fornito le informazioni sul contributo della sanità privata al SSR lombardo? I referenti per la Lombardia, consultati dagli autori, sono stati legittimati, con ogni probabilità, senza cogliere il dato saliente: si tratta di studiosi e figure apicali espressione unicamente della sanità privata. Appartenenze non del tutto esplicitate nei profili di ognuno, coperte in vario modo, anche sotto l’etichetta delle università statali, come risulta dal documento laddove questi vengono ringraziati. In ultima analisi, gli autori del report si sono esposti al rischio di parzialità: è infatti mancato un confronto fra una pluralità di fonti. È così che la lobby della sanità privata si è nascosta dietro il vessillo dell’accademia e ha raccontato la sua versione dei fatti.

In sostanza, il risultato è un sottile imbroglio non facilmente percepibile. Ovvero, un racconto di parte, scambiato per una ponderata e indipendente valutazione, diventa paradossalmente una “linea guida” internazionale destinata ai sistemi sanitari europei e volta a promuovere l’efficacia di una specifica collaborazione pubblico-privato. E questa raccomandazione sorprende tanto più in quanto i policy brief dell’OMS negli assunti generali, scrivono espressamente di non voler promuovere “una particolare opzione”.

Maria Elisa Sartor
Docente di organizzazione sanitaria, Università di Milano

Chiara Alfieri
Antropologa della sanità, Université d’Aix-Marseille, France

02 febbraio 2024
© Riproduzione riservata

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