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Questione medica. Cambia il vento? Speriamo, ma non mi sento di firmare cambiali in bianco

di Roberto Polillo

16 GEN - Gentile direttore,
ringrazio la dott.ssa Ornella Mancin per l’attenzione che ha dedicato al mio intervento su QS dal titolo “Il declino inarrestabile della professione medica” e colgo l’occasione per meglio chiarire il mio pensiero. Tengo innanzitutto a rassicurare la Dott.ssa Mancin che non è mia intenzione sottrarmi al dibattito in corso o non impegnarmi nell’indicare soluzioni possibili alla questione medica. In un colloquio avuto con il Direttore Cesare Fassari avevo infatti manifestato l’idea di elaborare un altro testo in cui alla pars destruens del mio argomentare facesse poi seguito una pars costrunes senza ovviamente avere la pretesa, che era dell’Organun baconiano, di voler indicare principi di verità o conoscenza validi per tutti.
 
Ho infatti già molte volte scritto su tali argomenti e sulla inadeguatezza degli organi di rappresentanza della categoria ( istituzionali e non ) e questo è il motivo per cui non ho ripetuto recentemente in forma di variazione sul tema i concetti già espressi. Ritengo infatti che il dibattito funziona meglio quando è pluralista e quando non viene sovra saturato da pochi addetti ai lavori.
 
La scelta degli autori da citare risponde anche a questo tipo di esigenza. Omissioni sono sempre possibili e non vanno certo considerate atti di lesa maestà; nel caso del Prof. Cavicchi poi esse sono state ampiamente compensate dalle numerose citazioni che la Dott Mancin fa di questo importante studioso. Da parte mia cerco di valorizzare gli apporti di altri studiosi molto noti in ambiente sociologico e poco noti in ambiente medico dove la discussione è sicuramente più ristretta perchè troppo essoterica e poco interessata alle fonti extra professionali
 
Per quanto riguarda invece il nocciolo della critica ovverosia se la crisi della professione medica venga da me ritenuta contingente o strutturale mi sembra che la Dott.ssa Mancin mi faccia un torto nel giudicarmi così superficiale da ritenere limitato a un arco di tempo di pochi anni una trasformazione tanto radicale dello status professionale dei medici.
 
Ritengo infatti che il processo sia molto lungo e ne ho anche indicato l’evoluzione a partire dagli anni ’70 in cui i medici furono i protagonisti del cambiamento e di una rivoluzione culturale sottovalutata e ancora valida nei suoi principi ispiratori: partecipazione, osservazione della realtà e sua trasformazione, rispetto assoluto del paziente, indipendenza dal complesso sanitario-farmaceutico privato. Un processo interrotto con l’avvento del neoliberismo e con il processo di finta aziendalizzazione della sanità degli anno ‘90.

Un processo tuttavia a cui si opposero alcuni ministri della Salute e voglio in particolare citare il ministro Bindi e Turco i cui temi portanti furono quelli dell’appropriatezza co-decisa con i professionisti e la prioritarizzazione degli interventi sulla base di criteri di efficienza ed efficacia.
Ricordo anche che in quegli anni i medici ebbero una valorizzazione professionale ed economica senza precedenti, se è vero come è vero, che gli aumenti salariali con il CCNL del 2000 (che io firmai a nome della CGIL Medici) furono compresi tra il 30 e il 50% per le qualifiche più basse come gli assistenti con lunga anzianità.
 
La novità che ho invece segnalato nel mio intervento è che la crisi degli ultimi 10 anni ha indotto una accelerazione di un processo di svalorizzazione della professione medica ( e non solo) di cui un co-protagonista non esclusivo ovviamente è stato il Ministro Brunetta con la sua riforma della PA con cui sono stati smantellati gli istituti di contrattazione di secondo livello. Un rullo compressore sulla partecipazione democratica alla vita aziendale che solo recentemente si è timidamente deciso di rimuovere con la riforma Madia.
 
La vera novità dell’ultimo decennio è che attraverso i dispositivi avviati con la crisi si è deciso di metter in soffitta il servizio sanitario pubblico con gli strumenti del definanziamento e della marginalizzazione dei medici. E questo non per odio verso la categoria ma perché sono mutati gli equilibri interni al campo istituzionale e altri sono i nuovi stakeholder: non i medici e nemmeno i pazienti (ora nel ruolo di auto-prescrittori di un mercato amministrato dal privato) ma forze politiche e complesso sanitario-farmaceutico privato stretti in un nuovo patto sindacale (con un ruolo gregario dei sindacati nella gestione dei fondi) che punta alla dis-intermediazione del mercato sanitario.
 
Per quanto riguarda invece la FNOMCeO sono il primo ad augurarmi che il nuovo quadro dirigente faccia tesoro degli errori marchiani commessi negli ultimi 10 anni in cui si è demandata la rappresentanza dei medici a pochi rappresentati in Parlamento. L’esperienza, tuttavia, mi induce alla prudenza e a non firmare cambiali in bianco.
 
Finisco con un ultimo suggerimento alle forze sindacali. Approfittiamo della tornata elettorale per chiedere incontri a tutti gli aspiranti premier dei diversi schieramenti.
 
Portiamo loro una piattaforma rivendicativa condivisa da tutti di pochi punti:
• recupero salariale,
• valorizzazione professionale e sviluppi di carriera,
• ripristino di condizioni lavorative accettabili
 
E chiediamo loro di firmare l’impegno che entro i primi 100 giorni di governo quanto sottoscritto sarà trasformato in norma. Chi non firma è un nostro avversario e come tale non dovrà avere il sostegno elettorale della nostra categoria. Un piccolo suggerimento che potrebbe dare qualche risultato e farci uscire da una condizione di stallo o dalla solita litania degli stati di agitazioni e degli scioperi dimostratisi di scarsissima efficacia. 
 
Roberto Polillo

16 gennaio 2018
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