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Per il medico nessun “declassamento” con il ddl Gelli

di Daniele Rodriguez

10 APR - Gentile direttore,
ho letto in ritardo la lettera di Luca Benci del 3 aprile 2016 e, per riuscire a comprenderne il senso, mi sono affrettato a leggere la precedente lettera di Riccardo Spampinato e Giuseppe Bonsignore, che mi era sfuggita e che critica il d.d.l. Gelli, in quanto contiene il buco nero della scomparsa del medico, perché il sostantivo medico sarebbe sostituito dall’espressione “esercente la professione sanitaria”, ritenuta di nuovo conio.
 
Ho così potuto apprezzare l'esegesi storico-lessicale di Luca Benci, che si è imposto – come ha espressamente dichiarato – di limitare gli esempi, molti dei quali ha comunque dettagliatamente illustrato,  tratti dalle norme nelle quali è contenuta la locuzione "professione sanitaria", già presente nel testo unico delle leggi sanitarie del 1934.
 
Ineccepibile e ben documentata risulta dunque la dimostrazione del Benci che non vi è stata la "evoluzione linguistica" che invece Spampinato e Bonsignore sostengono essersi verificata. A completamento di quanto Benci scrive, potrebbe essere aggiunto che, fra medico ed esercente di una professione sanitaria, esiste un rapporto di genere a specie e che, nel cosiddetto d.d.l. Gelli, se ne è preso semplicemente atto, dovendosi appunto disciplinare la responsabilità del genere "professionista sanitario".
 
Il che non esclude che continui ad esistere la specie "medico". Il che neppure esclude che la posizione di garanzia, che incombe a ciascun esercente una diversa professione sanitaria nei confronti della persona, si differenzi in funzione delle competenze di ciascun professionista. Ma questo concetto è pacifico e non è certo intaccato dal contenuto del d.d.l. Gelli.   Quest'ultimo, dunque, con tutta evidenza, non "giunge a sopprimere addirittura il nome di un’intera categoria", né sancisce alcuna "modifica del nome" del medico.
 
Merita inoltre una riflessione specifica il passaggio in cui Riccardo Spampinato e Giuseppe Bonsignore si chiedono  "perché allora soltanto il medico va declassato, diventando un semplice esercente di una professione".  La domanda cela al proprio interno la tesi, non condivisibile, che l'essere esercente di una professione (ovviamente sanitaria) comporti per il medico declassamento: è palese che non vi è declassamento nell'essere riconosciuti ciò che si è. Né certo, per il singolo medico, l'essere qualificato esercente una professione sanitaria costituisce punizione o demonizzazione o fattore comportante demoralizzazione, come prospettato dagli estensori della lettera al direttore.  
 
Negare valore a quanto ho sostenuto porterebbe a pensare che il medico non è un professionista sanitario o, addirittura, che l'essere medico è diverso dall'esercitare una professione sanitaria. Entrambe queste ultime ipotesi sono inammissibili.
 
Il d.d.l. Gelli non cancella dunque il nome del medico né priva di dignità chi esercita la professione sanitaria. Non vi è pertanto motivo che la FNOMCeo prenda la posizione, auspicata dagli estensori della lettera,  su un problema che non esiste.
 
 Vi è accordo con Spampinato e Bonsignore sul ravvedimento della politica in relazione ad una serie di questioni da loro citate, che meritano seria considerazione e rischierebbero di non essere adeguatamente valorizzate se considerate in riferimento ad un problema inesistente ed a cui non sono comunque riconducibili, cioè alla questione terminologica del  d.d.l. Gelli, il cui lessico è, per quanto riguarda la presente discussione, ineccepibile.
 
Daniele Rodriguez
Professore ordinario di Medicina legale
Università degli Studi di Padova

10 aprile 2016
© Riproduzione riservata

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