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Medici alla ricerca di identità

di Biagio Papotto (Cisl Medici)

23 GIU - Gentile direttore,
come sempre avviene, l’articolo di Ivan Cavicchi offre motivi di riflessione che vanno ben al di là della mera dichiarazione di approvazione o dissenso da quanto scrive. Proprio a pochi giorni dalla Conferenza di Rimini come CISL Medici avevamo scritto che speravamo di poter offrire il nostro contributo, ma che – invitati o no a partecipare ad effettive sedute produttive – avremmo comunque sperato di ricevere buone notizie dai lavori ormai prossimi, con la incrollabile volontà di essere assieme di sprone e di sostegno a qualsiasi organismo si prefigga lo scopo di migliorare la sanità in Italia.
 
Ecco perché la lucida ed a tratti sferzante disamina di Cavicchi non ci coglie di sorpresa, ma ci invita una volta di più ad affrontare, con passione almeno pari alla sua, alcuni punti.
 
In primis il rapporto medico – società. Abbiamo voluto racchiudere in questa relazione tutto l’universo che ruota attorno allo svolgimento della professione e i significativi, ineludibili legami che il medico ha con tutta la società, perché i malati sono esponenti della società, ma lo sono anche i politici, che della società dovrebbero essere espressione e sintesi.
 
Ecco che allora, in una ipotetica – utopistica ? – società degna di tal nome, qualsiasi cosa dovrebbe essere organizzata per assolvere in modo il più soddisfacente possibile le diverse necessità che i cittadini hanno, in modo solidale, equanime, ordinato, consapevole e partecipato. In una società così delineata i politici . e gli amministratori da essi indicati - dovrebbero quindi ricoprire un ruolo di mero esercizio dell’ordinaria amministrazione, con l’unico scopo di assicurare equilibrio ed imparzialità. Non una sinecura come vediamo ogni giorno!
 
In una società civile si lavora, si pagano le tasse, si amministrano le spese per colmare i bisogni e migliorare le condizioni di vita, dalla salute, alla sicurezza, alla cultura.
 
Ecco che nella nostra società - invece - non si riesce ad assicurare lavoro, non si riescono a far pagare le tasse ne’ a combattere efficacemente l’evasione e l’elusione fiscale, non si garantisce la sicurezza, non si investe in cultura.
 
E il medico?
 Il medico – come sarcasticamente indica Cavicchi nel suo “fondo” – è una specie di bambino capriccioso e viziato, trattato come tale, che dev’esser tenuto d’occhio e continuamente monitorato, controllato non solo nel proprio costo (tra poco, però, i bambini nati dopo il blocco dei contratti conseguiranno la licenza elementare… !), ma anche e soprattutto nelle prescrizioni che rilascia, quasi come se fosse un bizzarro personaggio più o meno privo di discernimento o – peggio – di senso dello Stato.
 
E abbiamo scritto “peggio”, ma in effetti non sappiamo se sia così, in realtà. Se sia cioè davvero meno pesante che i medici siano considerati “spendaccioni insensibili” alle difficoltà che l’Italia deve affrontare, oppure professionisti senza le necessarie basi di conoscenza scientifica, visto che un buon terzo degli esami che prescrivono si sostiene – in maniera del tutto apodittica - possa essere tranquillamente “tagliato”.
 
La cosa diventa ancora più grave se l’analisi semplicistica viene fatta dentro casa nostra Fnomceo.
 
E allora, signori… sveglia
. Sono la dignità e la capacità professionale che vengono calpestate, ed esse valgono infinitamente di più che una considerazione più o meno riconosciuta nelle “stanze che contano”. Non possiamo – in nessun caso – permettere che miopi calcoli mettano in crisi la categoria più essenziale della salute dei cittadini. Non è questione di corporazione, ma di rispettare fino in fondo i più banali dettami della nostra identità di uomini e di medici liberi che giornalmente lavora secondo scienza e coscienza e molti in prima linea a cercare di salvare il salvabile.
 
