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Camere mortuarie negli ospedali senza dignità

di Raffaele Sodano

01 DIC - Gentile direttore,
prima di raccontare la storia che mi accingo ad “illustrare” voglio fare una premessa che sgomberi il campo dagli equivoci: nell’era delle immagini, delle immagini che con facilità copincolliamo ovunque e che sono destinate ad essere usate per condannare, assolvere, sorridere, rattristare, arrabbiare o piangere e che in sanità, nello specifico nella difficile realtà di un nosocomio napoletano, sono usate o servono a sparar sulla croce rossa o a raccontarci l’ennesimo episodio di malasanità ebbene l’immagine dalla quale parte la nostra storia, la terrò per me ma ve la farò "leggere" perché non voglio ricercare colpe ne' colpevoli ma sperare che si ripristini la pietas della Morte e null’altro.

Lunedì 20 Novembre vado a trovare una mia cara amica, a portare il mio saluto alla sua salma: è triste morire a 53 anni, è triste non poter morire nel proprio letto, nella propria casa, con i propri cari ma tant’è.

Nell’obitorio del nosocomio le bare sono allineate in due stanze, sono tante e tanto diverso il colore della morte: ci sono i fiori, la sciarpa del Napoli ma ci sono anche le scarpine azzurre di un bimbo nella sua bara bianca poggiata sul piccolo altare, ai piedi della Croce. Tanto diverso è anche il dolore dei parenti: rassegnato, rasserenato o lacerante, senza fine, senza respiro e già insieme, accomunati dal pianto e dal dolore, ci sono i parenti di una piccola vita spezzata e di un anziano in avanti con gli anni. Un dolore che accomuna ma pur sempre un dolore reso promiscuo dai troppi defunti raccolti in troppo poco spazio.

Nelle sale cerco di intercettare lo sguardo della madre e del fratello della mia amica: non li trovo, non ci sono.

Chiedo notizie e mi dicono che sono “giù, al piano inferiore”.

Mi sposto, ma entro in qualcosa di diverso in origine doveva essere una sala settoria: il marmo, i fiori all’ingresso, i simboli della cristianita’ qui non ci sono. Le porte dei gabinetti sono spalancate, i neon, o almeno quelli che funzionano o non sfarfallano, emanano una luce fredda, molte delle mattonelle del pavimento e delle pareti sono sbrecciate, c’è polvere, la madre e il fratello della mia amica sono nel corridoio, seduti su di una panca di formica vecchia e malferma. La stanza che si apre sul corridoio è spoglia, maleodorante, polverosa.
 
Sono allineati 4/5 tavolacci di acciaio su ruote: la salma della mia amica è composta nella sua bara, a terra un mazzo di fiori, appena al piano di sopra si libera uno spazio la trasferiranno. Al suo fianco, compagna di sventura c’è....c’è un fagotto, si un fagotto bianco con una maglietta in pile poggiata su. È una salma: poggiata sul freddo acciaio, dal bianco del lenzuolo che a mala pena la ricopre, spunta un braccio, una mano. A penna sul lenzuolo a caratteri cubitali, a stampatello il cognome, Il pile doveva essere l’ultimo capo che aveva indossato, non è ripiegato, è gettato li’, addosso a lui, a lei, non so.

In altro angolo c’è un altro fagotto, un altro lenzuolo bianco non mi avvicino, voglio andare via.

Ho fatto il segno della croce e una preghiera per loro, per tutti loro.

Che dire ancora? Che si dovrebbe ristabilire la dignità della morte, il rispetto delle salme, che certi spettacoli, fossero anche necessari attimi di transito, non possono e non devono certificare che, deposte delle armi della medicina di fronte all’ineluttabilità della morte, si dia scempio dell’Essere Umano e lo si porga alla vista di chiunque.

Ristabiliamo un sano e rispettoso principio della pietas nei confronti dei nostri Cari.
 
Raffaele Sodano 

01 dicembre 2017
© Riproduzione riservata

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