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La “Quarta riforma” e il diritto di cittadinanza

di Marcella Gostinelli

21 DIC - Gentile Direttore,
le scrivo perché ho letto il nuovo libro di Cavicchi “la Quarta riforma” e l’ho trovato interessante e strategico anche per la professione infermieristica. E’ un libro bello da morire. Il pensiero di Cavicchi è sempre un pensiero preciso, lucido e concreto, ma in questo libro ogni cosa ha anche il suo giusto posto; questo ordine mentale allontana nel lettore i pensieri tristi, le preoccupazioni ed i problemi, lasciandolo assolutamente silenzioso e riflessivo.

Molto interessanti sono risultati, per me che sono una cittadina infermiera, in particolare, i capitoli 8 e 11, rispettivamente il capitolo sui Riordini e sulla Programmazione come metodo di governo. Come cittadini toscani ne siamo in particolar modo interessati perché i “cantoni” sanitari, come li definisce Cavicchi nel suo libro - le tre Aree Vaste - risultanti da un riordino che ha interessato il territorio toscano ( delibera n° 84 del 28 dicembre 2015), sono i nuovi soggetti di governo e le nuove sedi di programmazione strategica.
 
Cè il rischio, spiegato bene da Cavicchi, che l’Area vasta e la necessità di uniformare impediscano conseguentemente la vicinanza con la comunità, la “coerenza e l’appropriatezza nei confronti dei problemi della gente”, il riconoscimento di un bisogno di salute sempre più sommerso. C’è il rischio che si perdano i dettagli, dei quali la complessità in sanità è fatta; perdere certi dettagli può voler dire, però, perdere, silenziosamente, il principio di equità e universalità del servizio sanitario e quindi il diritto alla salute ed esserne anche noi infermieri responsabili.
 
Prima del riordino, quando il territorio era più comunità che cantone, poteva essere più facile interpretare la specificità di quel territorio e quindi delle necessità delle persone, e la programmazione poteva essere considerata il mezzo che garantiva il diritto alla salute perché la distanza tra il luogo in cui si gestivano i problemi e quello dove si risolvevano, essendo una gestione decentrata, era minima. Con le Aree vaste, invece, accade il contrario e come dice Cavicchi, ”nelle aree vaste il cammino tra loro e i problemi da risolvere diventa massimo”.
 
La preoccupazione e l’interesse che ho come infermiera è che con una gestione accentrata la mia professione abbia poco margine d’intervento sulla risposta da offrire, e che possa solo subire una programmazione statica, stabilita a livello centrale, rispetto alle risorse che ci sono e della quale però essere co-responsabili per difetto. E questo è un rischio che pesa anche moralmente sugli gli infermieri che sanno, invece, che il bisogno è evolutivo e richiede una programmazione dinamica.
 
A questo proposito e per quanto riguarda gli infermieri, c’è da dire che la Regione Toscana, con l’art.69 quinquies della legge n° 84 del 2015, ha formalmente riconosciuto, al comma 1a, la loro autonomia gestionale istituendo il dipartimento infermieristico ed ostetrico, e, con il comma 2, le funzioni di tipo programmatorio ed allocativo; funzioni che sono riconducibili ad un governo strategico.
 
Opportunità, che, come scritto anche in un articolo curato dalla Network degli Infermieri dirigenti del SST (chi sono? Chi ha istituito la network? Perche vi sono solo dirigenti pubblici?) è “offerta al sistema perché nelle decisioni strategiche si consideri , attraverso la rappresentanza del direttore di Dipartimento, anche la visione degli infermieri (…)
 
Il Direttore di Dipartimento è stato nominato con delibera N° 174 del 23 febbraio 2015, ma da allora, ed anche prima, non si ha evidenzia, almeno nelle linee operative, il coinvolgimento del pensiero degli infermieri, il “concorso in programmazione”, input per la programmazione di governo. Non si sa come gli infermieri intendono, strategicamente, comportarsi per rilevare il bisogno sommerso. Non si ha idea di come, a seguito di questa riorganizzazione e dello stato sociale della nostra comunità gli infermieri intendono occuparsi di tutela, e quindi di chi e come in regione dovrà e vorrà interfacciarsi con la Direzione Diritti di cittadinanza e coesione sociale, fra le cui competenze ci sono anche quelle per le politiche per la tutela del diritto alla salute e le politiche di welfare. E se anche l’interfaccia vi fosse non ci è dato sapere cosa offrono alla programmazione a proposito di una nuova idea di tutela e di territorio, considerata anche la riduzione dei distretti a seguito del riordino.
 
Cavicchi dice: "L’idea di diritto alla salute è un diritto di cittadinanza quindi un diritto politico e come tale nasce prima di tutto dall’uso della cittadinanza, facendo leva sulla comunità, facendo della comunità il terreno preferito della sussidiarietà.”
 
Ed allora chiedo al Direttore di Dipartimento infermieristico come ha deciso di “aggiustare” il territorio affinchè l’idea di tutela sanitaria non sia più intesa “come difesa della salute”, ma “costruzione” di essa? (Cavicchi, 2016). Come ha coinvolto la comunità che cura per averne soccorso? Che cosa ha offerto in cambio della fiducia data?
 
Io, infermiera, ma anche cittadina, non conosco le risposte date e non vorrei che concorressimo, nostro malgrado, a far morire la programmazione riducendola a sola efficienza allocativa o che si continuasse a non occuparsi del cambiamento che servirebbe.
 
Forse non conosco le risposte perché non ci sono e non ci saranno. Forse non c’è un pensiero strategico, o almeno non se ne ha conoscenza nei piani bassi, ma anche in questo caso sarebbe un segno di debolezza.
 
Senza un pensiero autonomo strategico a che servono i Direttori di dipartimento infermieristico? Essi non potranno neanche mai adottare quelle misure necessarie affinchè gli infermieri di linea non rappresentino per il sistema azienda un problema perché capaci di essere solo un costo.
 
Che salute potremmo mai produrre se chi ci dirige non ha la sensibilità di programmare alcunché, su cosa misureranno la nostra capacità di produrre salute?
 
Sembra non esserci interesse a misurare l’opera degli infermieri, e neanche dei dirigenti di struttura semplice o complessa, e quindi a ricapitalizzare il loro lavoro perché il lavoro degli infermieri non incide sulle loro valutazioni.
 
Quel tipo di “grande dirigente” ….usa la programmazione di governo e non ha bisogno di integrarla e neanche di cambiare.
 
Inviterei il Dott. Aceti di Cittadinanzattiva, e anche i tanti colleghi infermieri di cosiddetta linea, a leggere il libro di Cavicchi “la Quarta riforma” perché potremmo creare, insieme anche al sindacato degli infermieri, un movimento che davvero ci rappresenti e che promuova la Quarta riforma che invece serve al cittadino sano o malato che sia ed anche a noi.
 
Marcella Gostinelli
Infermiera 

21 dicembre 2016
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