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Medici e infermieri. Ripartiamo assieme dal lavoro

di Andrea Bottega

13 APR - Gentile Direttore,
desidero dare il mio contributo in merito alle proposte avanzate dal prof. Cavicchi negli articoli pubblicati la scorsa settimana. Nel primo articolo si parlava di confini degli orti (atto medico e comma 566) e si proponeva una riforma del catasto per fare una bella cooperativa di ortolani basata su nuovi rapporti di reciproca autonomia (autonomia interdipendente) sapendo che un’autonomia assoluta tanto per il medico che per l’infermiere non è praticabile. Il problema di questa proposta è che chi ha la responsabilità politica degli orti (i campanari) forse non hanno chiara l’idea di riforma del catasto.

Nel secondo articolo si chiama in causa la terzietà e imparzialità del ministero per ristabilire un po’ d’ordine tra gli ortolani e non dare adito al parteggiare per uno piuttosto che per l’altro. Le professioni hanno ugual valore e se la politica o le regioni vogliono portare l’acqua la proprio mulino, il ministero deve garantire che tutti possono irrigare la loro parte di orto. Questo ente terzo dovrebbe preparare un documento indicando quali sono i problemi delle professioni e come si intende risolverli e convocare tutte le rappresentanze a discuterne. Vengono quindi indicate alcune condizioni di base per avviare il confronto.

Nel terzo articolo si invitano i campanari (il Ministero della Salute e le rappresentanze professionali) a trovare un accordo per definire gli orti che si avvicini all’idea di riforma del catasto. La proposta è non si parti tanto da una definizione burocratica dei confini ma che si tenga conto dei reticoli professionali che si sviluppano localmente. I presupposti dei reticoli si basano su poteri di autonomia fondati sull’intellettualità di ciascuna professione (governo clinico per il medico, gestione integrata della cura per gli infermieri). L’accordo dovrebbe stabilire ciò che è esclusivo del governo clinico e ciò che è esclusivo della gestione della cura e ciò che è comune a entrambi.

Il quarto articolo ci dice che per attuare una tale riforma occorre variare l’organizzazione del lavoro nel suo complesso in quanto explanandum fondamentale. Il reticolo professionale non può realizzarsi in un’organizzazione tayloristica del lavoro. C’è bisogno di un’organizzazione interconnessionale definita nel suo frame work a livello nazionale ma declinata nella contrattazione decentrata. Medici e infermieri definiranno loro l’organizzazione del lavoro e, nel quadro di “possibilità del fare” deciso a livello nazionale, collaboreranno e saranno corresponsabili (multidisciplinarietà e corresponsabilità) dei risultati clinici, degli esiti assistenziali e dei valori organizzativi (verso il malato e verso il datore di lavoro). Ogni deficit nei tre livelli va analizzato e superato rimodulando l’organizzazione del lavoro per trovare il modo di dare la miglior risposta alle esigenze dei malati.

È mia opinione che spesso i problemi che sono grandi per le rappresentanze (sindacali e ordinistiche) sono piccoli problemi per medici e infermieri che lavorano gomito a gomito nei servizi e nei reparti (vedi il see&treat, il fast track, il nurse di anestesia, il team PICC, lo stoma terapista, l’esperto in wound care, …). Per chi deve rispondere ai bisogni dei malati queste opportunità sono risorse, per i campanari che devono definire gli orti sono problemi, motivo di lite perché ognuno difende i propri confini.

Condivido la proposta di superare la litigiosità andando a chiedere agli ortolani di definire ciascuno i loro confini (in contrattazione aziendale secondo un nuovo modello di contrattazione) ma per evitare che un ortolano coltivi completamente la terra dell’altro ci vuole che i responsabili del catasto definiscano delle regole di massima. Sul governo clinico al medico e la gestione integrata delle cure all’infermiere sono disponibile a raccogliere l’invito di Cassi della CIMO di sedersi a un tavolo per discuterne. L’importante è concordare una base comune sui diversi punti di vista. Incontriamoci!

Condivido anche la proposta che la variabile fondamentale su cui lavorare è l’organizzazione del lavoro. Senza un cambiamento dell’organizzazione non si potrà aver nessuna nuova coltura per chi si ciba dei prodotti dell’orto. Per tale motivo chiedo nuovamente a tutte le parti di attivarsi per far ripartire la contrattazione. Su una sistemazione della contrattazione nazionale si può poi innestare un tavolo regionale che dia le linee di indirizzo per una formazione comune e definire alcune linee di progetto dove “provare” la coevoluzione attraverso lo sviluppo del reticolo professionale (definire autonomie e responsabilità).

Superare il demansionamento e la decapitalizzazione del lavoro deve essere interesse comune. Vorrei che anche Il Ministero, gli altri sindacati del comparto (di cui sulle proposte di Cavicchi non ho letto una riga), i sindacati della dirigenza, le rappresentanze professionali si battessero per riaprire i contratti perché di evoluzione professionale senza adeguamento stipendiale non se ne parla!

Mi piacerebbe che su tali proposte si aprisse un dibattito vero. Finora sono intervenuti due sindacati autonomi e basta. E gli ordini e i collegi cosa ne pensano? E i professori universitari responsabili di dare un’adeguata formazione in linea con quanto richiesto anche da questi accordi cosa ne pensano? E i sindacati confederali? Sono ancora in stato di agitazione o vivono nel dilemma se sia meglio chiedere il demansionamento previsto nel documento sulle competenze avanzate o manifestare contro il demansionamento del Jobs act? Mi si nota di più se ci vado o se non ci vado? I campanari dimostrano veramente così di non aver nessuna idea di come uscire da questo pantano e di non aver nessuna proposta riformatrice.

Ripartiamo assieme dal lavoro. Se le regioni sono intenzionate ad avere dei reticoli professionali che funzionino vincolino delle risorse aggiuntive regionali a questi progetti (magari ne individuiamo alcuni su cui provare in concreto a testare se i confini tracciati creano problemi). Si vada verso un nuovo modello di contrattazione aziendale che dia la responsabilità ai lavoratori di definire i loro rapporti e la loro organizzazione a risorse definite e a premio stabilito a raggiungimento dei risultati, degli esiti, dei valori organizzativi e di produzione. Diamo fiducia ai nostri professionisti non consideriamoli solo dipendenti da usare come tappabuchi.

Nursind chiede pertanto la riapertura dei tavoli contrattuali, chiede che regioni e ministero si attivino in tal senso e chiede al Governo com’è possibile affermare che c’è nel DEF un tesoretto di un miliardo e mezzo quando il FSN è stato tagliato di più di due miliardi. Il lavoro va pagato! Abbiamo un mandato sul patto per la salute (art. 22) ancora da realizzare: sfruttiamolo.

Dr. Andrea Bottega
Segretario Nazionale Nursind

13 aprile 2015
© Riproduzione riservata

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