In secondo piano, anche se di poco, si staglia quindi la Conferenza. Non che fosse priva di potenziale valenza per tracciare una linea, o almeno riprendere con metodo ed ordine un percorso che si è fatto col tempo sempre più ondivago e poco produttivo. Occasioni come questa, o come quelle che verranno, richiedono un mix di esperienza e coraggio, una giusta alchimia di analisi rigorose e di proposte innovative, per continuare a condurre la professione medica attraverso i tempi non facili che attraversiamo, capaci, come DOBBIAMO essere, di prevenire e curare assieme i mali che ci si pongono davanti, anche se in questo caso si tratta di “patologie da sovraesposizione alla burocrazia.
 
Cavicchi lo scrive e non si stupisce, e neppure noi possiamo meravigliarci se una occasione ricca di opportunità come quella di Rimini si è invece risolta in una rischiosa parata più o meno autocelebrativa e poco innovativa. Ma – in tutta franchezza – poco rileva, se saremo capaci di invertire una marcia che appare sinistramente irreversibile e riusciremo quindi a rimettere in carreggiata l’intero “sistema”.
 
Se qualcuno ha avuto la bontà di leggere quanto scrivevamo più di un mese fa (Quotidiano Sanità, 16 Maggio) ricorderà di certo che trattavamo di una profonda necessità di modifica dei nostri ordini, che definivamo “…troppo spesso ingessati e rappresentativi, perché solo nominalmente espressione della coralità dei colleghi…”. Proseguivamo asserendo che era necessaria – a nostro avviso – una maggiore partecipazione, la garanzia di assicurare alle minoranze spazi e visibilità. E ascolto.
 
E ne siamo ancor più convinti, oggi, dato che anche la Conferenza di Rimini è passata con il suo carico di rimpianti. Spenti i riflettori, non vogliamo che restino pochi abiti da sfilata da vendere negli outlet, come accade dopo la presentazione delle collezioni di moda. Anche perché noi non amiamo i riflettori. Sono utili, certo, ma solo per metter sotto gli occhi della politica i problemi – quasi come se puntassimo i fari sul viso dei nostri interlocutori, incalzandoli alla stregua di quanto si vede nei vecchi film polizieschi – e diventano invece pacchianamente nocivi se li utilizziamo come “occhi di bue” in una narcisistica ricerca della miglior visibilità possibile per noi.
 
Siamo davvero a questo punto? Possiamo affermare in coscienza che non cerchiamo sponde con il Governo per nostri interessi che non siano esattamente collimanti con quelli dei nostri iscritti, dei nostri colleghi e amici che credono in noi e che non possiamo deludere, a costo della nostra stessa permanenza in carica? Perché – signori della Fnomceo – è esattamente quello che dobbiamo fare. Dimenticare qualsiasi nostra posizione individuale per farci portavoce di coloro che ci hanno eletto. Abbiamo la fideistica volontà di credere che lo vogliamo tutti…
 
E allora occorre, di pari passo, rivedere anche il meccanismo che è alla base delle elezioni Fnomceo, Enpam
e tutto il regolamento che ne disciplina le regole elettorali prevedendo pari opportunità, presenza obbligatoria di genere, incompatibilità, ecc. .
 
C’è urgente bisogno, in sostanza, di una nuova era della rappresentatività medica a tutti i livelli. I colleghi meritano di essere ascoltati, rappresentati, difesi…tutti. Non uno solo deve sentirsi lasciato indietro, perché in questo modo procureremmo pericoloso nutrimento allo sconforto, e ciò a sua volta sarebbe il miglior regalo che potremmo fare ad un Governo che troppo spesso “ci gioca sopra” e taglia senza alcun discernimento.
 
A meno che – ovviamente – questo non sia il prezzo che qualcuno ritiene sia accettabile da pagare per le proprie aspirazioni personali.
 
Noi della CISL Medici non ci stiamo. Non ci staremo. Mai. E concludiamo con le parole finali del ns. già citato articolo: “…affinché la Salute torni ad essere il faro, il valore fondante di una società davvero civile. Buon lavoro a tutti noi”.
 
Biagio Papotto
Segretario Generale CISL Medici

23 giugno 2016
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