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Osteopatia? Sicura solo se praticata da un fisioterapista o un medico. Non serve un’altra professione

di Giulio Barbero

18 MAR - Gentile Direttore,
l'aspetto che più preoccupa la nostra associazione riguardo il possibile riconoscimento della figura dell’osteopata è che continua a mancare un’attenta analisi dei rischi per la salute della popolazione. Siamo in un periodo nel quale la disinformazione è all’ordine del giorno, aspetto che porta i cittadini ad affidarsi a professionisti non sanitari per ottenere un miglioramento del proprio stato di salute.
 
Quale tutela possono avere? In che modo possono essere certi di rivolgersi ad una persona seria e preparata? L’unica risposta possibile è richiedere al professionista il diploma di laurea (o titolo equipollente), attestato che certifica un percorso di formazione universitario, aspetto che ne dà inequivocabile garanzia di qualità.
 
D’altro canto la formazione in osteopatia in Italia è affidata ad enti privati e pur ipotizzando che il percorso di apprendimento dell’osteopatia sia di alto livello, in che modo ne possiamo essere certi? Quale ente super partes ne certifica la qualità e ne verifica le mcompetenze acquisite?
L’osteopatia, in quanto pratica terapeutica, che deve rispondere ad un bisogno di salute è imprescindibile che vada espletata unicamente da quelle figure che hanno superato un percorso formativo universitario come il Ministero della salute ha sottolineato nella recente interrogazione in materia.
 
Esistono già professionisti sanitari, come medici e fisioterapisti, con un core curriculum ed un core competence tali da poter assorbire le competenze che la pratica osteopatica richiede in ambito clinico e terapeutico. Un fisioterapista che ha completato un percorso di formazione osteopatica presenta il più alto livello di formazione curriculare se confrontato a qualsiasi altro professionista non sanitario che pratichi osteopatia.
Si parla molto di un eventuale riconoscimento della figura dell’osteopata, aspetto che porterebbe ad una serie di criticità difficilmente risolvibili: in primis la gestione della formazione che dovrebbe passare alle università con conseguente aumento dei costi e su questo aspetto c’è già stato un netto parere negativo da parte della Conferenza
 
Permanente delle classi di laurea delle professioni sanitarie, in secondo luogo si creerebbe il problema di come gestire i professionisti formatisi prima del riconoscimento. Su quali basi si potrebbero equiparare professionisti senza una formazione univoca e con evidenti discrepanze culturali e scientifiche? Ma soprattutto come verrebbero gestiti gli ambiti di applicazione ed i confini con le professioni già esistenti, aspetto che la legge
43/06 sancisce non sovrapponibili?
 
La posizione del ROFI (Registro Fisioterapisti Diplomati in Osteopatia d’Italia) è molto chiara su questo tema, la pratica osteopatica è opportuna e sicura se espletata da un professionista sanitario come il fisioterapista ed il medico. Pertanto viste tutte le premesse e le criticità poste in essere chiediamo, c'è veramente bisogno della creazione della XXIII professione sanitaria?
 
Dott. Giulio Barbero
Presidente Nazionale ROFI

18 marzo 2016
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