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Meritocrazia, donne medico e disagio lavorativo: la triste storia di Luana

di Maria Ludovica Genna e Domenico Crea

04 GEN - Gentile Direttore,
apprendiamo con sgomento, da un giornale on-line abruzzese, del suicidio di una stimatissima collega chirurga che da anni aveva intrapreso una battaglia personale e in solitario affinché potesse venire rispettato lo sbandierato concetto della meritocrazia. Luana era stata uno dei tanti nostri “cervelli in fuga”, approdando a Parigi così come si apprende dal giornale, collezionando più di 1500 delicati interventi chirurgici, oltre a numerosissime pubblicazioni a carattere scientifico.
 
Essendole scaduto il contratto presso la fondazione Veronesi, aveva preferito - al ritorno in Francia - il lavoro in un’ azienda locale abruzzese, in grado di garantirle la possibilità di conciliare l’attività lavorativa con quella altrettanto importante di carattere familiare. Si apprende che, il posto che avrebbe dovuto occupare per meriti, era stato assegnato, invece, ad un collega posizionato in graduatoria alle sue spalle conseguenza per cui la dottoressa aveva dovuto adattarsi ad un lavoro che non le consentiva di svolgere le sue mansioni di chirurgo, ma di adattarsi a fare l’endoscopista in una sede lontana e costretta quotidiani viaggi in zone disagiate.
 
Qualche anno fa, uno studio italo svedese che fa parte del progetto HOUPE (Health and Organisation among University Physicians in four European countries), ha evidenziato che tra le donne medico esiste ed è maggiore il tasso di incidenza dei suicidi, annoverando tra le sue cause esperienze degradanti, le molestie sul lavoro e anche l’assegnazione di compiti senza risorse adeguate.
 
In letteratura sono presenti, inoltre, studi che correlano le idee di suicidio delle dottoresse con turni di guardia maggiori di otto ore. (Hem E, Haldorsen T, Aasland OG, Tyssen R, Vaglum P, Ekeberg O. Suicide among physicians. Am J Psychiatry 2005; 162(11):2199-200). Va, inoltre, aggiunto che nei luoghi di lavoro esiste ancora una discriminazione sessista, come affermato dal leader delle chirurghe inglesi Jyoti Shah, neurochirurgo del Burton Hospital NHs Foundation Trust, alla BBC attribuendo la causa del numero esiguo di donne chirurghe inglesi (11%) ad una cultura sessista che rende le sale operatorie un ambiente ostile per le progressioni di carriera delle donne.

Nel ricordare che le donne medico patiscono in assoluto le maggiori difficoltà nella conciliazione lavoro e famiglia, ci preme ricordare che, nel caso della dottoressa italiana, si aggiunge pesante come un macigno la totale mancanza di meritocrazia che attualmente viene evidenziata sempre più spesso nella nostra Sanità.

Nell’esprimere il nostro dolore per questa vita spezzata, vorremmo concludere con l’augurio che in questo nuovo anno 2016, ci possa essere finalmente un cambio di passo, che ci si renda conto che la conciliazione lavoro- famiglia sia un atto dovuto ad uomini e donne della Sanità e che - soprattutto nella riorganizzazione che si sta tentando di effettuare ad ampio raggio - non prevalgano solo criteri di risparmio di spesa, ma si salvaguardi la qualità, il merito e le capacità degli operatori con regole univoche e trasparenti, ben al di là delle logiche politiche o di clientelismo e che si attuino al meglio – concretizzandole - tutte le azioni per prevenire le discriminazioni di genere sui posti di lavoro.

Dott. ssa Maria Ludovica Genna
Dott. Domenico Crea

Osservatorio Sanitario di Napoli  


04 gennaio 2016
© Riproduzione riservata

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